sabato 27 luglio 2013

GUIDA AI TUMORI DEL CORPO E TERAPIE MEDICHE

IN QUESTO POST SONO DESCRITTE LA CLASSIFICAZIONE DEI TUMORI DEL CORPO CON LE RELATIVE TERAPIE PRINCIPALI SU BASE  SCIENTIFICA ACCETTATE DALLA SANITà CONVENZIONALE.


A) TUMORE ALL'ANO
L'ano è l'apertura che collega la parte terminale dell'intestino con l'esterno. Il cibo ingerito attraversa tutto il sistema digerente e gli scarti sono trasformati in feci che, dopo una sosta nel retto (l'ultima parte dell'intestino crasso), attraversano il canale anale e sono espulse attraverso l'ano.
Il canale anale, un tubo lungo circa 4 cm, è rivestito nella sua parte interna da una mucosa formata da diversi tipi di cellule che si possono trasformare in cellule tumorali. Oltre al canale anale anche l'apertura anale vera e propria o le ghiandole connesse al canale anale (che producono muco al fine di facilitare il passaggio delle feci) possono dare origine a un tumore.
 
Quanto è diffuso
Il tumore dell'ano è piuttosto raro. L'incidenza annuale (il numero di nuovi casi in un anno) è di circa 1-3 nuovi casi ogni 100.000 persone e, in genere, le donne sono più colpite rispetto agli uomini.
Chi è a rischio
Uno dei principali fattori di rischio per il cancro dell'ano è l'infezione da Papilloma virus umano (HPV), responsabile anche di altri tumori, in particolare quello della cervice uterina.
Non tutti i ceppi di HPV sono cancerogeni, in molti casi infatti le difese immunitarie dell'organismo sono sufficienti a eliminare l'infezione. Alcuni ceppi tuttavia (soprattutto il 16 e il 18) sono cancerogeni e aumentano il rischio di sviluppare il tumore. Il virus si trasmette soprattutto attraverso i rapporti sessuali con partner infetti e l'uso del preservativo non protegge dal contagio (anche se lo riduce) dal momento che per contrarre l'infezione è sufficiente il contatto tra due zone infette.
L'infezione da HPV non è l'unico fattore di rischio per il tumore dell'ano: hanno un maggior rischio di ammalarsi anche i fumatori, le persone con un numero elevato di partner sessuali nel corso della vita, quelle con un sistema immunitario particolarmente debole (dopo trapianto di organo o a causa dell'infezione da HIV) e quelle con precedenti diagnosi di altri tumori (cervice, vulva, vagina, pene) in genere legati al virus HPV.
Tipologie
Non tutti i tumori che colpiscono l'ano danno origine a un cancro: tra le forme benigne si possono ricordare i polipi che insorgono a livello della mucosa del canale anale o i condilomi che in genere si presentano appena al di fuori dell'apertura anale o nella parte più bassa del canale anale e che sono anch'essi causati dal Papilloma virus umano (HPV).
Tra le forme di cancro che interessano questa regione si possono invece ricordare:
  • carcinomi a cellule squamose, che rappresentano la maggior parte dei tumori anali;
  • adenocarcinomi, che si sviluppano nella parte superiore dell'ano, vicino al retto, o nelle ghiandole del canale anale e sono trattati come il tumore rettale;
  • carcinomi a cellule basali, che sono più rari e si sviluppano dalle cellule epiteliali che circondano l'apertura anale. In genere sono considerati tumori della pelle;
  • melanomi, che riguardano le cellule dell'ano che producono melanina e sono molto rari.
Come per altri tipi di tumore (cervice, vagina), anche per il tumore anale esistono condizioni pre-cancerose: si tratta di modificazioni delle cellule chiamate displasie che potenzialmente potrebbero diventare tumori e che devono quindi essere tenute sotto controllo. Si parla in questi casi di neoplasia intraepiteliale anale (AIN, anal intraepithelial neoplasia) e di lesione squamosa intraepiteliale anale (SIL, squamous intraepithelial lesion).
Sintomi
In alcuni casi il tumore dell'ano è del tutto asintomatico per un lungo periodo e il primo sintomo è il sanguinamento rettale. Le perdite di sangue sono in genere di piccola entità e sono a volte accompagnate da prurito e/o dolore nella regione anale, cambiamento nel diametro delle feci, perdite anomale dall'ano e linfonodi ingrossati a livello della regione anale e inguinale.
Questi sintomi non sono necessariamente legati a un tumore: anche per emorroidi o ragadi, per esempio, i sintomi sono gli stessi. Rivolgersi al proprio medico è l'unico modo per chiarire ogni dubbio.
 
Prevenzione
Una delle strategie per prevenire il tumore dell'ano consiste nell'evitare le infezioni da HPV e da HIV. In questo senso è utile cercare di limitare il numero dei partner sessuali, utilizzare il preservativo nel caso di rapporti anali (il che comunque non garantisce protezione completa dall'infezione, poiché può essere sufficiente il semplice contatto) o evitare rapporti con partner infetti, anche se, in realtà, l'infezione da HPV può rimanere del tutto asintomatica e difficile da identificare. Contro l'infezione da HPV sono disponibili vaccini che sono risultati efficaci nel prevenire il contagio da alcuni ceppi del virus (6, 11, 16 e 18) e che attualmente vengono somministrati in modo sistematico solo alle donne (in Italia è raccomandata la vaccinazione per le ragazze attorno all'età di 12 anni).
Poiché il legame tra HPV e alcuni tumori maschili, come quelli di ano e pene, si fa sempre più chiaro, diverse società scientifiche stanno valutando l'opportunità di consigliare la vaccinazione anche agli uomini. Gli Stati Uniti hanno approvato l'uso di uno dei due vaccini disponibili anche per la prevenzione del tumore e dei condilomi anali sia negli uomini sia nelle donne.
Non bisogna infine dimenticare che anche dire stop alla sigaretta riduce il rischio di sviluppare un tumore anale.
Diagnosi
La scoperta di un tumore dell'ano, a volte, avviene in modo casuale: capita che il medico si accorga che c'è qualcosa che non va nel corso di una visita con esplorazione rettale eseguita per altri motivi o, magari, nel corso di un intervento per rimuovere le emorroidi.
Nel caso di sospetto tumore, sono necessari ulteriori esami prima di poter formulare la diagnosi certa. Si parte in genere con una endoscopia, che consiste nell'introduzione di una sottile sonda attraverso l'ano che permette di vedere l'interno del canale anale (anoscopia) o, con una sonda un po' più lunga, anche il retto e una parte del colon (proctosigmoidoscopia).
Se gli esami mostrano la presenza di regioni sospette si procede con la biopsia, ovvero il prelievo di una parte di tessuto che verrà poi analizzato al microscopio. Nel caso di tumori molto piccoli e che non hanno ancora invaso gli strati più interni della mucosa, è possibile procedere con la rimozione completa del tessuto malato già nel corso dell'esame. La biopsia può essere utilizzata anche per capire se il tumore si è già diffuso oltre l'ano: in questo caso si preleva una parte di tessuto da eventuali linfonodi ingrossati o da linfonodi sentinella (i primi che il tumore incontra nel suo percorso di diffusione oltre l'organo di origine).
Ulteriori esami di diagnostica per immagini (TC, PET, risonanza magnetica, radiografia ed ecografia) sono utilizzati in genere per comprendere nel dettaglio la diffusione della malattia.
Evoluzione
Per assegnare uno stadio (cioè definire quanto la malattia è diffusa) ai tumori che colpiscono l'ano si utilizza il sistema TNM creato dal American Joint Committee on Cancer (AJCC). Con questo sistema si prendono in considerazione l'estensione della malattia (T), il coinvolgimento dei linfonodi (N) e la presenza di metastasi (M).
Come si cura
La scelta del trattamento del tumore dell'ano dipende da numerosi fattori come lo stadio, la posizione e il tipo di malattia o le condizioni di salute generali del paziente.
In molti casi è possibile procedere con la chirurgia: se il tumore è piccolo e non si è diffuso, l'intervento si limita alla rimozione della regione coinvolta e di una piccola porzione di tessuto circostante, mentre nei casi di malattia più avanzata l'intervento è in genere più esteso e, in alcuni casi, prevede la rimozione totale di retto e ano. Diventa allora necessaria la successiva creazione di un ano artificiale a livello dell'addome (colostomia) per permettere la fuoriuscita delle feci che verranno raccolte in un sacchetto esterno.
La radioterapia rappresenta un'altra opzione terapeutica per il tumore dell'ano e può essere sia esterna (con un raggio che va a colpire con estrema precisione la regione interessata dal tumore e spesso anche i linfonodi circostanti) sia interna (detta brachiterapia, con piccoli "semi" radioattivi posizionati direttamente a livello del tumore).
Anche la chemioterapia viene utilizzata per curare il tumore dell'ano. I diversi farmaci chemioterapici possono essere somministrati da soli o in combinazione come terapia principale o come terapia adiuvante, dopo l'intervento chirurgico, per eliminare le cellule che non sono state rimosse con il bisturi.Infine è possibile utilizzare una combinazione di chemio e radioterapia, poiché si è visto che alcuni farmaci possono potenziare l'efficacia delle radiazioni



B)Tumore della bocca
 IL cavo orale comprende i due terzi anteriori della lingua, le gengive, la superficie interna delle guance e delle labbra, la parte inferiore della bocca sotto la lingua (il pavimento orale), la parte superiore ossea della bocca (il palato duro) e la zona oltre i denti del giudizio (il trigono retro molare).
La presenza sulle mucose del cavo orale di una tumefazione persistente, di una macchia bianco rossastra che non si risolve, ovvero di una ferita che non si rimargina sono possibili segnali di allarme  perché potrebbero essere la manifestazione di una lesione pre tumorale o  tumorale del cavo orale

Tipologie
Oltre il 90 per cento dei tumori della bocca origina dalle cellule epiteliali squamose.
 

Evoluzione
Come per la maggior parte dei tumori, la guarigione dipende dalle condizioni generali di salute, dalla sede e dalla diffusione ai linfonodi regionali o ad altre parti dell'organismo.
Dai dati disponibili si è potuto stabilire che, al momento della diagnosi, oltre la metà dei tumori del cavo orale sono già diffusi nelle sedi vicine.
Complessivamente, la sopravvivenza media a cinque anni dalla diagnosi è del 50 per cento e oscilla tra l'80-90 per cento dei pazienti con tumori confinati alla sede di insorgenza e il 19 per cento dei pazienti con tumori metastatici.
 

Sintomi
L'età media alla diagnosi di un tumore del cavo orale è di 64 anni e il 95 per cento insorge dopo i 40 anni.
Un altro segnale da tener presente è quando si ha dolore e difficoltà nel mettere la dentiera.
 

Diagnosi
Il cancro della bocca se riconosciuto in fase precoce può essere curato con successo con elevate percentuali di guarigione. I ritardi diagnostici dipendono in genere da una sottovalutazione dei sintomi spesso dovuta a una conoscenza insufficiente di questo tumore. Il tumore alla bocca viene infatti spesso confuso con altre malattie più frequenti (ascessi dentari, tumori benigni) ma meno gravi o per paura immotivata.
I principali esami per individuare i tumori del cavo orale, in assenza di sintomi, sono l'ispezione e la palpazione  del pavimento della bocca e della lingua.
Ogni lesione sospetta della mucosa deve essere sottoposta a biopsia col prelievo di una piccola porzione di tessuto.
 

Come si cura
I tumori del cavo orale possono essere curati con l'asportazione chirurgica del tumore dei linfonodi circostanti o con la brachiterapia, un tipo particolare di radioterapia.
Qualora l'asportazione sia molto ampia oggi si procede a ricostruzioni sofisticate anche con autotrapianti di pelle, muscolo o di osso. In ogni caso è utile una rieducazione alla fonazione e alla deglutizione coordinata da specialisti logopedisti.
Radioterapia e chemioterapia sono in genere usate come adiuvanti nel post operatorio dei tumori avanzati e meno frequentemente in alternativa alla chirurgia.
 
Chi è a rischio
Per tutti i tumori del cavo orale i principali fattori di rischio sono il fumo di sigaretta, il consumo di alcol e qualunque condizione di traumatismo della superficie interna della bocca.
Altre cause favorenti possono essere scarsa igiene orale, masticazione di tabacco, errato posizionamento di protesi dentarie.
Per quanto riguarda il tumore del labbro, un possibile fattore favorente è l'esposizione al sole.
I tumori della bocca e del cavo orale colpiscono di solito dai 40 anni in su.
 
Quanto è diffuso

Su scala mondiale i tumori del cavo orale insieme a quelli della laringe e della faringe rappresentano il 10 per cento circa di tutte le neoplasie maligne negli uomini e il 4 per cento nelle donne.
In Italia ogni anno vengono diagnosticati circa 4.500 casi di tumori alla bocca e si registrano circa 3.000 decessi. Ciò accade perché questo tipo di cancro viene di solito diagnosticato in fase già avanzata, quando la massa tumorale si è già ingrandita al punto da richiedere interventi mutilanti e spesso con scarsi risultati.
Il tumore del labbro è più comune negli uomini, e si sviluppa soprattutto in persone dalla pelle chiara che trascorrono molto tempo al sole (per esempio i muratori, gli agricoltori o i pescatori). I tumori del labbro rappresentano l'11 per cento circa dei nuovi casi, ma sono responsabili solo dell'1 per cento dei decessi totali.
La lingua è la sede più frequente coinvolta nelle neoplasie del cavo orale: infatti i carcinomi linguali sono il 30 per cento circa di tutti i carcinomi orali.
Il tumore del cavo orale è più frequente in persone che fumano tabacco e consumano alcolici; la coesistenza di queste due abitudini moltiplica il rischio di sviluppare neoplasie orali.
Negli ultimi anni si è osservata una progressiva riduzione di incidenza delle neoplasie orali alcol e tabacco correlate, soprattutto nel sesso maschile, mentre nel sesso femminile, si è invece registrato un aumento.
Prevenzione
In base ai dati disponibili, non è possibile formulare raccomandazioni a favore o contro lo screening di routine per i tumori del cavo orale per gli individui che non presentano sintomi.
Per tutti è valido il consiglio di adottare uno stile di vita sano, non fumare, non consumare tabacco in alcuna forma e limitare l'alcol.
In particolare è importante non sottovalutare eventuali lesioni della bocca solo perché piccole o indolori: noduli o indurimenti della mucosa, piccole ulcere, placche bianche o rosse o bianco-rossastre specie se sanguinanti, escrescenze. Un altro segnale di allarme può essere dato in caso si verifichino impedimenti a una corretta masticazione.
I medici dovrebbero prestare particolare attenzione alle lesioni precancerose e a qualsiasi segno o sintomo di tumore del cavo orale, in tutti gli individui che consumano tabacco (sigarette, pipa, sigaro) o che assumono regolarmente alcol.
Si consiglia l'esame del cavo orale eseguito da un medico o da un dentista per tutti i soggetti di età superiore a 60 anni che abbiano fattori di rischio per il carcinoma orale.

c)TUMORE DEL NASO

La cavità nasale è uno spazio che si estende dal naso, si apre al di sopra del palato e arriva fino al punto di contatto tra la bocca e la gola, mentre i seni paranasali sono piccole cavità che, come suggerisce il nome, si trovano vicine al naso. I seni paranasali sono disposti in modo simmetrico e prendono nomi differenti a seconda della regione del cranio in cui si trovano (mascellari, frontali, sfenoidali, etmoidali).
Normalmente contengono aria, ma si possono "intasare", riempiendosi di muco o pus in caso di raffreddore o infezioni. La cavità nasale e i seni paranasali hanno diverse funzioni, quali filtrare e riscaldare l'aria che inspiriamo e alleggerire il peso del cranio. Sono ricoperti da un tessuto che produce muco (mucosa) formato da diversi tipi di cellule. È proprio da queste cellule che eventualmente può avere origine un tumore.

Tipologie
Nella cavità nasale e nei seni paranasali sono presenti diversi tipi di cellule, ciascuna delle quali può dare origine a un tumore. Questi tumori si dividono in:
  • carcinoma a cellule squamose, che deriva dalle cellule epiteliali squamose; esso rappresenta circa la metà dei tumori di cavità nasale e seni paranasali;
  • adenocarcinoma di tipo intestinale e carcinomi delle ghiandole salivari minori, che tappezzano le mucose respiratorie;
  • estesioneuroblastoma o neuroblastoma olfattivo, che prende origine dalle cellule del nervo olfattivo.
Oltre a questi tumori si possono sviluppare anche linfomi, sarcomi, melanomi, carcinomi indifferenziati (per i quali non è possibile stabilire con certezza il tipo di cellula di origine) o forme in genere benigne come polipi nasali o papillomi.
 

Evoluzione
Lo strumento più utilizzato per definire l'estensione dei tumori di cavità nasale e seni paranasali (la cosiddetta "stadiazione") è il sistema TNM, che si basa su 3 tipi di informazioni per definire lo stadio della malattia. La lettera T (tumore) indica quanto il tumore si è esteso, la lettera N chiarisce se i linfonodi (in inglese nodes) sono stati intaccati dalla malattia e la lettera M (metastasi) stabilisce se la malattia si è già diffusa in organi lontani (in genere polmoni o ossa). Esistono, in particolare per alcuni di questi tumori, anche altre forme di classificazione.
 

Sintomi
I tumori di cavità nasale e seni paranasali in genere non mostrano sintomi specifici da consentire una diagnosi precoce; di conseguenza, a volte vengono scoperti nel corso di esami medici effettuati per altri motivi, oppure quando sono diventati abbastanza grandi da bloccare le aree in cui si sviluppano.
Esistono però alcuni sintomi e segni che possono rappresentare un campanello d'allarme: congestione nasale che non migliora, ostruzione di una narice, perdita di sangue dal naso, dolore nella regione attorno all'occhio, protrusione del bulbo oculare, diminuzione dell'olfatto, lacrimazione continua, cambiamento nella visione, cefalea, formazione di masse nel naso o nel palato, problemi ad aprire la bocca, dolore o sensazione di compressione a una delle orecchie e ingrossamento dei linfonodi del collo. Si tratta di sintomi tipici di molte altre malattie non tumorali e per questo è importante, in loro presenza, non giungere a conclusioni affrettate, ma piuttosto rivolgersi al proprio medico.

Diagnosi
Nel corso della visita, il medico analizza con attenzione i sintomi e procede con una valutazione completa (anamnesi), che comprende domande sulla storia medica e sulle abitudini personali (fumo, tipo di lavoro svolto eccetera). In alcuni casi può anche guardare all'interno del naso con uno strumento chiamato endoscopio nasale e, se lo ritiene necessario, può consigliare un approfondimento richiedendo una visita specialistica da un otorinolaringoiatra.
Lo specialista, dopo aver controllato naso, gola e tutta la regione testa-collo può decidere di prescrivere esami di "diagnostica per immagini": i raggi X, per esempio, sono utili a capire se i seni paranasali sono liberi oppure no; tali esami sono di semplice esecuzione, ma non riescono a definire la causa di ostruzione delle cavità. Per una maggior precisione, si ricorre infatti alla tomografia computerizzata (TC) o alla risonanza magnetica (RM); si passa infine alla biopsia, che permette il prelievo di una parte del tessuto da analizzare al microscopio.
Come si cura
Per i tumori delle cavità nasali e dei seni paranasali sono disponibili diverse opzioni di trattamento, che vengono scelte sulla base delle caratteristiche del paziente e della malattia (tipologia, estensione, regione in cui è sviluppata eccetera). Dal momento che si tratta di tumori particolarmente rari, è importante rivolgersi a centri specializzati dove medici competenti sapranno indicare il percorso di cura migliore.
In linea generale, la chirurgia rappresenta una parte essenziale del trattamento di questi tumori, poiché consente la rimozione della massa tumorale, cercando di preservare, se possibile, i tessuti e gli organi vicini (per esempio, gli occhi). In alcuni casi - soprattutto se la massa tumorale è piccola - si interviene per via endoscopica, sfruttando cioè un tubo lungo e flessibile per raggiungere il tumore e rimuoverlo, senza creare cicatrici visibili. In alternativa o in combinazione alla chirurgia si utilizza a volte la radioterapia, sia in forma classica con raggi che arrivano dall'esterno e colpiscono il tumore, sia come brachiterapia, cioè con piccoli semini radioattivi posizionati a livello del tumore che agiscono localmente. La radioterapia può assumere diversi ruoli: può essere il trattamento primario (cioè la cura esclusiva della malattia); può avere un ruolo adiuvante (da effettuarsi, cioè, dopo la chirurgia per distruggere le cellule tumorali rimaste) o palliativo (per ridurre i sintomi nei tumori più avanzati). Le metodiche più moderne di radioterapia consentono l'irradiazione mirata della parte malata, con un relativo risparmio degli organi sani vicini.
In alcuni casi la radioterapia viene associata alla chemioterapia (la cui combinazione viene definita "chemio radioterapia") per potenziare gli effetti dei due trattamenti.
Anche la chemioterapia ha un ruolo importante nella terapia dei tumori di cavità nasale e seni paranasali: si utilizza in genere come trattamento principale nei tumori che si sono già diffusi in altre regioni del corpo, ma può anche servire come terapia adiuvante o neoadiuvante in combinazione con la chirurgia. Vista la rarità dei tumori delle cavità nasali e dei seni paranasali, non è semplice studiare a fondo le combinazioni di farmaci ad hoc per il trattamento e, di conseguenza, i farmaci chemioterapici in uso sono gli stessi utilizzati per altri tumori analoghi al di fuori del distretto testa e collo.
Chi è a rischio
Tra i fattori di rischio che possono trasformare le cellule della cavità nasale e dei seni paranasali in cellule tumorali occupa il primo posto l'inalazione di alcune polveri, come quelle derivanti dalla lavorazione del legno, della pelle, dei tessuti, oppure le polveri di nichel e cromo. Per tutte le persone impiegate in questi settori, il rischio di sviluppare una di queste neoplasie aumenta in assenza di un'adeguata protezione delle vie aeree.
Tra i fattori di rischio meno certi, ma comunque guardati con sospetto, ci sono colle, formaldeide e solventi organici. È, invece, dimostrato che il fumo di sigaretta contribuisca all'insorgenza di questi tumori.
Anche alcuni tipi di papillomavirus sembrano legati a un maggior rischio di tumore di cavità nasale e seni paranasali, così come la radioterapia utilizzata per il trattamento del retinoblastoma, un tumore ereditario dell'occhio che colpisce in genere i bambini, può essere causa di insorgenza di tali neoplasie.
 

Quanto è diffuso
I tumori che si sviluppano nella cavità nasale e nei seni paranasali sono rari e rappresentano meno dell'1% di tutti i tumori e circa il 3-5% dei tumori delle vie aero-digestive superiori. Questi tumori colpiscono soprattutto gli adulti dopo i 45-50 anni e gli uomini hanno una probabilità lievemente maggiore di ammalarsi rispetto alle donne. Le forme tumorali più diffuse sono quelle che colpiscono la cavità nasale e i seni mascellari; i tumori dei seni etmoidali sono meno comuni; quelli dei seni frontali e sfenoidali sono invece molto rari.
 

Prevenzione
Nella maggior parte dei tumori della cavità nasale e dei seni paranasali non è possibile fare prevenzione; tuttavia è importante evitare i fattori di rischio noti, come per esempio il fumo di sigaretta e l'esposizione prolungata a sostanze nocive sul luogo di lavoro.

D) TUMORE AL CERVELLO

Il sistema nervoso centrale è costituito da due parti: l'encefalo e il midollo spinale.
Insieme controllano tanto i movimenti e le azioni volontarie come camminare, parlare eccetera, quanto le funzioni involontarie, quali la respirazione, la digestione e così via. Il sistema nervoso centrale, inoltre, è alla base delle funzioni sensoriali (la vista, l'olfatto, il tatto, l'udito e il gusto) come pure delle emozioni, dei ricordi e di tutte le attività superiori quali la memoria e l'apprendimento.
L'encefalo è un organo spugnoso e soffice, suddiviso in tre parti: il cervello, il cervelletto e il midollo allungato.
Il cervello è la parte più voluminosa, divisa in due porzioni simmetriche chiamate emisferi (destro e sinistro), che controllano ciascuna le funzioni della metà opposta del corpo. Ogni emisfero è organizzato in quattro lobi: il frontale, il parietale, l'occipitale e il temporale, adibiti a compiti specifici. Vi sono, poi, delle strutture profonde come l'ipofisi, l'ipotalamo, l'ippocampo e l'amigdala che controllano diverse funzioni, tra cui quelle emotive.
Il cervelletto è più piccolo dell'encefalo ed è situato sotto di esso e posteriormente. È responsabile dell'equilibrio, della coordinazione, e controlla attività complesse come parlare e camminare.
La terza parte del cervello, detta midollo allungato, collega l'encefalo al midollo spinale e regola molte delle funzioni fondamentali del corpo come la respirazione, il mantenimento della temperatura e della pressione sanguigna.
Il midollo spinale è composto da un insieme di nervi, cellule e fibre nervose che corrono dalla testa fino alla zona lombare all'interno delle vertebre e da lì nelle altre parti del corpo: il suo compito è quello di trasferire gli stimoli al cervello e, in senso inverso, i messaggi del cervello ai vari organi.
Il sistema nervoso è la parte più delicata e importante di tutto l'organismo umano e, per questo, è protetto da una serie di barriere. Tra queste vi sono le meningi, membrane che lo avvolgono per tutta la sua lunghezza e che attutiscono gli urti, insieme a un liquido chiamato liquor, prodotto in una zona cava dell'encefalo suddivisa in quattro ventricoli. Il liquor deve anche rifornire il cervello con le sostanze nutritive provenienti dal sangue e portare via le sostanze di rifiuto.
Un'ulteriore protezione è assicurata dalle strutture ossee presenti lungo tutto il sistema nervoso, dalla scatola cranica alle vertebre.
Forme tumorali possono colpire qualsiasi parte del cervello, del cervelletto o del sistema nervoso e anche le meningi che lo rivestono.
 

Tipologie
Una degenerazione cancerosa può colpire qualunque parte del sistema nervoso centrale e, per questo, esistono molti tipi di tumore. I dati sottostanti sono ottenuti da uno dei maggiori registri tumori cerebrali, CBTRUS (Central Brain Tumor Registry of United States) e si riferiscono al periodo 2005-2009. Ogni anno 21 persone ogni 100.000 sono colpite da un tumore cerebrale, un dato che si riferisce a paesi con economia avanzata.
Gliomi
I più frequenti sono i gliomi, che rappresentano circa il 40 per cento di tutti i tumori cerebrali primitivi. Essi si sviluppano dalle cellule di supporto per il sistema nervoso centrale (cellule gliali) deputate a svolgere importanti funzioni, come per esempio produrre la mielina, la sostanza bianca che riveste i nervi permettendo che l'impulso nervoso si trasmetta.
I gliomi comprendono alcuni sottotipi che spesso prendono il nome dal tipo di cellula colpita.
  • Astrocitomi diffusi: derivano dagli astrociti, chiamati così perché le cellule sono a forma di stella. Rappresentano circa il 15 per cento di tutti i gliomi. L'età media dei soggetti colpiti è di 30-40 anni.
  • Astrocitomi pilocitici: tumori molto rari, rappresentano circa il 5 per cento dei gliomi. Sono però i più comuni nei bambini, a questa età in più della metà dei casi il tumore è localizzato nel cervelletto. A differenza di altri gliomi, solo raramente si trasformano in un tumore più aggressivo: nella maggioranza dei casi la chirurgia è curativa.
  • Astrocitomi anaplastici: costituiti principalmente da cellule immature - aplasia significa infatti perdita di differenziazione delle cellule. Colpiscono principalmente persone tra i 30 e i 50. Nel tempo tendono a trasformarsi in gliomi più aggressivi.
  • Glioblastomi multiformi: rappresentano circa il 15 per cento di tutti i tumori cerebrali; sono composti da cellule scarsamente differenziate. Sono la forma più maligna dei gliomi e colpiscono prevelentemente persone tra i 45 e i 75 anni di età.
  • Oligodendrogliomi: derivano da un secondo tipo di cellule gliali, gli oligodedrociti. Rappresentano circa il il 5 per cento dei tumori cerebrali. Comprendono tumori di diverso grado, ovvero aggressività. Di solito hanno un'evoluzione lenta e rispondono bene alle terapie.
  • Gliomi misti: sono costituiti da una popolazione mista di cellule gliali (astrociti e oligodendrociti). Sono anche definiti oligoastrocitomi. Sono tumori di grado di II o III grado lenta con una evoluzione molto variabile. Si riscontrano più frequentemente in pazienti di età media.
  • Ependimomi: si originano nelle cellule ependimali che svolgono funzione di rivestimento dei canali cerebrali dove è conservato il liquor che protegge cervello e midollo spinale. Sono tumori poco comuni - rappresentano infatti solo il 2.3 per cento dei tumori intracranici: di solito si presentano nei bambini (dove la frequenza aumenta fino al 15 per cento) nei primi dieci anni di vita, più raramente in giovani-adulti. Per il 65 per cento si presentano in fossa cranica superiore e in circa il 10 per cento dei casi hanno maggior grado di malignità e si diffondono lungo gli spazi liquorali.
Medulloblastomi
Tumori maligni tra i più frequenti in età infantile o nell'adolescenza, possono colpire anche giovani adulti. Si originano nel cervelletto ma possono diffondersi anche in altre aree dell'encefalo. Iniziano da cellule primitive e poco differenziate, che di norma scompaiono dopo la nascita.
Meningiomi
Originano nelle meningi, ovvero nelle membrane che avvolgono e proteggono il cervello. Rappresentano circa il 30 per cento delle neoplasie del sistema nervoso centrale. In molti casi si tratta di riscontri occasionali: piccoli meningiomi vengono infatti osservati in TC cerebrali o MR cerebrali eseguite per altri motivi, per esempio dopo un incidente stradale. Sono comuni nelle persone di età media e negli anziani, e sono più frequenti nelle donne. Hanno crescita molto lenta e solo una parte modesta di essi, inferiore al 55 per cento, ha caratteri atipici o maligni. La probabilità che il meningioma si riformi dopo l'intervento chirurgico dipende dal grado istologico del tumore e dall'entità dell'asportazione.
Emangioblastomi
Sono tumori molto rari di solito benigni e a crescita lenta. Si originano nelle cellule dei vasi sanguigni. Si osservano sia forme sporadiche sia forme familiari associate alla malattia di von Hippel Lindau.
Germinomi
Sono tumori rari, rappresentano circa il 3 per cento dei tumori primitivi cerebrali. Originano dalle cellule germinali. Sono tipici dell'adolescenza e del sesso maschile e sono più comuni nelle popolazioni asiatiche.
Neurinomi
Sono tumori benigni che colpiscono soprattutto il nervo acustico e il trigemino. Originano dalle cellule di Schwann (da cui deriva il nome di schwannoma) che ricoprono le fibre nervose e hanno il compito di sintetizzare la mielina (la guaina protettiva che avvolge ogni cellula nervosa).
Craniofaringiomi
Tumori benigni che derivano da residui embrionali. Fra i tumori primitivi dell'encefalo essi rappresentano lo 0.7 per cento e il 5-13 per cento dei tumori encefalici dei bambini. Più della metà di essi colpiscono soggetti con più di 16 anni.
Linfomi primitivi
Si tratta di tumori che derivano da linfociti, ma a differenza dei linfomi sistemici, la neoplasia è limitata al sistema nervoso centrale e non ha colpito altri organi. Sono particolarmente maligni e comuni nei soggetti immunodepressi. Rappresentano il 3.1 per cento di tutti i tumori primitivi encefalici; l'incidenza, a causa della diffusione dell'AIDS, sta lentamente aumentando.
Top

Evoluzione
Negli ultimi anni le nuove tecniche chirurgiche consentono di asportare tumori che un tempo venivano giudicati inoperabili. Per i tumori benigni, come i meningiomi o gli astrocitomi pilociti, la neurochirurgia è spesso risolutiva. Per i tumori maligni, invece, la prognosi rimane insoddisfacente.
 

Sintomi
Le manifestazioni di un tumore cerebrale dipendono soprattutto dalla sua localizzazione e dalle dimensioni della massa: poiché ogni zona è responsabile di una funzione specifica, infatti, sarà quella stessa funzione a essere più o meno compromessa, con una grande varietà di sintomi. Per esempio, le neoplasie del lobo frontale sono caratterizzate da una grande debolezza e incapacità di muovere una parte del corpo, disturbi dell'umore e confusione.
I tumori del lobo parietale, invece, si manifestano genericamente con convulsioni, paralisi, impossibilità a compiere movimenti complessi come lo scrivere o il tenere in mano un oggetto. Quelli che partono dal lobo occipitale provocano disturbi visivi fino alla cecità, allucinazioni e convulsioni, mentre le neoplasie che interessano il lobo temporale si manifestano con disturbi dell'equilibrio e del senso dello spazio, incapacità a comprendere e svolgere comandi molto semplici, convulsioni e impossibilità di parlare. Se il tumore colpisce il cervelletto, il malato ha molte difficoltà a mantenere l'equilibrio e a coordinare i movimenti, soffre di forti cefalee, nausea e vomito.
I tumori dell'ipotalamo provocano disturbi emotivi e della percezione del freddo e del caldo; se il malato è un bambino ritardano la crescita e interferiscono con l'appetito e la nutrizione.
In generale, e con l'eccezione delle malattie del cervelletto, se una neoplasia colpisce una parte del cervello (per esempio la sinistra) il sintomo si manifesta nella parte opposta (la destra): questo è dovuto al fatto che ogni emisfero cerebrale governa la parte controlaterale del corpo.
Infine, via via che il tumore cresce invade i tessuti circostanti, ma nel cervello lo spazio a disposizione è molto ridotto, e si ha presto la formazione di liquido che comprime le parti ossee, generando forti mal di testa che non passano con i farmaci analgesici quali gli antinfiammatori. Il mal di testa intrattabile è quindi uno dei sintomi più comuni, insieme alle crisi epilettiche, dovute all'effetto irritante della massa tumorale.
 

Diagnosi
Oltre a un esame neurologico completo, che valuti il deficit cognitivo e motorio, la diagnosi oggi viene fatta tramite gli strumenti di visualizzazione del cervello quali la TAC e la risonanza magnetica.

Come si cura
L'intervento chirurgico è il metodo di cura dei tumori cerebrali più diffuso. In generale la neurochirurgia serve a ridurre la pressione che il tumore esercita all'interno del cranio e a diminuire così i sintomi. Inoltre consente un'esatta analisi istologica del tumore e quindi è indispensabile per pianificare una terapia specifica per quel tipo di tumore cerebrale.
Oggi è possibile eseguire anche per i tumori primitivi particolari analisi molecolari che consentono una prognosi più precisa del tumore e permettono di scegliere terapie sempre più mirate.
Di solito la chemioterapia e la radioterapia sono riservate ai tumori che mostrano una certa aggressività.
La radioterapia completa l'intervento chirurgico e il trattamento è finalizzato a ridurre il rischio di recidiva. Può essere utilizzata da sola o in associazione alla chemioterapia.
Per moti anni si è discusso sulla reale utilità della chemioterapia nei tumori cerebrali, perché è difficile raggiungere il cervello con i farmaci, proprio per la presenza di una naturale barriera agli agenti esterni. La ricerca ha fatto grandi passi avanti in questo settore, aggiungendo nuove molecole come la temozolomide e nuovi assortimenti di farmaci già in uso. Oggi, nei gliomi di alto grado, la chemioterapia è considerata un trattamento di provata efficacia. Sono inoltre molto promettenti i risultati ottenuti dai farmaci inibitori dell'angiogenesi nei tumori cerebrali di grado più elevato.
Infine, risultati incoraggianti sono stati ottenuti, anche con forme di immunoterapia, basate sull'uso di particolari cellule del sistema immunitario sensibilizzate verso il tumore oppure con peptidi sintetici.
 

Chi è a rischio
L'unico legame accertato con fattori di rischio è quello con le radiazioni ad alto dosaggio. Alcuni tipi di neoplasie del sistema nervoso ricorrono nell'ambito di una stessa famiglia: in questi casi è probabile che vi sia una componente genetica ereditaria, anche se non è ancora chiaro quali siano i geni interessati né come le alterazioni si trasmettano e siano poi in grado di causare la malattia.
Le malattie ereditarie più frequentemente associate a tumori del sistema nervoso sono la neurofibromatosi di tipo 1, di tipo 2 e la sindrome di Li Fraumeni.
 

Quanto è diffuso

I tumori del sistema nervoso centrale sono abbastanza rari e rappresentano circa l'1,3 per cento di tutti i tumori.
Più frequenti sono invece i tumori che si formano all'interno del cervello ma che hanno origine da cellule metastatiche provenienti da altri distretti, come per esempio la mammella, il fegato o il polmone. In questo caso la massa tumorale è composta da cellule che non originano dal sistema nervoso, ma che, data la posizione, interferiscono comunque con il suo funzionamento.
 

Prevenzione
Le cause dell'insorgenza di un tumore cerebrale non sono ancora note, e non è pertanto possibile prevenirne la formazione.

E)TUMORE CERVICE UTERINA
L'utero è l'organo dell'apparato femminile dove viene accolto e si sviluppa l'embrione nel corso della gravidanza. Ha la forma di un imbuto rovesciato ed è formato da due parti principali: la parte superiore chiamata corpo dell'utero e l'estremità inferiore detta collo o cervice.
La cervice uterina è in diretto collegamento con la vagina e può essere suddivisa in due parti dette endocervice (quella più vicina al corpo dell'utero) ed ectocervice (quella più vicina alla vagina). Le cellule che rivestono la cervice non sono tutte uguali: si parla infatti di cellule squamose nell'ectocervice e di cellule ghiandolari nell'endocervice, due tipi cellulari che si incontrano nella cosiddetta zona di transizione. La maggior parte dei tumori della cervice prende origine proprio da cellule che si trovano in questa zona "di confine".
 
Tipologie
I tumori della cervice uterina sono classificati in base alle cellule da cui prendono origine e sono prevalentemente di due tipi: il carcinoma a cellule squamose (l'80 per cento dei tumori della cervice) e l'adenocarcinoma (circa il 15 per cento).
Si parla di carcinoma a cellule squamose quando il tumore deriva dalle cellule che ricoprono la superficie dell'esocervice e di adenocarcinoma quando invece il cancro parte dalle cellule ghiandolari dell'endocervice.
Infine, anche se meno comuni (3-5 per cento dei tumori cervicali), esistono dei tumori della cervice che presentano un'origine mista e sono per questo definiti carcinomi adenosquamosi.
 
Evoluzione
In base al sistema di classificazione FIGO (Federazione internazionale di ginecologia e ostetricia), il tumore della cervice uterina può essere diviso in quattro stadi a seconda di quanto risulta diffuso nell'organismo.
  • Stadio I:il tumore è confinato alla cervice uterina.
  • Stadio II: il tumore è arrivato alla parte posteriore dell'utero, ma non ha invaso la pelvi o la parte inferiore della vagina.
  • Stadio III: il tumore ha invaso la parte inferiore della vagina, la pelvi o i reni compromettendone il funzionamento.
  • Stadio IV: il tumore ha invaso gli organi vicini (vescica o retto) e può anche aver dato origine a metastasi in organi più lontani.
 
Sintomi
Le fasi iniziali del tumore cervicale sono in genere asintomatiche e i sintomi più comuni spesso possono essere legati ad altre patologie di tipo non tumorale. Tra i campanelli d'allarme che possono far sorgere il sospetto di tumore della cervice uterina ci sono, per esempio, perdite di sangue anomale (dopo un rapporto sessuale, tra due cicli mestruali o in menopausa), perdite vaginali senza sangue o dolore durante i rapporti sessuali.
 
Diagnosi
Negli ultimi anni anche il Pap-test si è rinnovato ed è cambiato soprattutto il modo di leggere i risultati che oggi si basa sulla cosiddetta "classificazione di Bethesda". In termini pratici ciò significa che il ginecologo vi consegnerà i risultati dell'esame interpretati secondo questi nuovi parametri internazionali, molto più precisi dei precedenti.
Se il Pap-test è negativo, l'esame può essere ripetuto dopo tre anni, ma se vengono riscontrate anomalie il medico potrà prescrivere ulteriori esami, come per esempio la ricerca del DNA di HPV o la colposcopia. Quest'ultimo esame, che come il Pap-test dura pochi minuti, è indolore e viene eseguito dal ginecologo in ambulatorio, si basa sull'osservazione ravvicinata della cervice uterina grazie a uno speciale microscopio posto di fronte alla paziente e che permette anche di illuminare la regione da esaminare. Prima di procedere all'osservazione il ginecologo tratta la cervice con una soluzione a base di acido acetico che mette in risalto eventuali aree contenenti cellule anomale che possono essere direttamente prelevate con un apposito strumento.
Una volta effettuata la diagnosi di cancro della cervice possono essere prescritti esami come tomografia computerizzata (TC), risonanza magnetica o tomografia a emissione di positroni (PET) per determinare con precisione l'estensione del tumore.
 
Come si cura
La scelta del trattamento da utilizzare per la cura del tumore della cervice dipende soprattutto dallo stadio della malattia al momento della diagnosi, ma si basa anche su altri criteri come per esempio, lo stato di salute generale della persona, la sua età e le sue esigenze. Spesso inoltre si procede combinando due o più trattamenti per raggiungere la massima efficacia.
  • La chirurgia è una delle scelte possibili e il tipo di intervento varia a seconda della diffusione della malattia. Negli stadi più precoci, quando il tumore è in una fase preinvasiva, possono essere utilizzate la criochirurgia  o la chirurgia laser  che utilizzano il freddo o un raggio laser per congelare o bruciare le cellule malate. Quando il tumore è un po' più diffuso, ma ancora circoscritto a una area limitata della cervice, la scelta può ricadere sulla cosiddetta conizzazione, un intervento nel quale viene asportato un cono di tessuto in corrispondenza della lesione senza compromettere la funzione dell'organo e mantenendo aperta, per esempio, la possibilità di avere figli. Se invece il tumore è più esteso, si passa all'isterectomia, un intervento che prevede l'asportazione dell'utero, e in alcuni casi si può arrivare anche alla rimozione di organi adiacenti come linfonodi, tube e ovaie.
  • La radioterapia, che uccide le cellule tumorali con le radiazioni, è un trattamento valido in alcuni casi e del tutto indolore; inoltre le radiazioni possono colpire aree ben definite che comprendono l'utero, ma anche le zone adiacenti in caso di malattia diffusa. Oltre alla radioterapia tradizionale nella quale la fonte di radiazione èesterna, esiste oggi anche la brachiterapia, ovvero l'inserimento nell'utero di piccoli ovuli che emettono radiazioni. Sia la terapia esterna sia la brachiterapia mantengono intatto l'apparato riproduttivo e non modificano in molti casi la capacità di avere figli.
  • Una terza opzione per il trattamento del tumore della cervice, riservato però alle forme avanzate o invasive, è la chemioterapia: vengono somministrati per via endovenosa diversi farmaci contro il tumore, spesso combinati tra loro, tra i quali cisplatino, paclitaxel, topotecan eccetera.
 
Chi è a rischio
Uno dei principali fattori di rischio per il tumore della cervice è l'infezione da HPV, il Papilloma virus umano, che si trasmette per via sessuale. Ecco perché alcune misure che limitano le possibilità di infezione (uso del profilattico o vaccinazione) risultano protettive contro questo tipo di cancro pur non essendo efficaci al 100 per cento: il preservativo, per esempio, non protegge completamente dall'infezione dal momento che il virus può essere trasmesso anche attraverso il contatto di regioni della pelle non coperte dal profilattico. Al contrario, un inizio precoce dell'attività sessuale e partner sessuali multipli possono aumentare il rischio di infezione, così come un'insufficienza immunitaria che può essere legata a diverse cause (per esempio un'infezione da HIV - il virus dell'AIDS - o un precedente trapianto).
È comunque necessario ricordare che non tutte le infezioni da HPV provocano il cancro della cervice. La maggior parte delle donne che entrano in contatto con il virus, infatti, sono in grado di eliminare l'infezione grazie al proprio sistema immunitario senza successive conseguenze a livello di salute. Infine, è stato ormai accertato che solo alcuni degli oltre 100 tipi di HPV sono pericolosi dal punto di vista oncologico, mentre la maggior parte rimane silente o si limita a dare origine a piccoli tumori benigni detti papillomi e noti anche come verruche genitali.
Altri fattori che possono aumentare il rischio di tumore della cervice sono il fumo di sigaretta, la presenza in famiglia di parenti strette con questo tumore (anche se non sono stati identificati geni responsabili di una eventuale trasmissione ereditaria), una dieta povera di frutta e verdura, l'obesità e secondo alcuni studi, anche le infezioni da Clamidia e un alto numero di gravidanze. In quest'ultimo caso le ragioni dell'aumento del rischio osservato sono ancora in fase di studio.
Quanto è diffuso
Per molto tempo il tumore della cervice ha rappresentato la più frequente forma di cancro per le donne, ma negli ultimi anni il quadro è profondamente cambiato.
Nei Paesi in via di sviluppo, infatti, questo tumore è ancora la seconda causa di morte per cancro, mentre nel mondo Occidentale il numero dei casi e quello dei decessi continuano a diminuire grazie soprattutto all'introduzione del Pap-test, uno strumento di diagnosi precoce molto efficace.
In Italia ogni anno una donna su 10.000 riceve una diagnosi di tumore della cervice in forma avanzata, ma le probabilità di morire a causa di questa malattia sono inferiori all'uno per mille.
 
Prevenzione
Nella maggior parte dei casi le cellule che possono portare al tumore della cervice non danno immediatamente origine al cancro vero e proprio, ma generano, inizialmente, quelle che i medici chiamano lesioni precancerose. Queste lesioni sono chiamate CIN (neoplasia cervicale intraepiteliale), SIL (lesione intraepiteliale squamosa) o displasia e possono progredire lentamente nel corso degli anni verso la forma tumorale. In realtà non tutte le lesioni precancerose danno origine a un tumore: in molti casi, infatti, regrediscono spontaneamente senza alcun trattamento. È comunque fuori da ogni dubbio che prevenire la formazione di tali lesioni o diagnosticarle e curarle precocemente permette di ridurre drasticamente e quasi di eliminare l'insorgenza del tumore della cervice nella popolazione.
Limitare il numero dei partner sessuali e cercare di evitare rapporti con persone a rischio restano due consigli utili per la prevenzione, anche se la strategia vincente in questo senso si basa sui controlli ginecologici regolari.
Nel corso della visita, infatti, il ginecologo può effettuare il Pap-test, un esame veloce e indolore che permette di identificare le lesioni pre-cancerose negli stadi iniziali; a partire dall'inizio dell'attività sessuale, e comunque non oltre i 25 anni e almeno fino ai 70 anni, tutte le donne dovrebbero sottoporsi a questo esame con regolarità una volta ogni tre anni, a parte casi particolari. Esiste anche un altro test in grado di individuare la presenza del DNA del virus HPV, ma al momento di tratta di un esame consigliato solo in casi particolari dal medico dopo un'attenta valutazione del caso.
Da qualche anno, inoltre, le donne hanno a disposizione un'altra arma contro il Papilloma virus: un vaccino capace di tenere lontani i due tipi di HPV responsabili della maggior parte dei tumori della cervice (HPV 16 e HPV18). In Italia il vaccino è oggi fornito gratuitamente alle bambine al compimentyo dei 12 anni, ma sono in corso numerosi studi per valutare l'efficacia della vaccinazione anche in donne adulte con una vita sessuale attiva e in donne già entrate in contatto con il virus.

F)TUMORE DELLA CISTIFELLEA E DELLE VIE BILIARI
La cistifellea, o colecisti, è un piccolo organo a forma di pera posto appena al di sotto del fegato. Normalmente ha una lunghezza di circa 8-9 cm e una larghezza non superiore a 2-3 cm. Il suo ruolo principale consiste nel concentrare e immagazzinare la bile prodotta dal fegato e necessaria per la digestione dei grassi.

Durante la digestione del cibo, la contrazione della cistifellea provoca il versamento della bile nell'intestino attraverso la parte finale del dotto biliare, un sottile tubo che in totale misura poco più di 10 cm. I dotti biliari si sviluppano all'interno del fegato e confluiscono in rami sempre maggiori fino a dare origine ad un dotto destro ed un sinistro che congiungendosi danno luogo all'estremità del dotto che emerge dal fegato. Quest'ultimo è il cosiddetto dotto epatico al quale la cistifellea si collega tramite un altro tubicino chiamato dotto cistico. L'insieme di queste strutture prende il nome di dotto biliare comune o
coledoco.

Il tumore della cistifellea ha origine in genere dalle cellule degli strati più interni della parete provocandone l'ispessimento; in seguito la massa tumorale si sviluppa nella cavità interna dell'organo e può anche invadere le strutture vicine (fegato, duodeno, coledoco).

Il tumore delle vie biliari può svilupparsi a partire da qualsiasi tratto sia esso dentro o fuori dal fegato ed a seconda del punto di origine viene indicato con un nome specifico (tumore del dotto biliare intraepatico, del dotto biliare distale o extraepatico, e della confluenza o tumore di Klatskin). Tutti questi tumori dal punto di vista delle loro caratteristiche strutturali sono definiti come colangiocarcinomi.




 
Tipologie
L'80 per cento dei tumori della cistifellea è rappresentato da adenocarcinomi (ovvero un tumore che colpisce i tessuti ghiandolari). L'adenocarcinoma papillare costituisce il 6 per cento di tutti i tumori della cistifellea e ha in genere una prognosi più favorevole della variante non papillare (75 per cento dei tumori).

Possono essere presenti inoltre, anche se più raramente, altre forme come l'adenocarcinoma mucinoso, il carcinoma squamoso, il carcinoma adenosquamoso e il carcinoma a piccole cellule. Circa la metà di tutti i colangiocarcinomi è rappresentata da tumori del dotto biliare intraepatico.

Questo tratto del dotto si sviluppa all'interno del fegato e per questo motivo a volte in prima battuta il colangiocarcinoma intraepatico può essere confuso con un tumore del fegato, ed in particolare con delle
metastasi.

La storia clinica, l'assenza di tumori in altre sedi (in particolare nel grosso intestino o colon-retto), ed in ultima analisi l'esame delle cellule al microscopio conducono solitamente a chiarire l'eventuale dubbio. Il tumore del dotto biliare distale, che colpisce il tratto del dotto biliare più vicino all'intestino, è secondo per frequenza tra i colangiocarcnomi, seguito dai tumori della confluenza (o tumori di Klatskin, dal nome del medico che per primo li descrisse) che hanno origine nel tratto in cui il dotto epatico esce dal fegato.


 
Evoluzione
Lo stadio di un tumore indica essenzialmente quanto estesa è la malattia. Per il tumore della cistifellea e per quello delle vie biliari vengono individuati 4 stadi sulla base dei criteri TNM che tengono conto della grandezza del tumore (T), dell'eventuale coinvolgimento dei linfonodi (N) e delle metastasi (M).

Lo stadio più basso (stadio 0) rappresenta una malattia in fase iniziale, nella quale le cellule cancerose sono presenti solo sulla parete interna della cistifellea o del dotto biliare. Lo stadio I, in genere, indica un tumore ancora operabile, ma diffuso anche agli altri strati della parete dell'organo e non limitato al solo strato interno.

In fase avanzata il tumore della cistifellea può invadere il fegato, i linfonodi e altre parti del corpo. Il colangiocarcinoma può diffondersi ad altri organi e coinvolgere vena porta, arteria epatica, fegato, cistifellea, duodeno, colon e stomaco.

Determinare lo stadio di del tumore è molto importante per decidere quale terapia utilizzare (chirurgia,
chemioterapia, radioterapia). Come accade per quasi tutti i tumori, anche per quelli della cistifellea e delle vie biliari vale il principio che uno stadio più basso al momento della diagnosi indica una migliore prognosi, ovvero maggiori possibilità di sopravvivenza e guarigione.

Il tumore si può ripresentare a distanza di tempo dal trattamento: si parla in questo caso di recidiva o tumore recidivante che può interessare ancora l'organo di origine oppure altri organi.


 
Sintomi
I sintomi del tumore della cistifellea si manifestano in genere solo negli stadi avanzati della malattia e sono spesso simili a quelli di altre patologie. Tra i più frequenti si riscontrano:
  • dolore addominale
  • nausea e vomito
  • ittero (colito giallo della pelle e degli occhi)
  • ingrossamento della cistifellea
Anche se meno comuni, a volte sono presenti perdita di appetito e di peso, prurito e gonfiore addominale. Il sintomo più comune del tumore delle vie biliari è invece l'ittero. Tra gli altri sintomi:
  • perdita di appetito
  • perdita di peso
  • febbre
  • prurito
In genere il colangiocarcinoma agli stadi iniziali non causa dolore. Per quanto riguarda il tumore intraepatico i sintomi principali sono perdita di peso e affaticamento (fatigue), l'ittero compare in un secondo momento. Se il tumore si è diffuso per contiugità o attraverso il circolo sanguigno o linfatico, la sintomatologia può essere riferita all'organo o apparato coinvolto.

 

Diagnosi
Il primo passo per una corretta diagnosi è l'attenta valutazione da parte del medico di eventuali sintomi e fattori di rischio. Oltre ad accertare la presenza di sintomi clinici (ittero, gonfiore, presenza di masse o organi ingrossati nella cavità addominale, eccetera), è importante infatti verificare se in famiglia sono presenti altri casi di tumore della cistifellea o delle vie biliari o se sono in corso delle patologie che possono in qualche modo esporre a maggior rischio.

Nel caso in cui ci sia il sospetto di un tumore della cistifellea, si procede con un prelievo di sangue che permette di valutare i livelli degli enzimi epatici e della bilirubina. Elevati valori di questi enzimi indicano un problema a livello del fegato e potrebbero essere legati a patologie che interessano la cistifellea o le vie biliari. Dall'esame del sangue è anche possibile misurare i livelli di CEA e CA19-9, due marcatori tumorali che risultano elevati in molti tumori addominali.

Il Ca 19-9 in particolare si eleva in concomitanza di tumori delle vie biliari e della cistifellea: occorre tuttavia precisare che una sua elevazione deve destare il sospetto clinico ma non è elemento definitivo dato che questo marcatore si eleva anche in caso di infiammazione specie se associata ad ostacolato deflusso della bile. Sebbene i tumori della via biliare non sono sempre facilmente identificabili. Ciò è soprattutto vero per i tumori della vie biliari nel loro tratto extraepatico o della confluenza (tumore di Klatskin), che risultano spesso mal differenziabili o addirittura del tutto non differenziabili da processi infiammatori, opure evidenti solo per l'evidenza di segni indiretti quali la dilatazione dei dotti a monte del tratto interessato. Vi sono comunque oggi numerosi strumenti diagnostici più o meno invasivi in grado di aiutare il medico a defnire la diagnosi e stabilire la terapia migliore (chirurgica, farmacologica eccetera). Tra gli esami più utilizzati:

  • ecografia addominale: un esame privo di rischi associati ideale per scoprire il problema anche se insufficiente a definirlo; la sua negatività comunque a fronte di una clinica ed esami alterati ed in peggioramento non può costituire elemento sufficiente ad evitare ulteriori approfondimenti con esami più precisi.
  • TAC: un esame utilizzato per diagnosticare la presenza del tumore, ma anche per verificare l'eventuale coinvolgimento degli organi circostanti e quindi determinare con maggior precisione lo stadio della malattia (quanto è diffusa).
  • Risonanza magnetica: questa tecnica che non usa i raggi X ma un campo magnetico, è particolarmente indicata nel caso dei tumori delle vie biliari da quando si è reso possibile con essa effettuare in modo del tutto non invasivo una studio accurato dell'intero albero biliare prima analizzabile in questo modo solo con le tecnicha invasive che di seguito saranno descritte. La colangiopancreatografia con risonanza magnetica è infatti con ogni probabilità la tecnica migliore per la diagnosi di tumore delle vie biliari.
  • Angiografia e colangiografia: entrambe le tecniche prevedono l'uso di raggi X e l'iniezione di mezzo di contrato all'interno dei vasi sanguigni (angiografia) o dei dotti biliari (colangiografia). L'angiografia si effettua mediante inserzione di un sottile catetere in un'arteria all'inguine (arteria femorale) per poi farlo risalire nell'aorta fino a raggiungere l'emergenza dell'arteria che porta sangue all'organo oggetto dello studio) per il fegato l'arteria epatica ed i suoi rami più periferici). La colangiografia invece prevede l'iniezione del mezzo di contrasto attraverso la puntura percutanea del fegato e l'incanulamento con un sottile tubicino flessibile di un dotto biliare intraepatico. Attraverso questo tubicino è possibile effettuare prelievi di campioni tissutali ed anche manovre di dilatazione dell'eventuale restringimento.
  • Ecoendoscopia: un endoscopio dotato di una sonda ecografica all'estremità viene introdotto dalla bocca e giunto nello stomaco e nel duodeno permette di studiare ecograficamente le strutture adiacenti a questo viscere ed in particolare il pancreas e soprattutto dotto epatico comune, coledoco e colecisti. Grazie inoltre all'uso di aghi flessibili che passano attraverso la parete dello stomaco è possibile anche effettuare sotto diretto controllo ecografico prelievi di tessuto soprattutto dalle ghiandole linfatiche che si trovano in quell'area e che laddove sede di tumore determinano l'atteggiamento terapeutico.
  • Colangiografia retrograda endoscopica (ERCP): un endoscopio (tubo flessibile del calibro di circa un centimetro), inserito dalla bocca e fatto passare attraverso esofago e stomaco viene introdotto fino al duodeno a livello di una valvola (papilla di Vater) che rappresenta la porta di comunicazione tra dotto biliare (il coledoco) ed intestino (il duodeno appunto). Si procede quindi ad inserire nel dotto biliare attraverso la valvola un tubicino flessibile fatto giungere a tale livello attraverso un canalino all'interno dell'endoscopio stesso. Anche attraverso questo tubicino è possibile effettuare prelievi di campioni tissutali ed anche manovre di dilatazione dell'eventuale restringimento.
  • Colangioscopia e colangioecografia: sono tecniche relativamente nuove che utilizzano sottili cateteri rispettivamente con all'estremità una fibra ottica od una microsonda per ecografia. Il catetere può essere introdotto attraverso un endoscopio utilizzato per ERCP oppure utilizzando l'accesso di una col angiografia per cutanea (vedi sopra). Una volta inserito il tubo nel dotto biliare è possibile visualizzare la superficie interna del dotto stesso (colangioscopia) o la struttura come appare all'ecografia della parete duttale.
  • PET: un esame che consente di misurare il metabolismo delle cellule. Il glucosio radioattivo utilizzato per la PET viene incorporato dalle cellule e visualizzato grazie a specifici scanner. Un maggiore livello di incorporazione corrisponde a un metabolismo più elevato, tipico del tumore. La PET è molto utile laddove sia captante il tumore primitivo, soprattutto per verificare la presenza di metastasi a distanza ed in base a ciò indirizzare il tipo di trattamento.
  • Biopsia: consiste in un prelievo di tessuto che verrà poi analizzato per la ricerca di cellule tumorali. Se esami precedenti hanno evidenziato con certezza la presenza di un tumore della cistifellea, o della via biliare non è necessario procedere a una biopsia prima dell'asportazione chirurgica dell'organo. Dopo l'intervento di asportazione si procede in genere all'esame istologico per confermare la diagnosi e all'esame di campioni di tessuti vicini alla cistifellea prelevati nel corso dell'operazione al fine di verificare la presenza di metastasi. Al contrario, in caso di tumore non operabile la biopsia è necessaria per permette l'attivazione di terapia farmacologia mirata: il prelievo può essere effettuato sia attraverso la cure con ago che attraverso eventuali cateteri introdotti per via orale o per cutanea: in queste ultime due circostanze si tratta più spesso di raschiamento, effettuato mediante una speciale spazzolina delle pareti della via biliare allo scopo di raccogliere cellule o frammeni di tessuto dotto che vengono staccate a seguito della manovra stessa. Per quanto riguarda la biopsia e soprattutto il raschiamento (brushing) va detto che la loro negatività non esclude con certezza la presenza di malattia, e quindi il loro utilizzo ha scopo soprattutto c onfirmatorio.
  • Laparoscopia: è una procedura chirurgica che serve a visualizzare gli organi addominali. È molto utile per determinare la diffusione del tumore della cistifellea o della via biliare anche ad altre zone circostanti e soprattutto a livello della membrana che riveste gli organi interni all'addome e le pareti dell'addome stesso: il peritoneo. Si effettua inserendo nell'addome tramite una piccola incisione, una canula ed attraverso di essa un tubo molto sottile con l'estremità illuminata (laparoscopio). Con lo stesso strumento è possibile anche prelevare campioni di tessuto.

Come si cura
La scelta della terapia più adatta dipende da molteplici fattori tra i quali lo stadio e il tipo di tumore e le condizioni generali del paziente.

La chirurgia rappresenta il trattamento più efficace per la cura del tumore della cistifellea e tale efficacia è maggiore nei casi in cui il tumore non si sia già esteso ad altri organi. Il termine colecistectomia indica la rimozione chirurgica della cistifellea. Generalmente in presenza di un tumore della cistifellea non ci si limita a rimuovere la colecisti ma si procede ad estendere l'asportazione ad una parte più o meno estesa del fegato, ai linfonodi ed alla via biliare. L'estensione della rimozione è funzione dello stadio della malattia.

Talora un tumore della colecisti quando molto precoce può venire riconosciuto incidentalmente solo esaminando la cistifellea rimossa per la presenza di calcoli: in tal caso si dovrà procedere ad un nuovo intervento teso a radicalizzare la procedura precedentemente effettuata togliendo una piccola porzione di fegato ed i linfonodi.

La chirurgia è il trattamento più efficace anche per la cura del tumore delle vie biliari. Il tipo di intervento dipende dallo stadio e dalla posizione del tumore, ma si tratta comunque di interventi molto complessi che dovrebbero essere eseguiti in centri altamente specializzati.

Per il tumore intraepatico viene in genere rimosso il tumore stesso ed una porzione variabile di tessuto epatico. L'estensione della rimozione di tessuto epatico dipende dalla posizione del tumore, dai suoi rapporti con i vasi intraepatici e soprattutto dall'uso o meno della guida ecografica che oggi dovrebbe essere sempre utilizzata proprio allo scopo di ridurre il grado di aggressività del trattamento che è soprattutto legato alla quantità di tessuto che viene asportato. Il fegato infatti è in grado di tollerare la rimozione di una sua porzione purchè la stessa non superi percentualmente il 30-50% del suo volume: ciò in funzione anche delle condizioni del fegato stesso (normale, sede di accumulo di grasso intracellulare - steatosi, sede di epatite, o infine cirrotico).

Tanto peggiore è lo stato del fegato tanto minore sarà la percentuale di tessuto asportabile. Il rischio legato ad un eccesso di sacrificio di tessuto epatico è l'insorgenza di una insufficienza epatica postoperatoria. Laddove preoperatoriamente si preveda la rimozione di una quantità eccessiva di tessuto si può preparare il fegato a tollerarne il sacrificio attraverso l'embolizzazione (occlusione) del ramo di vena porta che irrora la parte di fegato da togliere (solitamente quella destra che è la più voluminosa): questa manovra indurrà nell'arco di qualche settimana la riduzione della porzione embolizzata e l'aumento di volume di quella ancora ben vascolarizzata.

Anche e soprattutto per il trattamento chirurgico del tumore della confluenza o di Klatskin occorre rimuovere una rilevante porzione di fegato oltre a dotto biliare, cistifellea e talvolta il pancreas. I restanti dotti biliari devono poi essere ricollegati all'intestino. Questo tipo di intervento per la sua complessità ed aggressività abbisogna di una preparazione meticolosa e talora lunga non potendo derogare al raggiungimento di un volume di fegato residuo sufficiente e di esami ematici sufficientemente buoni. Di questi è importante soprattutto il livello di bilirubina che si eleva in presenza di ostruito deflusso della bile come spesso accade in questi casi ma che deve essere entro livelli accettabili per consentire il trattamento chirurgico.

Il volume di fegato sufficiente laddove non già presente (i volumi del fegato si calcolano attraverso speciali programmi applicati a TAC e RMN) deve essere raggiunto come precisato poanzi mediante l'embolizzazione portale. Livelli di bilirubina prossimi alla norma devono invece essere ottenuti inserendo, preferenzialmente per via per cutanea, un catetere nella via biliare intraepatica generalmente solo della parte di fegato. Certamente, data la complessità delle procedure da attuare si tratta di un trattamento gravato da complicanze e che talvolta non può essere portato a compimento per il mancato raggiungimento delle condizioni necessarie a lasciarne presumere la buona riuscita.

Il tumore del dotto biliare distale si sviluppa in prossimità di pancreas e intestino, che devono in parte essere asportati durante l'intervento. Come nel caso dell'intervento per tumore della confluenza o di Klatskin si tratta di una procedura complessa e gravata da un alta percentuale di complicanze più o meno gravi. Infine, ma solo in casi particolari, sembra che il trapianto, la sostituzione completa del fegato, in associazione alla radioterapia possa offrire un'opzione di cura.

Sia nel caso del tumore della cistifellea che di quelli della via biliare intra ed extraepatica la chemioterapia non è molto efficace e viene in genere somministrata come trattamento adiuvante dopo l'asportazione chirurgica del tumore (cioè al fine di evitare le ricadute). Ad oggi tuttavia sono in fase di sperimentazione nuovi farmaci che potrebbero in futuro migliorare le possibilità terapeutiche della terapia farmacologia. Il farmaco può essere somministrato per via endovenosa oppure ingerito per via orale.

Le terapie palliative sono trattamenti mirati a controllare i sintomi negli stadi più avanzati della malattia o in caso di tumore non operabile. Nel caso di tumore delle vie biliari con la chirurgia palliativa, si possono creare, per esempio, bypass per oltrepassare il tratto di dotto biliare ostruito dal tumore e ripristinare il passaggio della bile. Attualmente tuttavia un analogo risultato può essere ottenuto inserendo direttamente nei dotti per mezzo di un endoscopio oppure direttamente per untura per cutanea dei tubi anche di metallo espandibile che permettono di mantenere pervi i dotti stessi.


 

  Chi è a rischio
Il fattore di rischio più comune per il tumore della cistifellea sono calcoli biliari: al momento della diagnosi di cancro della cistifellea nella maggior parte dei pazienti (75 - 90 per cento) viene infatti riscontrata la presenza di calcoli biliari o di processi infiammatori. Tuttavia non è detto che la presenza di calcoli o infiammazione diano origine al tumore, che è, fortunatamente, assai raro.

Anche altre particolari condizioni cliniche sembrano essere associate al tumore della cistifellea come, per esempio, la colecisti "a porcellana" (un ispessimento della parete dell'organo con inclusi alcuni microcalcoli), l'
adenoma della colecisti, le cisti del coledoco, oppure anormalità nella giunzione bilio-pancreatica (ovvero nel punto di attacco della cistifellea al pancreas) o nei dotti biliari che portano la bile fino all'intestino.

Il rischio di tumore delle vie biliari aumenta invece in presenza di infiammazione cronica del dotto biliare (colangite cronica) che in alcuni casi porta alla formazione di cicatrici nel dotto stesso (colangite sclerosante). Anche in questo caso alcune condizioni patologiche che possono causare infiammazione del dotto biliare fanno crescere il rischio di tumore; tra queste la colite ulcerosa (particolare forma di infiammazione cronica dell'intestino) e la presenza di calcoli nel dotto.

Altri fattori di rischio sono le cisti del coledoco, la dilatazione congenita dei dotti biliari intraepatici e la cirrosi (soprattutto quella causata da colangite sclerosante cronica). Entrambi i tumori si presentano in genere in pazienti di età superiore ai 65 anni. Il tumore della cistifellea è più frequente nelle donne. Il rischio cresce nel caso di obesità e di una dieta ricca di carboidrati e povera di fibre.

È presente anche una componente ereditaria: le persone con una storia familiare di tumore della cistifellea o delle vie biliari sono più a rischio di sviluppare queste patologie, ma il rischio è in realtà basso poiché si tratta di tumori rari. La presenza di epatite virale può causare un aumento del rischio, soprattutto per quanto riguarda il carcinoma del dotto biliare intraepatico.

Infine, l'esposizione ad alcune sostanze chimiche tra le quali, per esempio, la diossina e il fumo potrebbe costituire un fattore di rischio di colangiocarcinoma, soprattutto per le persone che soffrono di colangite sclerosante.


 
Quanto sono diffusi

Il tumore della cistifellea (e delle vie biliari extraepatiche) è piuttosto raro: rappresenta lo 0,8 per cento del totale dei tumori diagnosticati nei negli uomini e l'1,6 per cento di quelli nelle donne. In Italia vengono in media diagnosticati ogni anno 6,6 casi di tumore della cistifelle a ogni 100.000 uomini e 9,6 ogni 100.000 donne.

L'
incidenza varia notevolmente nelle diverse regioni italiane con tassi tre volte più alti nelle zone a maggiore incidenza rispetto a quelle in cui il tumore è meno frequente.

   Prevenzione
Non esistono strategie specifiche per prevenire il tumore della cistifellea e quello delle vie biliari, ma alcuni comportamenti, come per esempio evitare il soprappeso e l'obesità, possono contribuire a ridurre il rischio.

Per quanto riguarda il colangiocarcinoma è inoltre opportuno evitare l'esposizione a sostanze chimiche, fumo e alcol. Anche la vaccinazione contro il virus dell'epatite è importante nel diminuire il rischio.

G) TUMORE DEL COLON-RETTO

L'intestino è l'organo deputato all'assorbimento delle sostanze nutritive che provengono dall'alimentazione. È un tubo della lunghezza di circa 7 metri (ma può variare dai 4 ai 10 metri o anche più) suddiviso in intestino tenue, o piccolo intestino (a sua volta ripartito in duodeno, digiuno e ileo), e intestino crasso, o grosso intestino.
Quest'ultima parte è formata dal colon destro o ascendente (con l'appendice), dal colon trasverso, dal colon sinistro o discendente, dal sigma e dal retto.
Il tumore del colon-retto è dovuto alla proliferazione incontrollata delle cellule della mucosa che riveste questo organo. C'è anche chi distingue tra tumore del colon vero e proprio e tumore del retto, ovvero dell'ultimo tratto dell'intestino, in quanto possono manifestarsi con modalità e frequenze diverse.
 
Tipologie
La maggior parte dei tumori del colon-retto deriva dalla trasformazione in senso maligno di polipi, ovvero di piccole escrescenze, di per sé benigne, dovute al proliferare delle cellule della mucosa intestinale. Il polipo può essere definito, in base alle sue caratteristiche, sessile (cioè con la base piatta) o peduncolato (ovvero attaccato alla parete intestinale mediante un piccolo gambo).
Non tutti i polipi, però, sono a rischio di malignità. Ve ne sono infatti tre diversi tipi: i cosiddetti polipi iperplastici (cioè caratterizzati da una mucosa a rapida proliferazione), amartomatosi (detti anche polipi giovanili e polipi di Peutz-Jeghers) e adenomatosi. Solo questi ultimi costituiscono lesioni precancerose e di essi solo una piccola percentuale si trasforma in neoplasia maligna.
La probabilità che un polipo del colon si evolva verso una forma invasiva di cancro dipende dalla dimensione del polipo stesso: è minima (inferiore al 2 per cento) per dimensioni inferiori a 1,5 cm, intermedia (2-10 per cento) per dimensioni di 1,5-2,5 cm e significativa (10 per cento) per dimensioni maggiori di 2,5 cm. Una volta trasformatasi in tessuto canceroso, la mucosa intestinale può presentarsi con caratteristiche diverse a seconda dell'aspetto visibile al microscopio, e di conseguenza prendere un nome diverso: adenocarcinoma, adenocarcinoma mucinoso, adenocarcinoma a cellule ad anello con castone, carcinoma (più raro). Inoltre tutti i cancri del colon-retto possono avere un aspetto a polipo, a nodulo oppure manifestarsi con ulcere della mucosa.
 
Evoluzione
È possibile determinare con un prelievo di sangue i valori di CEA (antigene carcino-embrionario): questo marcatore, di scarsa utilità nella diagnosi precoce e nello screening, riveste invece un ruolo importante per valutare la gravità della malattia, in quanto la concentrazione è direttamente collegata all'estensione del cancro. Il CEA è anche utile nel monitoraggio della risposta al trattamento farmacologico (scende infatti se la chemioterapia è efficace) o per la verifica della ripresa della malattia (risale in caso di ricadute). Oltre al CEA viene utilizzato anche un altro marcatore, il CA 19.9 detto anche GIKA.
Contrariamente agli altri tipi di cancro, per i quali esiste una classificazione pressoché univoca, per il tumore del colon-retto esistono diverse forme di classificazione, sulle quali non sempre i diversi medici concordano. La più usata resta comunque quella che si riferisce al sistema TNM (dove T sta per la dimensione del tumore, N per il numero di linfonodi coinvolti e M per le metastasi).
 
Sintomi
Nella maggior parte dei casi i polipi non danno sintomi; solo nel 5 per cento dei casi possono dar luogo a piccole perdite di sangue rilevabili con un esame delle feci per la ricerca del cosiddetto "sangue occulto".
Il tumore del colon-retto si manifesta, nella metà dei casi, nel sigma (ovvero nell'ultima parte del colon vero e proprio) e nel retto; in un quarto di malati è il colon ascendente a essere colpito, mentre la localizzazione della malattia nel colon trasverso e in quello discendente si verifica in un caso su cinque circa.
Al momento della diagnosi, circa un terzo dei malati presenta già metastasi a livello del fegato e, comunque, una parte delle persone colpite andrà incontro a una diffusione della malattia a livello del fegato, perché i due organi sono strettamente collegati dal punto di vista della circolazione sanguigna. I sintomi sono molto variabili e condizionati da diversi fattori quali la sede del tumore, la sua estensione e la presenza o assenza di ostruzioni o emorragie: ciò fa sì che le manifestazioni del cancro siano sovente sovrapponibili a quelle di molte altre malattie addominali o intestinali. Per questo sintomi precoci, vaghi e saltuari quali la stanchezza e la mancanza di appetito, e altri più gravi come l'anemia e la perdita di peso, sono spesso trascurati dal paziente. Talora una stitichezza ostinata, alternata a diarrea, può costituire un primo campanello d'allarme.
 
Diagnosi
La diagnosi si avvale dell'esame clinico, che consiste nella palpazione dell'addome alla ricerca di eventuali masse a livello dell'intestino, del fegato e dei linfonodi, e nell'esplorazione rettale (circa il 70 per cento dei tumori del retto si sente con le dita).
In aggiunta alla clinica esistono poi diverse indagini strumentali che permettono di diagnosticare il tumore e, in seguito, di eseguirne la stadiazione, ovvero di valutarne la gravità. L'esame più specifico è la colonscopia che, grazie alla possibilità di eseguire una biopsia, consente di fare subito l'analisi istologica, ovvero l'esame del tessuto. In alternativa, quando la lesione ha raggiunto una grandezza superiore a un centimetro, si possono utilizzare altre metodiche, quali il clisma opaco a doppio contrasto e l'ecografia transrettale, che è utile anche per definire, in fase preoperatoria, il grado di infiltrazione del tumore nella parete dell'intestino; l'ecografia fornisce anche indicazioni sullo stato dei linfonodi più vicini.
Inoltre ci si può avvalere anche della TAC addome con mezzo di contrasto: essa permette di valutare i rapporti con gli organi circostanti, lo stato dei linfonodi e le eventuali metastasi presenti nell'addome. Per identificare l'esistenza di metastasi a distanza si può fare una radiografia del torace (o una TAC torace, se indicata), un'ecografia epatica, una scintigrafia ossea e la biopsia di eventuali lesioni. Talvolta vengono utilizzati a questo scopo anche la risonanza magnetica o la PET (tomografia a emissione di positroni).
Come si cura
La terapia di scelta è la chirurgia: sulla base della posizione del tumore si procederà con un intervento parziale o, nei casi più gravi, con la totale asportazione del tratto di colon interessato o del retto.
Rispetto agli interventi demolitivi effettuati fino a non molti anni fa, la chirurgia del carcinoma del retto si è fatta sempre più conservativa. Solo nei pazienti molto anziani o ad alto rischio si procede alla creazione della cosiddetta stomia (ovvero all'apertura dell'intestino sulla parete addominale con la creazione del cosiddetto ano artificiale, ovvero un'apertura che consenta di raccogliere le feci con appositi presidi).
In questo caso assume un ruolo fondamentale la riabilitazione sia fisica sia psicologica dei pazienti portatori di stomia. La radioterapia preoperatoria può, in casi selezionati, ridurre il volume e l'estensione tumorale, permettendo quindi interventi chirurgici che conservano l'orifizio anale naturale.
Un altro intervento, attuato in casi selezionati, è la resezione di eventuali metastasi al fegato. Quando si procede all'asportazione del retto è possibile, in alcuni casi, creare una tasca con un altro tratto di intestino, in modo da consentire al paziente di eliminare le feci per via naturale: ciò è fattibile solo se il cancro non ha coinvolto lo sfintere anale.
La chemioterapia svolge un ruolo fondamentale nella malattia avanzata non operabile, ma non solo. Recentemente sono stati intrapresi diversi studi per valutare l'efficacia di un trattamento chemioterapico cosiddetto adiuvante, cioè effettuato dopo l'intervento chirurgico per diminuire il rischio di ricaduta (come avviene già per il tumore della mammella): i primi dati a disposizione sono positivi. Sono positivi anche gli studi sulla terapia neoadiuvante, cioè effettuata prima dell'intervento per ridurre la dimensione del tumore e facilitare il compito del chirurgo.
Infine, nel tumore del retto, la radioterapia sia pre sia post operatoria, a seconda delle indicazioni, svolge un ruolo fondamentale: è stato dimostrato infatti che essa è in grado di diminuire le ricadute locali e di allungare la sopravvivenza.
Un discorso a parte meritano i farmaci biologici, ultilizzati al momento solo in alcune situazioni particolari. Il bevacizumab è un anticorpo monoclonale, diretto contro la proteina VEGF. È indicato come trattamento per il tumore del colon-retto avanzato in associazione alla chemioterapia. Il cetuximab è un anticorpo monoclonale diretto contro la proteina EGFR. È stato registrato per l'uso con irinotecan (un chemioterapico classico) nei pazienti già trattati per tumore del colon avanzato con cellule tumorali positive per EGFR.
Infine è in sperimentazione l'erlotinib, una piccola molecola diretta contro EGFR, somministrabile per bocca.
Chi è a rischio
Molte sono le cause che concorrono a determinare la malattia: tra esse ne sono state individuate alcune legate alla dieta e all'alimentazione, altre genetiche e altre di tipo non ereditario.
  • Fattori nutrizionali: molti studi dimostrano che una dieta ad alto contenuto di calorie, ricca di grassi animali e povera di fibre è associata a un aumento dei tumori intestinali; viceversa, diete ricche di fibre (cioè caratterizzate da un alto consumo di frutta e vegetali) sembrano avere un ruolo protettivo.
  • Fattori genetici: è possibile ereditare il rischio di ammalarsi di tumore del colon-retto se nella famiglia d'origine si sono manifestate alcune malattie che predispongono alla formazione di tumori intestinali. Tra queste sono da segnalare le poliposi adenomatose ereditarie (tra cui l'adenomatosi poliposa familiare o FAP, la sindrome di Gardner e quella di Turcot) e quella che viene chiamata carcinosi ereditaria del colon-retto su base non poliposica (detta anche HNPCC o sindrome di Lynch). Si tratta di malattie trasmesse da genitori portatori di specifiche alterazioni genetiche, e che possono anche non dar luogo ad alcun sintomo. La probabilità di trasmettere alla prole il gene alterato è del 50 per cento, indipendentemente dal sesso.
  • Fattori non ereditari: sono importanti l'età (l'incidenza è 10 volte superiore tra le persone di età compresa tra i 60 e i 64 anni rispetto a coloro che hanno 40-44 anni), le malattie infiammatorie croniche intestinali (tra le quali la rettocolite ulcerosa e il morbo di Crohn), una storia clinica passata di polipi del colon o di un pregresso tumore del colon-retto. Polipi e carcinomi che non rientrano tra le sindromi ereditarie illustrate sopra vengono definiti "sporadici", sebbene anche in questo caso sembra vi sia una certa predisposizione familiare. Si stima che il rischio di sviluppare un tumore del colon aumenti di 2 o 3 volte nei parenti di primo grado di una persona affetta da cancro o da polipi del grosso intestino.
Quanto è diffuso

Nei Paesi occidentali il cancro del colon-retto rappresenta il terzo tumore maligno per incidenza e mortalità , dopo quello della mammella nella donna e quello del polmone nell'uomo.
La malattia, abbastanza rara prima dei 40 anni, è sempre più frequente a partire dai 60 anni, raggiunge il picco massimo verso gli 80 anni e colpisce in egual misura uomini e donne.
Negli ultimi anni si è assistito a un aumento del numero di tumori, ma anche a una diminuzione della mortalità, attribuibile soprattutto a un'informazione più adeguata, alla diagnosi precoce e ai miglioramenti nel campo della terapia.
 
Prevenzione
Se una persona sa di essere a rischio elevato perché ha avuto parenti con questo tumore in uno o l'altro dei rami familiari, è opportuno che adotti una dieta con pochi grassi e poca carne e ricca di fibre, vegetali e frutta.
Un esame poco praticato in Italia, ma molto utile, è l'esplorazione rettale da parte del medico. Andrebbe effettuata almeno una volta l'anno nel corso di una normale visita dal medico di famiglia e consentirebbe di individuare precocemente un buon numero di tumori del retto.
La ricerca del sangue occulto nelle feci è in grado di identificare il 25 per cento circa dei cancri del colon-retto. Se viene associata a una colonscopia (ovvero a un esame del colon con un apposito tubo flessibile), effettuata ogni dieci anni dopo i 50 anni di età, è in grado di individuare il 75 per cento dei tumori.
Alcune società scientifiche, come l'American Cancer Society, raccomandano di sottoporsi a queste due pratiche di screening appena compiuti i 50 anni, indipendentemente dalla presenza di una familiarità per il tumore. Secondo altre società scientifiche, la colonscopia dovrebbe essere un esame di secondo livello (ovvero da farsi solo se la ricerca del sangue occulto è positiva, oppure nelle persone ad alto rischio per ragioni genetiche o di familiarità).
È invece certo che vi si devono sottoporre tutti coloro che manifestano sintomi intestinali compatibili con la diagnosi di tumore del colon e coloro che hanno avuto un familiare con queste patologie. In questo caso le colonscopie vengono effettuate più frequentemente, in genere ogni cinque anni, mentre la ricerca del sangue occulto nelle feci viene fatta ogni anno.
A tavola con la scienza
Tra i fattori di rischio legati allo stile di vita, la dieta rappresenta quello più studiato. Benché la ricerca abbia fornito in merito risultati in parte contrastanti, ora si può affermare con una relativa certezza che una dieta ad alto contenuto di grassi animali e proteine (che provoca a sua volta il rilascio nell'intestino di grandi quantità di acidi biliari) è in grado di favorire la trasformazione maligna di eventuali polipi del colon preesistenti. Ciò significa che la dieta sbagliata difficilmente sarà l'unica causa di un tumore del colon, ma che può dare una mano, in senso negativo, ad altri fattori di rischio. I grassi vegetali, invece, ovvero i cosiddetti grassi insaturi, non sono rischiosi.
A proteggere ci pensano invece le fibre alimentari, in particolare quelle che non vengono digerite, come la crusca. L'effetto protettivo delle fibre è stato ipotizzato in base all'osservazione che le popolazioni vegetariane hanno un'incidenza di carcinoma del colon-retto ridotta del 30 per cento circa.
Ecco alcune semplici regole messe a punto dal National Cancer Institute statunistense per prevenire questo tipo di tumore:
  • ridurre l'assunzione di grassi animali al 30 per cento delle calorie totali;
  • consumare quotidianamente frutta e verdura;
  • limitare l'alcol a un bicchiere di vino a pasto;
  • dimagrire se si è obesi, evitare di ingrassare;
  • aumentare l'apporto di fibre;
  • limitare al massimo il consumo di cibi con conservanti (compreso il sale) o affumicati

H) TUMORE ALL'ESOFAGO

L'esofago è il condotto attraverso cui gli alimenti e i liquidi che ingeriamo passano dalla gola allo stomaco.
Lungo 25-30 centimetri e largo 2-3 centimetri, l'esofago ha pareti foderate di muscoli che, contraendosi all'atto della deglutizione, spingono il cibo verso il basso in direzione dello stomaco, dal quale è separato da una valvola, detta cardias, che impedisce a cibo e succhi gastrici di risalire. La mucosa che lo riveste è ricca di ghiandole produttrici di muco, che ha la funzione di lubrificare le pareti facilitando il transito del cibo deglutito.
Il tumore dell'esofago è dovuto alla crescita incontrollata delle cellule che lo rivestono internamente oppure delle cellule che formano le ghiandole che producono il muco.
 
Tipologie
A seconda del tessuto da cui prende origine, si distinguono due tipi di tumore:
  • il carcinoma a cellule squamose (squamocellulare o spinocellulare), che si sviluppa di solito nella parte superiore e centrale del canale a carico delle cellule di rivestimento, è il più comune e rappresenta il 60 per cento dei tumori esofagei;
  • l'adenocarcinoma, che origina dalle ghiandole della mucosa e inizia più di frequente nell'ultimo tratto, vicino alla giunzione con lo stomaco (terzo inferiore).
    L'adenocarcinoma può originare anche da isole di mucosa gastrica fuori sede o da ghiandole del cardias o della sottomucosa esofagea. Questo tipo di neoplasia costituisce circa il 30 per cento dei tumori esofagei .
Per quanto riguarda la sede di origine, il 50 per cento nasce dal terzo medio, il 35 per cento dal terzo inferiore e il 15 per cento dal terzo superiore dell'organo. La posizione del tumore condiziona la possibilità di operare e la tecnica di intervento utilizzabile.
 
Evoluzione
La classificazione in stadi dei tumori dell'esofago segue il sistema TNM (dove la sigla T si riferisce al tumore primitivo, la N è relativa all'interessamento dei linfonodi e la M alla presenza di metastasi a distanza).
Esiste anche una classificazione semplificata per stadi (dal I al IV).
  • Stadio 0 (carcinoma in situ): il tumore è in stadio iniziale e interessa solo i primi strati delle cellule della mucosa esofagea. Questo stadio è anche detto carcinoma in situ.
  • Stadio I: il tumore si è diffuso oltre la mucosa invadendo lo strato muscolare della parete esofagea, ma non si è diffuso ai tessuti adiacenti, né ai linfonodi, né ad altri organi.
  • Stadio IIA: il tumore ha invaso lo strato muscolare o la parete esterna (avventizia) dell'esofago senza interessamento dei linfonodi.
  • Stadio IIB: il tumore ha invaso fino alla tonaca muscolare e interessa i linfonodi regionali.
  • Stadio III: il tumore ha invaso la parete esterna dell'esofago e potrebbe aver coinvolto anche i tessuti o i linfonodi adiacenti, ma non ha dato metastasi a distanza.
  • Stadio IV: stadio IVA: il tumore ha invaso i linfonodi regionali o distali; stadio IVB: il tumore ha invaso i linfonodi distali e/o altri organi.
Sintomi
Quasi sempre i sintomi iniziali del tumore dell'esofago sono la perdita progressiva di peso preceduta dalla disfagia , cioè dalla difficoltà a deglutire, che di solito compare in modo graduale prima per i cibi solidi e successivamente per quelli liquidi. Questi sintomi sono riferiti dal 90 per cento dei pazienti.
Inoltre, la crescita del tumore verso l'esterno dell'esofago può provocare un calo o un'alterazione del tono di voce perché coinvolge i nervi che governano l'emissione dei suoni, oppure indurre una paralisi del diaframma o, ancora, un dolore al torace, appena dietro lo sterno, se coinvolge la zona tra cuore, polmoni, sterno e colonna vertebrale.
Negli stadi più avanzati di sviluppo del tumore la capacità di assumere cibo può diventare faticosa. Se il tumore è ulcerato, la deglutizione potrebbe anche diventare dolorosa. Quando la massa del tumore ostacola la discesa del cibo lungo l'esofago si possono verificare episodi di rigurgito.
Nelle forme più avanzate possono inoltre ingrossarsi i linfonodi ai lati del collo e sopra la clavicola, oppure può formarsi del liquido nel rivestimento del polmone (versamento pleurico) con comparsa di dispnea (difficoltà a respirare), oppure ancora possono comparire dolori alle ossa o un aumento delle dimensioni del fegato: la causa di questi sintomi è in genere legata alla presenza di metastasi. I recenti dati prodotti da Registro italiano tumori segnalano una sopravvivenza a 5 anni che in media non supera il 12 per cento se la malattia è stata diagnosticata in fase avanzata, mentre è molto più elevata se scoperta in fase iniziale.
 
Diagnosi
Nei pazienti sintomatici la strategia diagnostica include una radiografia dell'esofago con mezzo di contrasto e un'endoscopia esofagea (l'esofagogastroscopia) che consente di vedere l'eventuale lesione e di ottenere materiale per un esame delle cellule. L'associazione delle due procedure aumenta la sensibilità diagnostica al 99 per cento: la radiografia serve a escludere la presenza di malattie associate, ma l'esofagogastroscopia è l'esame a maggiore valore diagnostico, in quanto permette di visualizzare direttamente le strutture e di eseguire prelievi bioptici.
L'ecoendoscopia è invece un altro tipo di esame che consente di determinare in maniera più accurata quanto è profonda l'infiltrazione degli strati della parete esofagea e può evidenziare anche linfonodi sospetti per coinvolgimento metastatico.
Una volta individuato il tumore, a completamento degli esami diagnostici è opportuno fare una radiografia del torace e una tomografia computerizzata (TAC) del torace e dell'addome per escludere la presenza di metastasi a distanza.
 
Come si cura
Per curare il tumore dell'esofago, in primo luogo, si ricorre alla chirurgia. È però difficile operare le lesioni del terzo superiore dell'esofago, oppure i casi in cui il tumore ha già coinvolto gli organi vicini come trachea e bronchi. Controindicano talvolta l'operazione anche le metastasi a distanza, le condizioni generali di salute precarie oppure la presenza di altre malattie.
L'intervento di solito consiste nell'asportazione del tratto di esofago interessato dal tumore, di un pezzetto dello stomaco e dei linfonodi regionali, procedura chiamata in gergo medico "esofagogastrectomia parziale con linfoadenectomia regionale". Nei pazienti non operabili la chemioterapia accompagnata da radioterapia è il trattamento di scelta, dato che la combinazione delle due cure aumenta la sopravvivenza rispetto alle singole opzioni.
Nei casi operabili ma localmente avanzati o con sospette metastasi ai linfonodi può essere indicata la chemioterapia, eventualmente associata alla radioterapia, prima dell'intervento chirurgico (terapia neoadiuvante).
Infine i pazienti in fase avanzata con difficoltà a deglutire e dolore, nei quali non è proponibile né il trattamento chirurgico né quello chemio-radioterapico, possono trarre beneficio da cure palliative che permettano un adeguato supporto alimentare. Queste possono consistere nel posizionamento per via endoscopica di un tubo rigido in plastica, silicone o anche in metallo attraverso l'esofago che consenta il passaggio del cibo oppure la laser-terapia, che consiste nell'uso di un raggio laser diretto sul tumore per ricreare il passaggio.
 
Chi è a rischio
Le cause che possono determinare la malattia sono diverse: alcune sono genetiche, altre legate alla dieta, altre allo stile di vita e altre ancora sono di origine infiammatoria.
  • Fattori genetici: il tumore dell'esofago, nella forma squamocellulare (vedi "TIPOLOGIE" ), compare in quasi tutti i pazienti affetti da tilosi palmare e plantare, una rara malattia ereditaria contraddistinta da ispessimento della pelle delle palme delle mani e delle piante dei piedi (ipercheratosi) e da papillomatosi dell'esofago, ovvero dalla formazione di piccole escrescenze dette appunto papillomi.
  • Alcol e tabacco: sono tra i fattori di rischio più rilevanti, dato che in Europa e Stati Uniti l'80-90 per cento dei tumori esofagei è provocato dal consumo di alcol e tabacco, fumato o masticato. I fumatori hanno probabilità di ammalarsi 5-10 volte maggiori rispetto ai non fumatori, a seconda del numero di sigarette fumate e degli anni di abitudine al fumo, i cui effetti vengono moltiplicati dall'alcol. Quest'ultimo, infatti, oltre ad agire come causa tumorale diretta, potenzia l'azione cancerogena del fumo, e le persone che consumano sigarette e alcol insieme hanno un rischio di ammalarsi di cancro esofageo aumentato fino a 100 volte.
  • Dieta: una dieta povera di frutta e verdura e un ridotto apporto di vitamina A e di alcuni metalli come zinco e molibdeno possono aumentare il rischio di tumore dell'esofago. Una dieta ricca di grassi, e il conseguente aumento del grasso corporeo, influisce direttamente sul livello di molti ormoni che creano l'ambiente favorevole per l'insorgenza dei tumori (carcinogenesi). Il sovrappeso e l'obesità si associano spesso a reflusso gastroesofageo con un conseguente rischio di sviluppare la patologia dell'esofago di Barrett (che si riscontra nell'8-20 per cento dei portatori di malattia da reflusso gastroesofageo).
  • Fattori infiammatori:l'infiammazione cronica della mucosa che riveste l'esofago aumenta il rischio. La forma più frequente è l'esofagite peptica, cioè l'infiammazione cronica della parte terminale dell'esofago causata dal reflusso di succhi gastrici acidi dovuta a una tenuta difettosa della giunzione che separa l'esofago dallo stomaco. L'irritazione cronica fa sì che, a lungo andare, l'epitelio dell'esofago (ovvero il tessuto di rivestimento interno dell'organo) venga sostituito da uno simile a quello dello stomaco, sul quale poi si può sviluppare il tumore. Questa situazione prende il nome di "esofago di Barrett" ed è considerata una vera e propria precancerosi, che richiede talvolta anche il ricorso alla chirurgia al fine di evitare la completa trasformazione dell'epitelio in maligno.
Quanto è diffuso

Il tumore dell'esofago è il sesto tumore più comune nei paesi non industrializzati, mentre è al diciottesimo posto nei paesi industrializzati, e colpisce prevalentemente i maschi (è tre volte più frequente negli uomini che nelle donne).
Si sviluppa nella maggior parte dei casi dopo la sesta decade di vita. L'incidenza geografica è variabile: i paesi orientali, tra cui la Cina e Singapore, sono quelli dove la mortalità è più elevata e i casi sono circa 20-30 l'anno ogni 100.000 abitanti. In Italia il tasso di incidenza annuo è di circa 4 casi su 100.000.
Poiché si tratta di una forma di cancro molto aggressiva, la mortalità è abbastanza elevata.
 
Prevenzione
Evitare alcol e fumo sono le principali precauzioni per prevenire la forma squamocellulare di tumore dell'esofago.
Per quanto riguarda invece l'adenocarcinoma, nella maggioranza dei casi si sviluppa da un'esofago di Barrett (vedi "CHI È A RISCHIO"), e quindi la maniera più efficace di prevenirlo è quella di ridurre il rischio di reflusso gastroesofageo che provoca l'esofagite cronica: ciò si ottiene riducendo il consumo di caffè, di alcol e di sigarette, ma anche il sovrappeso e l'obesità.
Sebbene diversi farmaci antiacidi siano in grado di controllare i sintomi da reflusso, non ci sono finora dimostrazioni scientifiche di una loro efficacia nel ridurre la comparsa dell'esofago di Barrett. Pur non essendo disponibili esami di screening nei pazienti sani, la diagnosi precoce diventa estremamente importante una volta che l'esofago di Barrett si è sviluppato, per cogliere in tempo la sua eventuale trasformazione maligna.
Nei pazienti in cui la mucosa esofagea si è semplicemente trasformata in mucosa gastrica è consigliata un'endoscopia ogni due o tre anni. Viceversa, nei pazienti in cui le cellule trasformate mostrino segni di anormalità (displasia) si raccomanda di ripetere l'endoscopia almeno due volte a distanza di sei mesi e poi una volta l'anno.
Infine, se il grado di displasia è elevato (cioè se le cellule sono molto trasformate), è consigliabile l'asportazione endoscopica o addirittura l'intervento chirurgico, dato che si tratta di condizione precancerosa a elevato rischio di trasformazione maligna.
Sebbene diversi farmaci antiacidi siano in grado di controllare i sintomi da reflusso, non ci sono finora dimostrazioni scientifiche di una loro efficacia nel ridurre la comparsa dell'esofago di Barrett.

I) TUMORE AL FEGATO
Il fegato è il più grande organo del corpo; è situato nella parte destra dell'addome ed è diviso in due lobi, uno destro, più grande, e uno sinistro.
Il fegato è fondamentale per il mantenimento di uno stato di buona salute: rimuove le sostanze di scarto dal sangue e produce la bile e molti enzimi necessari alla digestione. È irrorato da due grossi vasi: l'arteria epatica e la vena porta. Il tumore del fegato è provocato dalla proliferazione incontrollata di cellule all'interno dell'organo.
 
Tipologie
I tumori primari del fegato (cioè quelli nati nell'organo e non provocati da cellule staccatesi da altri tumori e migrate fino al fegato, le cosiddette metastasi) hanno per lo più inizio dalle cellule interne dell'organo, chiamate epatociti. In questo caso si parla di carcinoma epatocellulare o, più raramente, di epatoma; questi tumori tendono a diffondersi alle ossa e ai polmoni.
Più spesso, tuttavia, le neoplasie che colpiscono il fegato sono secondarie, cioè derivano da tumori che nascono altrove (per esempio nel colon, nella mammella o nel polmone).
I tumori del fegato possono svilupparsi anche nei bambini: in questi casi si parla di epatoblastoma.

Evoluzione
Una volta che si è accertata la presenza di un tumore del fegato, il medico effettua la stadiazione, cioè la definizione del grado di malignità e di espansione del tumore finalizzata alla programmazione della cura (in genere utilizza il sistema TNM). Nel caso del tumore del fegato, questa fase è particolarmente importante per decidere se è possibile o meno procedere per via chirurgica, perché la maggior parte dei tumori epatici non può essere rimossa con il bisturi.
Il tumore del fegato è molto grave a causa del ruolo fondamentale dell'organo e dei suoi rapporti con gli altri organi addominali. La sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è molto bassa e si aggira attorno al cinque per cento, anche perché la malattia viene molto spesso scoperta quando è già estesa, non dando alcun sintomo nelle fasi inziali.
 
Sintomi
Il tumore del fegato è stato anche chiamato tumore silenzioso perché, soprattutto nelle fasi iniziali, non dà alcun segno di sè. Via via che la malattia si diffonde, però, iniziano a comparire i sintomi specifici, tra i quali il dolore alla parte superiore dell'addome, che si può irradiare anche alla schiena e alle spalle, l'ingrossamento del ventre, la perdita di peso e di appetito, la nausea, il vomito, la sensazione di sazietà, la stanchezza, l'ittero (ovvero il colore giallo della pelle), la colorazione scura delle urine e la febbre.
Si tratta di sintomi poco specifici, che possono presentarsi anche in malattie del tutto diverse. In ogni caso vanno riferiti al medico, che valuterà la situazione.
 
Diagnosi
Esistono diversi modi per verificare la presenza di un tumore del fegato e, in generale, la salute dell'organo. Ecco quali:
  • esame obiettivo:
    il medico tasta l'addome per verificare le dimensioni del fegato, della milza e degli organi vicini, per controllarne le dimensioni e l'eventuale presenza di masse sospette. Inoltre verifica la presenza di ascite, cioè di liquido in quantità abnorme nel ventre, e osserva il colore della pelle e del bianco degli occhi, per vedere se c'è ittero.
  • esami del sangue:
    ci sono diversi parametri che suggeriscono una malattia del fegato quali, per esempio, i dosaggi delle transaminasi e della bilirubina. Il marcatore tumorale, una proteina che si associa alla presenza di neoplasia, più significativo è l'alfa-fetoproteina anche se è espressa con valori patologici in solo circa la metà dei pazienti affetti da tumore.
  • TAC (tomografia computerizzata):
    è un esame radiologico effettuato da una macchina che rileva immagini da diverse sezioni dell'organo; i dati acquisiti vengono poi elaborati da un computer che ricostruisce un'immagine dettagliata del fegato, degli organi vicini e dei vasi sanguigni. Talvolta il potere dello strumento è amplificato con specifici liquidi di contrasto. La TAC consente di vedere un eventuale tumore nel fegato e in tutti gli organi addominali.
  • ecografia:
    grazie all'eco degli ultrasuoni si ottiene, in modo del tutto innocuo, un'immagine del fegato e degli organi circostanti. Le masse tumorali danno un'eco diversa dai tessuti sani e possono essere identificate con facilità.
  • risonanza magnetica:
    un altro tipo di immagini è quello che si forma grazie ai campi magnetici generati da un magnete collegato a un computer. Ancora una volta, le zone colpite da un tumore danno immagini che possono essere distinte da quelle dei tessuti sani.
  • angiografia epatica:
    è un esame radiologico che richiede il ricovero e l'anestesia perché si avvale dell'amplificazione dell'immagine data da un mezzo di contrasto iniettato nell'arteria epatica; consente di visualizzare i vasi che irrorano il fegato ed eventuali tumori che vi si annidano.
  • biopsia:
    è l'esame istologico del tessuto epatico. Per lo più viene effettuato in anestesia locale ma richiede comunque un breve ricovero. Il medico inserisce un ago molto sottile nell'addome e preleva un campione di tessuto con la guida dell'immagine della TAC o dell'ecografia, oppure effettua il prelievo con un ago più grande. In alternativa, il prelievo si può effettuare con una sonda che è la stessa che fornisce l'immagine dell'organo (laparoscopia) o attraverso una piccola incisione nell'addome o, ancora, durante un vero e proprio intervento chirurgico.
Come si cura
Il tumore del fegato è complesso da curare e può essere affrontato in diversi modi e da diversi specialisti. Per questo è importante che il malato venga informato correttamente e sia parte attiva nelle decisioni che lo riguardano.
Una vera e propria cura si ottiene solo quando la malattia è colta nelle fasi precoci e solo se il paziente si trova in uno stato di salute abbastanza buono da poter affrontare un intervento chirurgico che è sempre impegnativo. Gli altri approcci non chirurgici possono comunque avere un ruolo nell'evitare che la malattia si diffonda e nel mantenere una qualità di vita accettabile.
Gli interventi terapeutici dipendono dal numero di masse tumorali presenti, dalla loro posizione, dal loro volume e dal fatto che abbiano o meno iniziato a diffondersi anche al di fuori dell'organo; inoltre lo stato di salute del paziente gioca un ruolo molto importante nelle decisioni. In generale possono essere classificati in base alla gravità del tumore:
  • tumore localizzato e operabile:
    se la massa è unica (o se sono comunque poche) e non si è diffusa, e il fegato ha ancora una buona funzionalità, si può intervenire per via chirurgica, asportando la parte del fegato (epatectomia) che contiene il o i tumori. A seconda della situazione si può arrivare a rimuovere anche un intero lobo, perché la parte restante può essere sufficiente a svolgere le normali funzioni. In casi estremi è possibile anche asportare tutto l'organo e sostituirlo con un trapianto.
  • tumore localizzato non operabile:
    il tumore, anche se è confinato, talvolta non è operabile a causa della cirrosi o di altre condizioni che compromettono la funzionalità dell'organo o la salute in generale. In questi casi, per migliorare la qualità della vita e allungarne la durata, si può comunque procedere con uno di questi approcci:
    • termoablazione:
      la massa viene neutralizzata con il calore generato da una sonda che vibra secondo le frequenze radio oppure con il laser o con le microonde.
    • iniezione percutanea di etanolo:
      l'etanolo, un alcol che uccide le cellule tumorali, viene iniettato direttamente nel fegato con la guida di una sonda endoscopica.
    • criochirurgia o utilizzo di micro-onde:
      le cellule tumorali vengono distrutte con il freddo generato da una sonda di metallo inserita con una sonda da endoscopia. Tali procedure sono ancora in fase di sviluppo.
    • infusione di chemioterapici nell'arteria epatica:
      i farmaci antitumorali vengono fatti arrivare direttamente nel fegato con l'ausilio di un catetere; in questo modo si limitano molto gli effetti collaterali della chemioterapia e si possono usare dosaggi più alti. Talvolta viene inserita sotto la cute una micropompa, che regola la cessione continua dei farmaci.
    • chemioembolizzazione:
      si cerca di far rimanere i farmaci nel fegato il più a lungo possibile bloccando la circolazione dell'arteria epatica in modo permanente o temporaneo. A tal fine si inseriscono sferette di materiale inerte attraverso un catetere.
    • radioembolizzazione (radioterapia miniaturizzata):
      si tratta di una tecnica innovativa che utilizza microsfere radioattive iniettate attraverso un catetere direttamente nell'arteria epatica e da lì nell'area interessata al tumore. La radioattività viene rilasciata localmente, evitando di danneggiare i tessuti sani. Una tecnica analoga può essere usata per il rilascio localizzato di farmaci. Si tratta comunque di procedure ancora in fase sperimentale.
    • trapianto:
      si attua solo in presenza di una malattia non estesa secondo precisi criteri di selezione e quando c'è disponibilità di un organo.
  • tumore in stadio avanzato:
    spesso la malattia esordisce in uno stadio avanzato con una cirrosi che compromette completamente la funzione del fegato (scompensata): in questi casi si possono solo attuare terapie che controllino i sintomi più fastidiosi per il paziente (sintomatiche) per migliorarne la qualità di vita; quando la cirrosi è invece meno grave si può utilizzare un nuovo farmaco, il Sorafenib, che ha recentemente dimostrato un'efficacia nel trattamento dei tumori primitivi del fegato.
  • ricadute:
    in genere le possibili ricadute si presentano entro due anni dalla scoperta del tumore primario e vengono di nuovo operate o trattate diversamente, a seconda della situazione.
Chi è a rischio
Non è ancora noto l'esatto meccanismo con il quale si sviluppa il tumore del fegato e restano molti punti da chiarire: per esempio, molte persone con più di un fattore di rischio non si ammalano. Alcuni elementi, tuttavia, costituiscono un indubbio fattore di rischio.
Tra questi:
  • infezioni croniche:
    rappresentano il più importante fattore di rischio; possono essere date da virus epatitici di tipo B e C, che si trasmettono attraverso il sangue o i rapporti sessuali o dalla madre al figlio durante la gravidanza. Le epatiti virali spesso non danno alcun sintomo, anche se la loro presenza è facilmente rilevabile tramite un esame del sangue. L'infezione da virus B, inoltre, si può combattere tramite un vaccino, che oggi viene fatto a tutti i neonati ed è utile a qualunque età. Se l'epatite diventa cronica può causare, anche dopo molti anni, la degenerazione tumorale degli epatociti.
  • cirrosi:
    la cirrosi è una malattia che si sviluppa quando, per qualsiasi motivo (infezioni da virus e da parassiti, abuso di alcol, malattie autoimmuni, intossicazioni da farmaci e da sostanze chimiche e altro), le cellule del fegato vengono danneggiate e sostituite con tessuto cicatriziale. Si stima che circa il cinque per cento delle persone con cirrosi sviluppi un tumore del fegato.
  • aflatossine:
    si tratta di una classe di sostanze che si sviluppa in alcuni tipi di muffa; sono considerate contaminanti di alcuni alimenti per questo la loro concentrazione viene costantemente controllata.
  • il sesso:
    gli uomini sono più soggetti ai carcinomi epatici.
  • la familiarità:
    chi ha un caso in famiglia ha un rischio maggiore rispetto alla media.
  • l'età:
    nella maggior parte dei casi il tumore insorge dopo i 60 anni.

Quanto è diffuso

Viene considerato un tumore abbastanza raro
, anche se la sua incidenza varia molto a seconda delle zone geografiche.
È più diffuso in Asia, meno negli Stati Uniti e in Europa. L'incidenza europea è di 7 per 100.000 individui l'anno negli uomini e 2 per 100.000 nelle donne, pari a circa il 2 per cento di tutti i tipi di tumore.
Circa il 7 per cento dei pazienti con tumore epatico ha un'età superiore a 65 anni. Negli uomini, l'incidenza cresce rapidamente con l'aumentare dell'età, passando da 3 per 100.000 nel gruppo con età inferiore a 45 anni, a 32 per 100.000 nei pazienti con età compresa tra 60 e 64 anni, per finire a 62 per 100.000 nel gruppo di pazienti d'età superiore a 75 anni.
Sono invece relativamente frequenti i tumori secondari, ovvero le metastasi, che colonizzano il fegato provenendo da altri organi.
Prevenzione
Non è purtroppo possibile prevenire il cancro del fegato, se non evitando i più comuni fattori di rischio che sono il consumo eccessivo di alcol e l'esposizione ai virus dell'epatite.
Una misura efficace è risultata la vaccinazione per l'epatite B, che in Italia è obbligatoria per tutti i bambini. Per quanto riguarda invece l'epatite C non sono disponibili vaccini, mentre l'epatite A, per la quale esiste un vaccino comunemente usato da chi viaggia in paesi caldi con scarsa igiene, non aumenta il rischio di ammalarsi di tumore del fegato. In caso di infezione cronica da virus dell'epatite B o C è possibile contenere la replicazione del virus con alcuni trattamenti farmacologici.

L) TUMORE ALLE GHIANDOLE SALIVARI

Cos'è
Le ghiandole salivari si trovano all'interno e attorno alla bocca e producono la saliva, un liquido ricco di enzimi e anticorpi, necessario ad avviare il processo di digestione dei cibi e a proteggere bocca e gola dalle infezioni.


Si distinguono ghiandole salivari maggiori e minori: le prime sono presenti in coppia ai due lati del volto e comprendono parotide  (di fronte all'orecchio), ghiandola sottomandibolare  (dietro la mandibola) e ghiandola sottolinguale (sotto il pavimento boccale, ai lati della lingua), mentre le seconde sono presenti in diverse regioni del volto, incluso anche il naso e i seni paranasali, e sono molto numerose (centinaia), ma troppo piccole per essere viste a occhio nudo.


Le cellule che formano le ghiandole salivari possono trasformarsi e dare origine a un tumore.
 
Quanto è diffuso
Il tumore delle ghiandole salivari è piuttosto raro e rappresenta meno dell'1% di tutti i tumori umani. Può comparire a qualsiasi età, ma in genere è raro prima dei 40 anni. Colpisce uomini e donne senza differenze sostanziali (si apprezza solo un lieve aumento di incidenza negli uomini in età più avanzata).
Chi è a rischio
Studiare i fattori di rischio per tumori così rari non è semplice, ma nel caso delle ghiandole salivari è noto che l'esposizione a radiazioni della zona di testa e collo (magari per un precedente trattamento medico) aumenta il rischio di sviluppare il tumore.
Anche alcune esposizioni "professionali" - che si verificano cioè sul luogo di lavoro - aumentano il rischio: maggiormente indiziate le polveri di metalli (leghe di nichel) o di minerali (silicio) e le sostanze radioattive.
 
Tipologie
La maggior parte dei tumori delle ghiandole salivari (più del 70%) colpisce la ghiandola parotide e il 10-20% la ghiandola sottomandibolare, mentre sono rarissimi quelli che originano nelle ghiandole sottolinguali e nelle salivari minori.
In base al tipo di cellula dalla quale si sviluppano, i tumori assumono nomi differenti: carcinoma mucoepidermoide, che è più comune nella parotide; carcinoma adenoide cistico, che è tipico delle ghiandole salivari minori e molti tipi differenti di adenocarcinoma (a cellule chiare, a cellule basali, nonspecificato, mucinoso eccetera).
Inoltre, nelle ghiandole salivari si possono generare altri tumori come, per esempio, carcinomi a cellule squamose, carcinomi indifferenziati e linfomi (molto rari).
Sintomi
I sintomi dei tumori delle ghiandole salivari si manifestano soprattutto nella regione della testa e del collo e possono presentarsi come massa o dolore al volto, al collo o alla bocca, come difficoltà a inghiottire o come differenze visibili e mai notate in precedenza in forma, dimensioni e forza muscolare tra i due lati di volto, collo, bocca.
Si tratta di sintomi che non necessariamente indicano la presenza di un tumore, ma che meritano comunque attenzione e un parere medico.
 
Prevenzione
In base ai dati oggi disponibili non è possibile stabilire una strategia di prevenzione efficace contro i tumori delle ghiandole salivari. Evitare l'esposizione a radiazioni, a polveri di silicio, alla gomma o alle leghe di nichel, così come ridurre la diffusione del virus dell'HIV nella popolazione, può contribuire a ridurre il rischio.
L'infiammazione cronica delle ghiandole salivari non è ancora considerata con certezza un fattore di rischio.
 
Diagnosi
L'esame delle ghiandole salivari fa parte della normale visita medica di controllo; quest'ultima, infatti, permette facilmente la scoperta di noduli o di masse di nuova formazione, che, in alcuni casi, possono far sospettare un problema di tipo oncologico. La presenza di un nodulo non è però sufficiente per formulare una diagnosi certa: dopo aver valutato la storia clinica e familiare e i risultati della visita ambulatoriale, in caso di situazioni sospette, il medico di base può richiedere una visita specialistica da un otorinolaringoiatra.
Tra gli esami più utilizzati per diagnosticare un tumore alle ghiandole salivari sono particolarmente importanti raggi X, TC (tomografia computerizzata) e risonanza magnetica. Infine, per determinare la tipologia del tumore, si procede con la biopsia, cioè il prelievo di un frammento del tumore e la sua analisi al microscopio.
 
Evoluzione
Come per molti altri tumori, anche per quelli delle ghiandole salivari viene utilizzato ilsistema di stadiazione TNM, che consente di stabilire quanto la malattia sia estesa, prendendo in considerazione il tumore (T) e la presenza di cellule tumorali ai linfonodi (N) e in organi lontani (metastasi, M).
Come si cura
Una volta diagnosticata la presenza di un tumore delle ghiandole salivari, la scelta del trattamento più adatto ed efficace deve tenere conto di molteplici fattori, tra i quali il tipo di malattia, la posizione e dimensione della massa, lo stato di salute del paziente e il possibile impatto del trattamento sulla vita di tutti i giorni: intervenire su questi tumori potrebbe infatti influenzare funzioni importanti come parlare, masticare o inghiottire.


Rivolgersi a un centro specializzato è il primo fondamentale passo verso la cura di questi tumori piuttosto rari.


Tenuto conto di queste premesse, la scelta del trattamento dei tumori delle ghiandole salivari ricade spesso sulla chirurgia, con la quale è possibile in molti casi rimuovere tutta la massa tumorale, oltre ad alcuni tessuti circostanti per essere certi di non lasciare cellule malate nella zona trattata. Gli interventi per la rimozione di questi tumori sono delicati, ma stanno diventando sempre più precisi e meno invasivi grazie ai continui progressi nelle tecniche chirurgiche e di ricostruzione facciale. Dopo l'operazione è possibile utilizzare la radioterapia che assume così un ruolo adiuvante:aiuta a distruggere le cellule tumorali rimaste in sede che, date le microscopiche dimensioni, non possono essere asportate con il bisturi. Ma la radioterapia rappresenta una valida opzione anche quando il paziente è troppo debole per affrontare l'operazione o quando il tumore, per dimensione o posizione, non può essere asportato chirurgicamente; essa appare altresì efficace nell'alleviare i sintomi nel caso di malattia in stadio avanzato (ruolo)palliativo della radioterapia). A differenza della chirurgia e della radioterapia, lachemioterapia non è molto utilizzata per i tumori delle ghiandole salivari e viene scelta come trattamento solo nel caso di tumori già diffusi in organi lontani e in pazienti che non possono essere trattati con chirurgia e radioterapia. Infine, in alcuni casi, la chemioterapia può essere associata alla radioterapia per aumentarne l'efficacia.


In caso la malattia non risponda ai trattamenti convenzionali, i medici possono consigliare la partecipazione in studi clinici, al fine di valutare l'efficacia di farmaci sperimentali

M) TUMORE IPOFISI

L'ipofisi, o ghiandola pituitaria, è una ghiandola situata alla base del cranio. Pur essendo molto piccola - ha le dimensioni di un pisello - ha un ruolo determinante, poiché è collegata direttamente con una parte del cervello chiamata ipotalamo e garantisce il legame tra le attività del cervello e quelle del sistema endocrino per la produzione di ormoni.

L'ipofisi è regolata dagli ormoni prodotti dall'ipotalamo e a sua volta produce ormoni che vanno a influenzare l'attività di altre ghiandole come tiroide, ghiandole surrenali e gonadi (ovaie e testicoli) denominate "ghiandole bersaglio" e proprio per questa sua funzione di controllo viene anche definita "ghiandola maestra".

Il tumore dell'ipofisi si sviluppa dalle cellule della ghiandola ipofisaria e, pur non essendo particolarmente maligno, può avere effetti importanti sulla salute, dal momento che manda letteralmente in tilt il sistema di produzione e regolazione degli ormoni.
 
Tipologie
Gli adenomi ipofisari vengono classificati, in base alla dimensioni, in microadenomi (diametro inferiore a 10 mm) e macroadenomi (diametro uguale o superiore a 10 mm) e in base al tipo di ormone prodotto, in adenomi che producono prolattina (prolattinomi, circa 4 adenomi su 10), adenomi che producono ormone della crescita (circa 2 su 10), adenomi che non producono alcun ormone (circa 3 su 10). Infine, i più rari producono corticotropina o ACTH, tireotropina o TSH e gonadotropine (meno di 1 su 10).

I carcinomi, che sono rarissimi, possono essere di difficile diagnosi anche all'esame istologico qualora non siano già presenti metastasi in altri organi e in particolare in cervello, midollo spinale e meningi.
 
Evoluzione
La maggior parte dei tumori dell'ipofisi è rappresentata da forme benigne e di conseguenza non esistono criteri specifici per la stadiazione. Tuttavia, mentre la maggior parte dei microadenomi che producono prolattina restano di piccole dimensioni per tutta la vita, gli altri adenomi mostrano una lenta crescita nel corso degli anni.
 
Sintomi
I tumori dell'ipofisi possono dare origine a sintomi comuni causati dalla presenza di una massa nel cranio che occupa spazio e a sintomi specifici causati dalla eccessiva produzione di un particolare ormone ipofisario. Tra i sintomi comuni, che si manifestano più frequentemente nei macroadenomi, si riscontrano mal di testa e alterazioni oculari per compressione delle vie ottiche, con riduzione del campo visivo. Solo in presenza di adenomi di grandissime dimensioni possono comparire vomito, bulimia, sonnolenza, disorientamento e diabete insipido.
Il diabete insipido - che non ha niente a che vedere con il metabolismo degli zuccheri - è una malattia legata alla carenza di vasopressina (chiamata anche ormone anti-diuretico, ADH), un ormone immagazzinato nella porzione posteriore dell'ipofisi che regola i processi che portano il rene a concentrare le urine. A causa della mancanza di tale ormone, le persone con diabete insipido sono costrette a bere quantità elevatissime di liquidi (fino a 10 litri al giorno) per reintegrare quelli persi a causa delle elevate quantità di urina prodotta. Oggi questa malattia viene curata grazie all'assunzione dell'ormone sintetizzato in laboratorio
Gli adenomi possono inoltre causare il malfunzionamento o la perdita di parte del tessuto dell'ipofisi sana e distruggere così il delicato equilibrio ormonale che regola le funzioni del nostro organismo. I sintomi più frequenti, dovuti una stimolazione non corretta degli organi bersaglio (tiroide, surrene e ghiandole sessuali) da parte dell'ipofisi, sono nausea, affaticabilità, depressione, inspiegabile perdita o aumento di peso, assenza di mestruazioni e problemi di erezione.

Questo tipo di tumore si manifesta soprattutto nell'età adulta e avanzata e molti dei segni e sintomi che lo caratterizzano possono essere erroneamente attribuiti ai processi fisiologici dell'invecchiamento, (irregolarità o scomparsa del ciclo mestruale nella donna in età menopausale, impotenza e disturbi dell'erezione negli uomini).

Gli adenomi che producono ormoni determinano quadri clinici caratteristici. Uno degli ormoni più spesso prodotti dai tumori ipofisari è la prolattina: gli alti livelli tipici del prolattinoma provocano il blocco del ciclo mestruale in donne che non hanno ancora raggiunto la menopausa e possono anche causare una produzione anomala di latte dal seno (galattorrea). Nell'uomo impotenza e perdita di interesse per la sfera sessuale potrebbero essere i primi sintomi del prolattinoma.

Se invece il tumore dell'ipofisi modifica i livelli di ormone della crescita può provocare gigantismo nei bambini (crescita veloce, altezza anche di molto superiore alla norma e dolori alle articolazioni), mentre negli adulti può portare ad acromegalia (crescita delle ossa di cranio, mani e piedi, dolori alle articolazioni, modificazioni dell'aspetto legate alla crescita delle ossa facciali).

Il tumore dell'ipofisi che provoca un aumento della produzione di corticotropina o ACTH, si manifesta con sintomi come aumento di peso e dei peli sul corpo, gonfiore al viso, depressione o umore mutevole, alti livelli di zucchero nel sangue e ipertensione.

Infine, il tumore dell'ipofisi che fa aumentare i livelli di tireotropina o TSH si presenta con sintomi come tremori, battito cardiaco accelerato, perdita di peso, aumento dell'appetito, difficoltà a prendere sonno e ansia, determinati dall'aumentata produzione di ormoni tiroidei.
 
Diagnosi
La diagnosi del tumore dell'ipofisi non è sempre facile. Il primo passo è rappresentato da un'attenta visita medica durante la quale lo specialista prende nota dei sintomi e della presenza in famiglia di altri casi di tumore dell'ipofisi o di alcune sindromi ereditarie.

Se in base ai risultati della visita resta il sospetto di tumore dell'ipofisi, vengono valutati i livelli ormonali con un semplice prelievo di sangue e con un esame delle urine. Quando si sospetta che il tumore abbia ridotto la funzione della parte sana dell'ipofisi, si valutano sia i livelli degli ormoni ipofisari sia di quelli prodotti dalla ghiandola bersaglio. Infine, per confermare la diagnosi, sono indicati esami di tipo neuro-radiologico come la tomografia computerizzata (TC) o la risonanza magnetica (RM) che permettono di identificare lesioni anche di piccole dimensioni (meno di 2 mm di diametro).

Un esame per valutare la vista e il campo visivo può essere utile per la diagnosi di una massa tumorale all'ipofisi che comprime il nervo ottico.
 
Come si cura
Il trattamento degli adenomi ipofisari può essere chirurgico, radioterapico e medico. Dal momento che i tumori ipofisari sono piuttosto rari, è molto importante rivolgersi a centri specializzati dove è possibile disporre dei migliori trattamenti e contare sulla presenza di medici esperti.

Per scegliere il trattamento più adatto dopo una diagnosi di tumore dell'ipofisi è comunque fondamentale sapere se si tratta di una forma benigna e prendere in considerazione altri fattori come le dimensioni del tumore, l'eventuale produzione di ormoni e il tipo di ormone prodotto.

In molti casi di tumore dell'ipofisi la chirurgia resta il trattamento di prima scelta, il caso di tumori ipofisari come i prolattinomi è invece un'eccezione in cui è preferibile terapia farmacologica a quella chirurgica.

Il successo terapeutico, cioè l'asportazione completa dell'adenoma, mantenendo intatta la normale funzione dell'ipofisi si raggiunge nel 70-90 per cento dei casi di macroadenoma e nel 25-40 per cento dei casi di microadenoma.

Le moderne tecniche operatorie permettono di rimuovere l'ipofisi limitando al minimo i rischi di complicanze anche se, in generale, asportare la ghiandola o parte di essa può determinare una riduzione della produzione degli ormoni ipofisari. Ciò non rappresenta un problema insormontabile, dal momento che gli ormoni prodotti dalle ghiandole controllate dall'ipofisi (ormoni tiroidei, cortisolo, estrogeni, testosterone) possono essere oggi rimpiazzati con gli ormoni di sintesi (prodotti in laboratorio) somministrabili sottoforma di farmaci.

Per quanto riguarda le terapia farmacologica, il trattamento più comune dei prolattinomi si basa su di farmaci che riducono sia la secrezione di prolattina sia le dimensioni del tumore (farmaci dopaminergici), mentre nei tumori che producono ormone della crescita, quando la terapia chirurgica ha fallito o non può essere utilizzata, vengono somministrati farmaci che bloccano la produzione di questo ormone (analoghi, a lunga durata d'azione, della somatostatina).

Nel caso in cui il tumore dell'ipofisi si sviluppi nuovamente dopo l'intervento chirurgico o non risponda alla terapia farmacologica, il paziente viene sottoposto a radioterapia, tecnica che utilizza i raggi X per colpire le cellule. Oltre alla forma tradizionale è oggi possibile fare ricorso a varianti innovative della radioterapia classica sempre più sofisticate, precise e meno pericolose per i tessuti circostanti come la radioterapia stereotattica, oppure la radioterapia con raggio di protoni, che utilizza i protoni (una delle particelle di cui è composto l'atomo) al posto dei raggi X, ma disponibile solo presso pochi centri specializzati.
 
Chi è a rischio
In rarissimi casi il tumore dell'ipofisi sembra legato a una storia familiare, mentre generalmente la malattia compare nella forma sporadica, cioè non viene trasmessa dai genitori e non verrà trasmessa ai figli. Altrettanto rari sono i tumori dell'ipofisi che fanno parte di sindromi genetiche, causate da mutazioni in specifici geni non ancora del tutto noti.
 

Quanto è diffuso
Il tumore dell'ipofisi è nella maggioranza dei casi un adenoma ed eccezionalmente (0,2 per cento di tutti i tumori ipofisari) un carcinoma. Inoltre, l'ipofisi può essere sede di metastasi che si estendono da tumori originati in altre regioni del corpo, ma in questo caso non è corretto definirlo come tumore dell'ipofisi.

Il tumore all'ipofisi non è molto frequente: gli adenomi ipofisari sono presenti nella popolazione generale in circa 200 casi per milione di persone, mentre sono stati descritti meno di 150 casi di carcinoma ipofisario nella letteratura scientifica internazionale.

Con l'eccezione degli adenomi che producono l'ormone prolattina (i cosiddetti prolattinomi), il tumore colpisce in egual misura uomini e donne e può manifestarsi a qualsiasi età, sebbene sia più frequente nell'età adulta o avanzata.
 
Prevenzione
Sulla base delle conoscenze attuali non esiste alcuna forma di prevenzione contro il tumore dell'ipofisi

N)TUMORE FARINGE-LARINGE

La laringe è un organo dell'apparato respiratorio lungo circa 12 centimetri, collegato verso l'alto con l'orofaringe, lateralmente con l'ipofaringe ed in basso con la trachea. Ha una struttura cartilaginea ed è rivestita al suo interno da una mucosa. La parte superiore della laringe è chiusa dall'epiglottide, una piccola cartilagine che durante la deglutizione si piega all'indietro formando una specie di scivolo che protegge le vie aeree impedendo al cibo di finire nella trachea. La laringe ospita le corde vocali, organo fondamentale della fonazione.
Essa è quindi una valvola situata tra le vie aeree e digestive; quando è aperta consente la respirazione, quando è chiusa la fonazione e la deglutizione.
I tumori della laringe originano, nella maggior parte dei casi, dalla mucosa (epitelio) che riveste l'interno del canale: il più comune è il carcinoma a cellule squamose.

La faringe è un canale cilindrico lungo circa 15 centimetri, posto tra la cavità nasale e l'esofago; esso fa parte delle cosiddette 'vie aereo digestive superiori' perché da un lato consente la progressione del bolo alimentare dalla bocca verso l'esofago tramite il meccanismo della deglutizione, dall'altro il passaggio verso la trachea e i polmoni dell'aria opportunamente filtrata, umidificata e scaldata.
La faringe può essere interessata da tumori maligni in ciascuna delle sue tre porzioni: il nasofaringe (o rinofaringe), l'orofaringe e l'ipofaringe (dove si separano la via alimentare e quella respiratoria). Quelli della nasofaringe o rinofaringe sono carcinomi indifferenziati frequentemente associati al virus EBV (Epstein-Barr virus), mentre nelle altre regioni prevale il carcinoma a cellule squamose
Tipologie
  • Cancro della laringe e della faringe
    Il 95 per cento dei tumori della laringe e dell'ipofaringe originano il più delle volte per danni provocati dal fumo e dal consumo eccessivo di alcol. Anche in questa sede l'uso combinato di tabacco ed alcol moltiplica il rischio di sviluppare un tumore.
    Il restante 5 per cento dei tumori origina dagli altri tessuti presenti nei vari organi del distretto (per esempio ghiandole, adenomi, tessuto muscolare o connettivale, sarcomi, o da tessuto linfatico, linfomi).
  • Cancro dell'orofaringe
    L'orofaringe è la parte di faringe in continuazione con la parte posteriore della bocca: include la base della lingua, il palato molle, l'arco delle tonsille e la parte posteriore della cavità della bocca stessa.
Le forme più comuni di alterazioni dei tessuti che ricoprono la cavità buccale sono la leucoplachia macchia bianca) e l'eritroplachia (macchia rossa). Si tratta di lesioni precancerose, cioè a potenziale rischio di trasformazione. In genere le lesioni bianche hanno minor rischio di cancerizzazione (intorno al 5 per cento - 10 per cento) rispetto a quelle rosse (fino al 70 per cento). Solo la biopsia, cioè il prelievo di una parte della lesione, ci permette di valutare l'entità del rischio di trasformazione tumorale (displasia lieve, media o severa) ovvero la presenza di una lesione già neoplastica (carcinoma in situ, carcinoma microinvasivo). Le tonsille, che fanno parte del sistema linfatico, sono colpite dai tumori tipici di questo tipo di tessuto (linfomi), che hanno un decorso e una prognosi diversa, in genere più favorevole, rispetto a quella dei tumori epiteliali.

Negli ultimi anni si è manifestato un aumento dell'incidenza di tumori orofaringei nei giovani; è stato dimostrato che queste neoplasie non sono correlate con il consumo di alcol e di tabacco, ma con la presenza del virus HPV (Papilloma virus).
 
Evoluzione
Come per la maggior parte dei tumori, la guarigione dipende dalla sede ed estensione del tumore e dalle condizioni generali di salute.
La presenza di una neoplasia a rapida crescita può ostruire le vie aeree, impedendo al paziente di respirare, rendendo necessaria una tracheotomia, cioè l'apertura delle vie aeree al di sotto dell'ostacolo, in genere a livello della parte iniziale della trachea.
Complessivamente, la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è del 60 per cento circa, oscilla tra il 90-95 per cento nei pazienti con tumori limitati, ed è del 19 per cento nei pazienti con tumori metastatici.
 
Sintomi
I sintomi di un cancro alla faringe o alla laringe sono spesso subdoli e non sempre specifici; variano a seconda di sede ed estensione della massa tumorale. Ad esempio i tumori della base della lingua e dell'epiglottide danno una vaga sensazione persistente di corpo estraneo con un dolore irradiato all'orecchio, mentre i tumori delle corde vocali danno alterazioni della voce. Per questo i sintomi legati ai tumori orofaringei sono frequentemente trascurati dai pazienti, con conseguente diagnosi ritardata, mentre quelli delle corde vocali sono in genere diagnosticati in fase iniziale.

L'età media alla diagnosi di un tumore della faringe è di 64 anni e il 95 per cento insorge dopo i 40 anni. I disturbi più comuni provocati dai tumori che crescono nel nasofaringe sono: difficoltà a inspirare aria dal naso, fuoriuscita di secrezioni e di sangue dal naso (epistassi), chiusura della tuba di Eustachio (sensazione di orecchie tappate). Questo tipo di tumore dà spesso metastasi ai linfonodi, che frequentemente rappresentano il primo segno clinico di malattia.
Le neoplasie dell'orofaringe possono provocare difficoltà e dolore alla deglutizione (disfagia e odinofagia rispettivamente).
I tumori dell'ipofaringe, più rari dei primi due, si manifestano con disfagia talora associata ad alterazioni del timbro di voce, difficoltà respiratorie (dispnea) soprattutto nelle forme avanzate e dolore irradiato all'orecchio (otalgia riflessa).

Il cancro della laringe colpisce soprattutto le persone di età superiore ai 55 anni ed è più diffuso nei maschi. I sintomi più frequenti di queste neoplasie sono l'abbassamento di voce immotivato e persistente (più di due settimane) con variazione del timbro vocale, di dolore e difficoltà alla deglutizione, dolore persistente all'orecchio nel deglutire oppure gonfiore (adenopatia) sul collo.
 
Diagnosi
Per la diagnosi dei tumori della faringe e della laringe in presenza di sintomi l'esame più utile è la laringoscopia, una procedura indolore che permette al medico di ispezionare la laringe e le corde vocali.
Questo esame si esegue con un laringoscopio a fibre ottiche, che è dotato di illuminazione propria e viene introdotto in gola attraverso la cavità nasale (laringoscopio flessibile) oppure appoggiato sulla lingua (fibroscopio rigido): essi consentono di valutare la funzione laringea (motilità delle corde vocali) e la eventuale presenza di ulcerazioni o masse faringee e laringee.
Come si cura
I tumori della faringe e della laringe possono essere curati chirurgicamente con interventi che, nei tumori circoscritti, consentano la conservazione delle funzioni vocale, deglutitoria e respiratoria; nelle neoplasie più estese si rende indispensabile l'asportazione di tutto l'organo e dei linfonodi circostanti.

Nei tumori allo stadio iniziale l'asportazione della lesione può essere eseguita con il laser (questo strumento non è ancora disponibile in tutti gli istituti di cura).
Alcuni tumori dell'orofaringe possono essere trattati con chirurgia Robot assistita.
In presenza di un tumore della laringe avanzati, spesso si è costretti a eseguire la cosiddetta laringectomia (ossia l'asportazione completa dell'organo comprese le corde vocali). Anche in assenza di laringe e corde vocali è possibile tornare a parlare (come i ventriloqui) grazie ad uno specifico addestramento (logoterapia) o all'impiego di speciali apparecchi.

Radioterapia e chemioterapia sono usati come adiuvanti nel post operatorio, oggi oltre a questa indicazione si sono affermati alcuni protocolli terapeutici cosiddetti di preservazione d'organo che si propongono di trattare le neoplasie avanzate faringo-laringee senza ricorrere alla laringectomia. I risultati di questi trattamenti non chirurgici sono discreti, ma non sempre pari a quelli della chirurgia, pertanto le scelte terapeutiche vanno valutate e concordate con oncologi medici, radioterapisti e chirurghi esperti.
 
Chi è a rischio
Per i tumori della laringe e della faringe i principali fattori di rischio sono il fumo di sigaretta, il consumo di alcol, il 90 per cento circa dei pazienti con queste neoplasie fuma e beve.

Proprio per questo il tumore della laringe è più frequente in Veneto e in Friuli Venezia Giulia (18 casi l'anno ogni 100 mila abitanti), rispetto a Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana (10 casi l'anno ogni 100 mila abitanti) e al Meridione (7,3 casi l'anno ogni 100 mila abitanti).
 
Quanto è diffuso

Su scala mondiale, i tumori della faringe e della laringe rappresentano il 10 per cento circa di tutte le neoplasie maligne negli uomini e il 4 per cento nelle donne.

In Italia si contano circa 5.000 nuovi casi l'anno di tumore della laringe tra gli uomini e 500 tra le donne. Le più comuni sedi di origine del carcinoma a cellule squamose sono la corda vocale vera, l'epiglottide, il seno piriforme e l'area post-cricoidea.

I tumori della faringe hanno un'incidenza analoga a quella dei carcinomi della lingua con una maggiore mortalità; in Italia si registrano circa 4.600 nuovi casi l'anno per gli uomini e 1.300 per le donne. I tumori della faringe, in particolare orofaringe, hanno avuto un incremento di incidenza negli ultimi 20 anni verosimilmente legato ai casi HPV-correlati.
 
Prevenzione
In base ai dati disponibili non è possibile stabilire se lo screening di routine per i tumori della laringe e della faringe sia efficace per gli individui che non presentano sintomi.
Per tutti è valido il consiglio di non fumare, di non consumare tabacco in alcuna forma e di limitare l'alcol. Potrebbe essere utile un esame del distretto orale e faringo-laringeo per tutti i soggetti di età superiore a 60 anni fumatori e bevitori.

O)TUMORE ALL'OCCHIO
 
L'occhio, l'organo che ci permette di vedere, ha una struttura molto complessa. Semplificando molto, si può dire che è l'occhio è composto di tre parti: il globo oculare, l'orbita e i cosiddetti "annessi".

La struttura principale, il globo oculare è una sorta di sfera riempita di materiale gelatinoso - umor vitreo - e rivestito da tre membrane:
  • la sclera (riveste l'esterno dell'occhio e, nella parte anteriore, è in contatto diretto con la cornea, la membrana trasparente che permette la visione)
  • l'uvea (la membrana centrale)
  • la retina (la membrana più interna, formata da cellule nervose sensibili alla luce, in grado di trasmettere l'informazione al cervello attraverso il nervo ottico).
L'orbita è rappresentata dai tessuti - muscoli e nervi - che circondano il globo oculare, mentre sono considerati annessi strutture come le palpebre o le ghiandole lacrimali.

Il tumore dell'occhio si può sviluppare a partire dalle cellule che costituiscono i tessuti di queste tre regioni principali e, a seconda delle cellule di origine, viene classificato come intraoculare (con origine nel globo oculare), orbitale (con origine nell'orbita) o annessiale (o degli annessi; con origine nelle strutture considerate annessi oculari).
 
Tipologie
Quando si parla di tumore intraoculare (del globo oculare) è importante innanzitutto distinguere tra tumore primario - che ha origine direttamente dalle cellule dell'occhio - e secondario - costituito da metastasi di altri tumori (seno e polmone tra i più comuni) che abbiano raggiunto l'occhio -.

Tra i tumori intraoculari primari nell'adulto, il più comune è il melanoma che in genere colpisce l'uvea, una membrana costituita da cellule che producono melanina (melanociti) e che viene in questi casi chiamato melanoma uveale. L'altro tipo di tumore intraoculare primario che può colpire l'adulto è il linfoma (praticamente sempre di tipo non-Hodgkin): si tratta di un tumore che origina dalle cellule immunitarie chiamate linfociti. Interessa più comunemente persone anziane, debilitate o con problemi al sistema immunitario.

Nei bambini, il tumore intraoculare primario più comune, sebbene molto raro, è il retinoblastoma, una malattia che prende il via dalle cellule della retina.

I tumori orbitali e annessiali dell'occhio nascono da tessuti come muscoli, nervi o pelle. In questa sede i tumori si sviluppano in maniera analoga a quanto accade in altri distretti corporei diversi dall'occhio.
 
Evoluzione
Per i tumori intraoculari non esiste un unico sistema di stadiazione, cioè l'insieme dei criteri che permettono di assegnare uno stadio della malattia e di capire quanto sia estesa.
Per il melanoma può essere utilizzato il sistema TNM che prende in considerazione estensione del tumore (T), stato dei linfonodi (N) e presenza di metastasi (M), ma in molti casi i medici preferiscono utilizzare il sistema COMS (Collaborative Ocular Melanoma Study) che classifica i melanomi dell'occhio come piccoli, medi o grandi a seconda dello spessore e del diametro della massa tumorale.
Per quanto riguarda il linfoma intraoculare, invece, non esiste un sistema di stadiazione unico e quindi si possono utilizzare i criteri usati per la stadiazione del linfoma non Hodgkin, in particolare il sistema Ann-Arbor che distingue quattro stadi di avanzamento della malattia.
 
Sintomi
I principali sintomi dovuti a melanoma o linfoma intraoculare sono legati a problemi visivi, in particolare si possono riscontrare: vista offuscata, improvvisa perdita della vista o comparsa di macchie nere al'interno del campo visivo e lampi di luce.

Sintomi specifici per il melanoma intraoculare includono la perdita di una parte del campo visivo, la presenza di una macchia scura all'interno del'iride, il cambiamento della dimensione o della forma della pupilla e il cambiamento della posizione dell'occhio e del suo modo di muoversi.

Nei pazienti con melanoma dell'occhio in genere il dolore è raro e i sintomi compaiono solo quando la malattia raggiunge gli stadi più avanzati.

Per quanto riguarda il linfoma intraoculare, che di norma colpisce entrambi gli occhi, ma può dare problemi più importanti in uno dei due, i sintomi specifici possono essere arrossamento dell'occhio e sensibilità alla luce.

È importante ricordare che i sintomi tipici di melanoma e linfoma intraoculari possono essere segno di una patologia meno grave: la comparsa di puntini neri nel campo visivo è tipica, per esempio, del processo di invecchiamento e spesso non ha nulla a che vedere con il tumore. Nel caso di dubbio è comunque importante rivolgersi al proprio medico che saprà consigliare il percorso migliore da seguire.
 
Diagnosi
Il primo e più importante passo per la diagnosi di un tumore intraoculare - sia esso melanoma o linfoma - è senza dubbio la visita da uno specialista, l'oftalmologo, che dopo una serie di domande per verificare la presenza di eventuali sintomi sospetti o di fattori di rischio, procederà con una visita accurata. Nel corso della visita lo specialista controlla la visione e i movimenti dell'occhio e anche i vasi sanguigni all'esterno dell'occhio (se ingrossati potrebbero infatti indicare la presenza di un tumore) utilizzando anche alcuni strumenti specifici - oftalmoscopio, lente gonioscopica, eccetera - che permettono di vedere meglio all'interno dell'occhio.

La visita dell'oftalmologo in genere è sufficiente per diagnosticare un melanoma intraoculare, ma nel caso di dubbio possono essere necessari anche altri esami come ecografia o angiografia con fluoresceina (se si sospetta un melanoma) che permette di vedere i vasi sanguigni all'interno dell'occhio.

La biopsia non viene utilizzata molto spesso nel caso di sospetto melanoma intraoculare anche perché è molto difficile prelevare una quantità di tessuto sufficiente senza danneggiare l'occhio, mentre è praticamente necessaria per raggiungere una diagnosi certa di linfoma intraoculare. In questo secondo caso si procede con la vitrectomia, cioè il prelievo di una porzione della sostanza gelatinosa posta all'interno dell'occhio e chiamata umor vitreo.
Una volta che il tumore dell'occhio è stato diagnosticato è possibile procedere con esami che permettono di verificare se la malattia si è diffusa anche in altre regioni dell'organismo: radiografia al torace, tomografia computerizzata e risonanza magnetica.

Nel caso di linfoma intraoculare è infine possibile procedere con una puntura lombare per prelevare il liquido cerebrospinale e verificare se sono presenti cellule di linfoma anche in altri distretti anatomici, dal momento che questo tumore spesso colpisce cervello e midollo spinale.
 
Come si cura
I tumori intraoculari sono piuttosto rari ed è quindi più che mai importante, in questi casi, rivolgersi a un centro specializzato dove medici esperti saranno in grado di consigliare la terapia migliore per trattare la malattia cercando di preservare la capacità visiva.

La chirurgia rappresenta un'opzione di trattamento nel caso di melanoma intraoculare, mentre non viene utilizzata nel caso di linfoma. Oggi la chirurgia - iridectomia, resezione, enucleazione eccetera a seconda delle caratteristiche del tumore - è meno diffusa rispetto al passato ed è stata in buona parte sostituita dalla radioterapia che spesso permette di distruggere le cellule tumorali senza danneggiare in modo eccessivo la vista. Nonostante i progressi delle tecniche radioterapiche - che nel caso di melanoma dell'occhio possono essere a raggi esterni o interni, sotto forma di brachiterapia - in alcuni casi resta il rischio di perdere la vista o di andare incontro a problemi quali cataratta, distacco della retina o glaucoma poiché vengono danneggiate alcune strutture vicine all'occhio.

In alcuni casi di melanoma (ma non di linfoma) viene utilizzato il laser per eliminare le cellule tumorali: la termoterapia pupillare, per esempio, si serve del laser per scaldare il melanoma intraoculare e distruggere i tessuti malati, mentre la fotocoagulazione laser - che usa luce ad alta energia per bruciare il tumore - può risultare efficace per piccoli melanomi.

La chemioterapia non è molto efficace per curare il melanoma intraoculare, ma viene utilizzata da sola o in combinazione con radioterapia per curare il linfoma intraoculare. I farmaci chemioterapici possono essere somministrati per via sistemica (iniettati in vena o sottoforma di pillole per via orale per raggiungere tutti i distretti corporei), ma anche per via intraoculare con iniezioni nell'occhio che permettono di concentrare al massimo il farmaco nell'area dell'occhio o intratecale, cioè direttamente nel fluido cerebrospinale nel caso il linfoma si sia già diffuso oltre l'occhio.

Alcuni anticorpi monoclonali efficaci per la cura del linfoma non intraoculare possono anche essere usati per il linfoma che colpisce l'occhio e sono in fase di studio numerose terapie "intelligenti", capaci di colpire in modo mirato i geni coinvolti nello sviluppo di linfoma e melanoma intraoculari.
 
Chi è a rischio
Non è semplice identificare i fattori di rischio di sviluppare un tumore, soprattutto se si tratta di una neoplasia non molto comune come quella dell'occhio.

In base alle attuali conoscenze, l'unico fattore di rischio noto per il linfoma primario dell'occhio è imputabile a un sistema immunitario particolarmente debole, tipico di persone affette da malattie come l'AIDS o persone che assumono farmaci anti-rigetto a seguito di un trapianto.

Per quanto riguarda invece il melanoma dell'occhio sono stati identificati altri fattori di rischio come l'etnia (il tumore è più comune negli individui di pelle chiara), il colore degli occhi (per il quale sono più a rischio le persone con gli occhi chiari) e alcune condizioni ereditarie come la sindrome del nevo displastico o la melanocitosi oculodermica (o nevo di Ota).

Un'eccessiva esposizione al sole e alcune professioni (soprattutto quelle che favoriscono il contatto con alcune sostanze chimiche potenzialmente nocive) sono fattori di rischio possibili, ma non dimostrati con certezza per il melanoma dell'occhio.
 
Quanto è diffuso
Il melanoma uveale colpisce in Italia circa 350 persone l'anno. La sede di insorgenza più frequente è la coroide (nell'85 per cento dei casi), seguita dai corpi ciliari (10 per cento) e dall'iride (5 per cento).

Il melanoma, che origina dai melanociti della congiuntiva, è molto raro e costituisce il 2 per cento di tutti i tumori maligni oculari. Si manifesta con un'incidenza compresa tra 0,024 e 0,052 casi ogni 100.000 abitanti.
 
Prevenzione
I fattori che portano allo sviluppo dei tumori dell'occhio sono ancora in gran parte sconosciuti e, per questo motivo, è impossibile definire una efficace strategia di prevenzione.
Anche se il legame diretto tra melanoma dell'occhio ed esposizione alla luce solare non è stato dimostrato, alcuni medici sostengono che proteggere sempre gli occhi con occhiali da sole adatti (con protezione totale dai raggi UVA e UVB) allontani il rischio di sviluppare questa forma tumorale e comunque - e questo è certo - gli occhiali da sole aiutano a proteggere dal melanoma la pelle che circonda gli occhi.

P)TUMORE ALLE OSSA

Le ossa non servono solo da sostegno per il corpo, quasi fossero una sorta di impalcatura che sostiene un edificio, ma hanno anche altre importanti funzioni come, per esempio, quella di aiutare a sostenere e a proteggere gli organi vitali.

Questa funzione di protezione è molto chiara nelle ossa del cranio che proteggono il cervello e nello sterno che, assieme al resto della gabbia toracica, protegge cuore e polmoni.

Inoltre, il midollo osseo contenuto nella parte più interna delle ossa produce le cellule del sangue (globuli bianchi, globuli rossi e piastrine), mentre il cosiddetto osso subcondrale, presente nelle articolazioni e coperto da cartilagine, ammortizza e rende possibili i movimenti articolari.

Anche se a uno sguardo superficiale possono sembrare tessuti "morti" per via della loro durezza e del fatto che non cambiano forma una volta raggiunta l'età adulta, le ossa sono in realtà costituite da cellule vive e attive che contribuiscono a mantenerne forma e forza.

Tra le cellule presenti nelle ossa si incontrano gli osteoblasti che costruiscono la matrice ossea indispensabile perché l'osso sia forte e gli osteoclasti che invece aiutano l'osso a mantenere la propria forma depositando o rimuovendo minerali. Tutte le cellule che compongono l'osso possono trasformarsi e dare origine a un tumore.
Tipologie
Viene definito tumore primario dell'osso un cancro che si sviluppa a partire dall'osso stesso. Nella maggior parte dei casi i tumori primari dell'osso sono sarcomi che si distinguono in osteosarcomi e condrosarcomi, sulla base della loro origine cellulare: l'osteosarcoma è uno dei più comuni tumori delle ossa e si sviluppa nel tessuto osseo propriamente detto, mentre il condrosarcoma prende origine dalla cartilagine.

Un'attenzione particolare merita inoltre il sarcoma di Ewing, un tumore molto aggressivo che si sviluppa soprattutto nelle ossa di bambini e adolescenti, a differenza del condrosarcoma che colpisce più spesso gli adulti.

Molto frequenti sono invece i tumori ossei metastatici, ovvero cellule tumorali presenti nell'osso ma provenienti da tumori formatisi in altri organi: le metastasi ossee più comuni sono quelle originate dal tumore del seno, del polmone e della prostata.

I sintomi dei tumori ossei metastatici sono simili a quelli del tumore osseo primario, ma le caratteristiche della malattia e le terapie dipendono dal tessuto di origine della metastasi e non dalla struttura dell'osso stesso.
 
Evoluzione
Esistono diversi sistemi per definire gli stadi del tumore dell'osso, e in particolare dell'osteosarcoma, come per esempio il sistema di Enneking che prende in considerazione grado del tumore (G), estensione del tumore primario (T) e diffusione di metastasi (M) o la classificazione della American Joint Commission on Cancer (AJCC) che oltre alle tre precedenti variabili valuta anche la diffusione del tumore ai linfonodi (N).

In pratica però la maggior parte di tumori ossei viene classificata in base alla presenza della malattia in una sola zona o in più zone, poiché questa è una delle informazioni più importanti per decidere che tipo di trattamento seguire.

Il tumore osseo si definisce:
  • localizzato se le cellule cancerose sono circoscritte al tessuto osseo in cui il tumore ha avuto origine;
  • metastatico se le cellule tumorali hanno raggiunto altri distretti corporei. In genere le metastasi interessano i polmoni, ma possono manifestarsi anche in altre parti dello scheletro;
  • recidivante se si ripresenta dopo il trattamento nella stessa sede del tumore originale o in un altro organo.
 
Sintomi
Il dolore e il gonfiore localizzati in un punto dello scheletro sono i segni più comuni del cancro dell'osso.

Questi sintomi generali variano a seconda della localizzazione e della dimensione del tumore: per esempio, il dolore inizialmente può non essere costante e peggiorare di notte o durante l'attività fisica e il movimento ma, con il tempo e con la crescita della malattia, diventa una presenza costante nell'arco della giornata.

In alcuni casi il tumore può ostacolare i normali movimenti o indebolire la struttura dell'osso a tal punto da provocare fratture che vengono definite patologiche per distinguerle da quelle che coinvolgono l'osso sano in caso di trauma.

A volte si presentano altri sintomi meno specifici come perdita di peso e affaticamento.
 

Diagnosi
In presenza di sintomi sospetti è importante rivolgersi al medico che dopo una visita attenta e una serie di domande mirate per conoscere meglio il quadro di salute generale deciderà se è il caso di prescrivere ulteriori esami di approfondimento. Già nel corso della visita, infatti, il medico potrebbe notare la presenza di masse anomale, ma la diagnosi definitiva di tumore delle ossa potrà essere effettuata solo dopo esami più specifici.

Per arrivare a una diagnosi certa di tumore dell'osso si procede innanzitutto con uno o più esami di diagnostica per immagini che permettono di capire se si è in presenza di un cancro e se la malattia ha dato origine a metastasi, e che aiutano nella scelta del trattamento più adatto.

Si inizia in genere con una radiografia della regione sospetta, seguita eventualmente da una scintigrafia ossea o dalla PET (tomografia a emissione di positroni) che aiutano a stabilire con maggior certezza l'origine della lesione visibile alla radiografia e riescono a determinare la presenza di metastasi anche in regioni diverse da quella di origine del tumore. In alcuni casi possono essere utilizzate allo stesso scopo anche la TAC (tomografia computerizzata) o la risonanza magnetica.

Gli esami sopra descritti possono fornire immagini che indicano chiaramente la presenza di un tumore, la sua localizzazione e la sua eventuale diffusione anche sotto forma di micrometastasi (metastasi formate da un numero molto piccolo di cellule tumorali, che la maggior parte degli esami fa fatica a individuare) ma la biopsia ossea è l'unico esame che consente di essere certi al 100 per cento della presenza di un cancro.

Il prelievo di tessuto osseo durante la biopsia può essere effettuato con speciali aghi che permettono di asportare cilindri di tessuto o una piccola quantità di cellule tumorali, oppure con una procedura chirurgica vera e propria che prevede l'esposizione dell'osso e che viene eseguita sotto anestesia.
 
Come si cura
Come per la maggior parte dei tumori, anche per l'osteosarcoma e gli altri tumori ossei, la probabilità di guarigione e la scelta del trattamento più adatto dipendono da diversi fattori come l'aggressività e lo stadio della malattia, la possibilità di asportarla completamente con l'intervento chirurgico, i risultati delle analisi effettuate e le condizioni generali del paziente.

I principali trattamenti per il tumore dell'osso sono, comunque, la chirurgia, la chemioterapia e la radioterapia, spesso utilizzate in combinazione.

Fino agli anni Sessanta del secolo scorso, la maggior parte delle persone affette da osteosarcoma subiva interventi chirurgici molto invasivi che spesso consistevano nell'amputazione dell'arto malato, ma oggi la situazione è molto cambiata e la chirurgia si muove sempre di più verso interventi di tipo conservativo.

Grazie ai progressi nel campo della diagnosi precoce e a nuovi farmaci molto efficaci, è possibile rimuovere solo la parte malata dell'osso che viene poi sostituita da un innesto costituito da un osso prelevato da un altra parte del corpo del paziente (o di un donatore) oppure da una protesi metallica o di altro materiale.

Uno dei problemi principali è l'applicazione di queste protesi nei bambini ancora in fase di crescita: in questi casi dopo il primo intervento ne potrebbero servire altri per sostituire la protesi originale con un'altra più lunga e più adeguata alla crescita del piccolo paziente. I tumori ossei che si presentano in ossa diverse da quelle degli arti potrebbero essere più difficili da curare con la chirurgia, ma comunque non è esclusa la possibilità di rimuovere con il bisturi anche tumori posizionati a livello della mandibola o delle ossa del bacino.

La chemioterapia ha lo scopo di distruggere il cancro con farmaci somministrati per via orale o per via endovenosa o intramuscolare. Per l'osteosarcoma si utilizza in genere una chemioterapia definita sistemica, dal momento che il farmaco entra nella circolazione sanguigna e si diffonde in tutto l'organismo. Nella maggior parte di casi l'osteosarcoma viene trattato con uno o più cicli di chemioterapia prima dell'intervento chirurgico (chemioterapia neoadiuvante) per ridurre le dimensioni del tumore, seguita da altri cicli effettuati dopo l'operazione (chemioterapia adiuvante) allo scopo di eliminare eventuali cellule malate sfuggite al bisturi.

La radioterapia, ovvero la distruzione delle cellule del tumore con radiazioni ad alta frequenza, non è molto efficace nella cura dell'osteosarcoma e dei tumori delle ossa, ma può essere utilizzata per ridurre le dimensioni del cancro prima della sua asportazione chirurgica o a scopo palliativo, cioè per ridurre i sintomi nelle fasi più avanzate della malattia.

Sono oggi in fase di studio anche nuove terapie per combattere l'osteosarcoma. Tra queste è possibile ricordare gli anticorpi monoclonali, ovvero i cosiddetti "farmaci intelligenti" che riconoscono una specifica molecola presente sulle cellule tumorali e non su quelle sane. Per il tumore dell'osso, per esempio, è in fase di studio un anticorpo monoclonale diretto contro una molecola chiamata IGF-1R.

Una strategia che si è già rivelata efficace in altri tipi di tumore ed è oggi in fase di studio anche per l'osteosarcoma si basa sull'utilizzo di farmaci capaci di indirizzare il sistema immunitario del paziente contro le cellule malate.

Infine, i ricercatori stanno valutando la possibilità di usare contro l'osteosarcoma una categoria di farmaci nota come biofosfonati, già ampiamente utilizzati per curare l'osteoporosi.
 
Chi è a rischio
Le cause che portano allo sviluppo del tumore delle ossa restano ancora in gran parte sconosciute, ma le caratteristiche della malattia hanno permesso di individuare alcuni fattori di rischio e di formulare ipotesi sulle cause molecolari.

L'osteosarcoma, per esempio, si manifesta soprattutto in bambini e adolescenti, cioè nel periodo di massima crescita dell'osso, e gli adolescenti affetti da osteosarcoma sono in genere piuttosto alti per la loro età: queste osservazioni fanno pensare che proprio la crescita rapida dell'osso sia un fattore di rischio.

Tra i fattori di rischio certi per l'osteosarcoma si incontra anche l'esposizione a radiazioni che in genere si verifica a causa di trattamenti di radioterapia a cui ci si sottopone per curare altri tipi di tumore.

Sono stati inoltre identificati fattori di rischio genetici per l'osteosarcoma come, per esempio, mutazioni nei geni oncosoppressori p53 e RB1 responsabili anche della comparsa di altri tipi di cancro e presenti nella forma mutata in alcune sindromi ereditarie che predispongono al tumore. Tra queste sindromi, che aumentano anche il rischio di osteosarcoma, si possono citare la sindrome di Li-Fraumeni legata a mutazioni del gene p53, la sindrome di Rothmund-Thompson che causa problemi scheletrici tra cui l'osteosarcoma ed è legata a mutazioni nel gene REQL4 e infine il retinoblastoma, un raro tumore infantile della retina legato alla perdita parziale o totale del gene RB1. Nei bambini con retinoblastoma aumenta anche il rischio di osteosarcoma soprattutto nelle ossa attorno agli occhi esposte a radioterapia per curare il tumore della retina.

Il rischio di sviluppare condrosarcoma, un diverso tipo di tumore osseo, aumenta invece nelle persone affette da esostosi multipla ereditaria, una malattia che si manifesta con la crescita di protuberanze formate soprattutto da cartilagine a livello delle ossa ed è causata da mutazioni in uno dei 3 geni EXT1, EXT2, o EXT3.

Quanto è diffuso
Il tumore primario dell'osso è abbastanza raro: in Italia si registra in media ogni anno poco più di 1 caso su 100 mila sia per gli uomini sia per le donne, cioè circa 350 nuovi casi all'anno. A differenza del tumore primario, che ha origine proprio nell'osso, le metastasi ossee derivanti da altri tumori (polmone, mammella) sono molto diffuse.

I più colpiti dal tumore delle ossa sono i giovani con una età media vicina ai 20 anni e con il 50 dei casi diagnosticati prima dei 59 anni.

Tutti i segmenti ossei possono essere colpiti da tumore: nei bambini e nei giovani adulti sono interessate soprattutto le ossa che hanno una crescita rapida come, per esempio, le parti terminali delle ossa lunghe (femore, ossa del braccio), ma non sono escluse altre sedi come ginocchio, bacino, spalla e mandibola (soprattutto negli anziani).
Prevenzione
Poiché le cause dei tumori delle ossa sono ancora in gran parte sconosciute, attualmente non esiste alcun tipo di prevenzione efficace per ridurre il rischio di sviluppare questo tipo di cancro.

Q)TUMORE DELLE OVAIE

Le ovaie sono due organi delle dimensioni di circa tre centimetri (ma con variazioni rispetto all'età) situati una a destra e una a sinistra all'utero a cui sono connessi dalle tube.
Le loro funzioni sono due: produrre ormoni sessuali femminili e ovociti, cellule riproduttive femminili.
Ogni mese, quando la donna è fertile e non in stato di gravidanza, le ovaie producono un ovocita che si muove verso l'utero per essere fecondato.

Il cancro all'ovaio è dovuto alla proliferazione incontrollata delle cellule dell'organo, il più delle volte a partenza dalle cellule epiteliali (ovvero non da quelle che producono gli ovuli). Anche le cellule germinali possono però essere all'origine di una forma tumorale.
 
Tipologie
A parte i tumori benigni, come la cisti ovarica, i tumori maligni dell'ovaio sono di tre tipi: tumori epiteliali, tumori germinali e tumori stromali.

I tumori epiteliali originano dalle cellule epiteliali che rivestono superficialmente le ovaie. Essi costituiscono più del 90 per cento delle neoplasie ovariche maligne.

I tumori germinali originano dalle cellule germinali (quelle che danno origine agli ovuli); essi rappresentano il 5 per cento circa delle neoplasie ovariche maligne, sono pressoché esclusivi dell'età giovane (infanzia e adolescenza) e sono differenziabili dagli altri tumori maligni dell'ovaio perché producono marcatori tumorali riscontrabili nel sangue (come l'alfaproteina o la gonadotropina corionica) diversi da quelli prodotti dai tumori di origine epiteliale.

I tumori stromali originano dallo stroma gonadico (tessuto di sostegno dell'ovaio). In teoria costituiscono un gruppo facilmente diagnosticabile dato che alla sintomatologia comune a tutti i tumori ovarici uniscono effetti ormonali (ovvero legati a una eccessiva produzione di ormoni sia femminili sia maschili, perché parte delle cellule è in grado di produrre testosterone). La maggior parte di questi tumori sono caratterizzati da una bassa malignità. Essi rappresentano il 4 per cento circa delle neoplasie ovariche maligne.
 
Evoluzione
Purtroppo il tumore dell'ovaio non dà segni di sé fino a quando non ha raggiunto dimensioni notevoli e questo influenza pesantemente l'esito delle cure.
Negli stadi iniziali, ossia quando la neoplasia è localizzata a un ovaio o anche a tutti e due, il risultato di una terapia adeguata è soddisfacente. Secondo il rapporto annuale 2006 della FIGO (Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia) negli stadi iniziali (stadio I) la sopravvivenza a cinque anni è pari all'85 per cento; così non è negli stadi avanzati in cui la sopravvivenza a cinque anni scende al 50-30 per cento.
 
Sintomi
Il tumore dell'ovaio non dà sintomi nelle fasi iniziali. Per questo è difficile identificarlo precocemente.
Sono tre i sintomi che le donne dovrebbe tenere presente in quanto possibili indicatori precoci della presenza di un cancro delle ovaie: addome gonfio, aerofagia, bisogno di urinare frequente.
Lo affermano diversi studi apparsi negli ultimi anni sulle riviste mediche.
Secondo gli esperti, si tratta di sintomi spesso sottovalutati in quanto comuni ad altre patologie minori.
Ovviamente vanno considerati solo se si presentano (o in rapida sequenza) insieme e all'improvviso: in tutti gli altri casi non sono significativi. A questi sintomi va aggiunta la sensazione di sazietà anche a stomaco vuoto. Quando si manifestano questi veri e propri campanelli d'allarme, è bene richiedere al ginecologo una semplice ecografia pelvica, che potrà dare una prima importante indicazione diagnostica.
 
Diagnosi
La diagnosi si effettua mediante l'esame pelvico ossia la visita ginecologica e la palpazione dell'addome.
Nella valutazione clinica sono importanti l'età della paziente, le dimensioni e la consistenza delle ovaie.
In età fertile l'ovaio normale misura 3,5 cm. In menopausa l'ovaio va incontro ad atrofia, esso misura 2 cm e in menopausa tardiva meno di 2 cm. Se quindi un ovaio palpabile in donna fertile è un ovaio normale, esso rappresenta un tumore dell'ovaio in una donna in post menopausa non necessariamente maligno ma mai disfunzionale. Pertanto in età menopausale e post-menopausale la presenza di un ovaio palpabile è presuntivamente una neoplasia, così come in età fertile un ovaio di diametro superiore a 3,5 cm e di consistenza solida. In questi casi è necessario un accertamento più fine.

L'ecografia transaddominale o meglio transvaginale è molto utile, talvolta combinata con il dosaggio del CA 125, un marcatore serico i cui valori possono però essere elevati in molte situazioni sia tumorali ginecologiche e non ginecologiche, sia in patologie non neoplastiche come epatopatie croniche, pancreatite.

Oltre all'ecografia, vengono utilizzate la TAC addome, il clisma opaco con bario e la risonanza magnetica con lo scopo di verificare la diffusione del tumore e la presenza di eventuali metastasi nel cavo addominale. In linea generale, come detto in precedenza, l'esame pelvico, la determinazione del livello del CA 125 e l'ecografia transvaginale offrono qualche possibilità di una diagnosi precoce del carcinoma ovarico, che però non dà sufficienti garanzie da essere esteso come screening su tutta la popolazione femminile.

Questo approccio è consigliabile nel piccolo numero di soggetti con cancro dell'ovaio di tipo familiare e va eseguito ogni sei mesi a partire dall'età di 30-35 anni.
 
Come si cura
Le donne colpite da un cancro dell'ovaio vengono sottoposte a intervento chirurgico la cui entità varia secondo lo stadio di malattia.
Tuttavia l'intervento chirurgico demolitivo non ha la certezza che il tumore non si ripresenti: per questo si consiglia, dopo l'intervento, una chemioterapia che è tanto più importante quanto più è avanzato il tumore asportato. Esistono molti schemi: uno dei più usati è quello a base di paclitaxel e di cisplatino o carboplatino.

La radioterapia non viene quasi mai impiegata nella terapia del carcinoma ovarico se non a scopo palliativo su alcune sedi metastatiche. Sono allo studio diversi farmaci biologici per la terapia del cancro dell'ovaio in fase avanzata: si tratta per lo più di sostanze ancora in sperimentazione sulle quali si ripongono molte speranze per il futuro. Il farmaco più studiato è il cetuximab, che potrebbe rallentare la progressione di alcune forme positive per il recettore dell'EGFR.
 
Chi è a rischio
Tra i fattori di rischio per il cancro dell'ovaio c'è l'età, come dimostra il fatto che la maggior parte dei casi viene identificata dopo l'ingresso in menopausa, tra la fine della quinta e sesta decade di vita, essendo i picchi massimi tra i 50 e i 69 anni.

Altri fattori di rischio sono la lunghezza del periodo ovulatorio ossia il menarca (prima mestruazione) precoce, la menopausa tardiva e il non aver avuto figli. L'aver avuto più figli, l'allattamento al seno e l'uso a lungo termine di contraccettivi estroprogestinici diminuiscono il rischio di insorgenza del tumore dell'ovaio e sono quindi fattori di protezione.

Esiste però un altro fattore di rischio e questo consiste in specifiche alterazioni di geni. Secondo una stima del National Cancer Institute una percentuale tra il 7 e 10 per cento di tutti i casi è il risultato di una alterazione genetica che si tramanda nelle generazioni. In presenza di difetti genetici consistenti in mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2 può verificarsi la presenza contemporanea o in tempi diversi di carcinoma dell'ovaio e carcinoma della mammella. In questi casi il cancro dell'ovaio si verifica in un'età più giovane di quello non legato ad alterazione genetica.

Va ricordato comunque che l'esistenza in famiglia di tumore dell'ovaio non dà la certezza che esso si ripresenti in tutte le donne imparentate, ma solo che queste ultime hanno un rischio più elevato rispetto alla popolazione generale. Nei casi appartenenti a famiglie con alta presenza di tumore dell'ovaio o carcinoma della mammella può essere utile un esame genetico per stabilire il rischio del singolo individuo. E qualora il soggetto fosse portatore di una mutazione genetica va adottato un programma di stretta sorveglianza con mammografie ed ecografie.
Identificare il rischio genetico

Circa un caso su dieci di cancro delle ovaie è dovuto ad alterazioni genetiche.
Più casi dello stesso tumore o di due tumori associati alla stessa alterazione genetica (come per l'ovaio e la mammella) nello stesso ramo della famiglia possono far sospettare una alterazione genetica ereditaria.
Diverso è il caso in cui la patologia è innescata da scorretti stili di vita presenti in tutta la famiglia. Nel primo caso può essere utile rivolgersi a un centro di consulenza genetico specializzato presso un istituto oncologico nazionale.
 
Quanto è diffuso
In Italia il tumore dell'ovaio colpisce circa 4.000 donne ogni anno. È al nono posto tra le forme tumorali, e costituisce il 2,9 per cento di tutte le diagnosi di tumore.

In Europa rappresenta il 5 per cento di tutti i tumori femminili. È più frequente nella popolazione caucasica, nei Paesi dell'Europa nord occidentale e negli USA, assai meno frequente nei Paesi asiatici, africani, sudamericani.
Prevenzione
Non esistono al momento programmi di screening scientificamente affidabili per la prevenzione del tumore dell'ovaio.
Ciononostante alcuni studi hanno dimostrato che una visita annuale dal ginecologo che esegue la palpazione bimanuale dell'ovaio e l'ecografia transvaginale di controllo possono facilitare una diagnosi precoce.

Alcuni studi hanno tentato di utilizzare per un programma di screening su popolazione sana un marcatore presente nel sangue, il CA 125, che però al momento non risulta affidabile perché troppo poco specifico. Questo marcatore è invece molto utile nel monitorare l'eventuale ripresa della malattia in persone colpite da un tumore ovarico in precedenza.
R)TUMORE DELLA PELLE

La pelle è l'organo più esteso del nostro corpo ed è formata da tre strati: uno strato più superficiale, l'epidermide, uno strato intermedio, il derma e uno strato più profondo, il tessuto sottocutaneo o grasso.

L'epidermide, a sua volta, è formata da cellule di diversa natura: la cellula principale è il cheratinocita o cellula epiteliale, mentre nello strato inferiore sono situati i melanociti, che hanno il compito di produrre melanina. Questo pigmento naturale (presente anche nei capelli e in alcune parti dell'occhio) protegge dagli effetti dannosi dei raggi solari. In condizioni normali i melanociti possono dar luogo ad agglomerati scuri visibili sulla superficie della pelle e noti come nei (nevi è il termine medico).

La crescita incontrollata del cheratinocita o cellula epiteliale e dei melanociti dà origine ai tumori della pelle.
 
Tipologie
I tumori della pelle sono classificati in base alla natura delle cellule da cui hanno origine:
  • i carcinomi basocellulari originano dalle cellule basali, nello strato più profondo dell'epidermide. Appaiono come piccoli noduli di aspetto perlaceo oppure come chiazze di colore rosa, che aumentano lentamente di dimensione. Qualche volta possono essere pigmentati e possono quindi essere scambiati per dei melanomi.
  • i carcinomi spinocellulari  originano invece dalle cellule più superficiali dell'epidermide (nello strato spinoso) e appaiono come noduli o aree a bordi rilevati con una depressione centrale, ulcerati, ma non sanguinanti. Generalmente sono caratterizzati da margini poco definiti.
  • i melanomi originano ex novo su una cute integra, oppure da nevi preesistenti, ovvero agglomerati di melanociti che possono essere presenti fin dalla nascita o comunque dalla prima infanzia (congeniti) oppure comparire durante tutto il corso della vita (acquisiti). I nevi possono subire trasformazioni visibili anche ad occhio nudo. I cambiamenti dello stato di un nevo (soprattutto di alcuni parametri come colore, forma e dimensioni) che avvengono in uno spazio temporale limitato (alcune settimane o pochi mesi) possono essere l'espressione della trasformazione in melanoma e devono essere tempestivamente riferiti al medico di famiglia o ad uno specialista dermatologo.
I carcinomi spinocellulari e basocellulari costituiscono oltre il 90 per cento di tutti i tumori della pelle, sono facilmente curabili, molto raramente mortali. I melanomi, invece, possono essere più pericolosi in quanto hanno la capacità di invadere i tessuti circostanti e diffondere nell'organismo attraverso la circolazione ematica e linfatica, dando metastasi a livello dei vari organi o tessuti.
 
Evoluzione
I carcinomi basocellulari e spinocellulari hanno una buona prognosi perchè crescono lentamente e molto raramente danno luogo a metastasi. Diventano quindi gravi solo se trascurati per lungo tempo. Nel caso di diagnosi di melanoma è molto importante la stadiazione, una sorta di classifica di gravità che permette di definire il tipo di cura necessaria. La gravità dei melanomi viene definita secondo quattro stadi:
  • Stadio I e Stadio II: comprendono melanomi primitivi che ancora non hanno dato metastasi.
  • Stadio III: comprende i melanomi che hanno dato metastasi "regionali", ossia ai linfonodi che drenano la zona cutanea dove si è originato il melanoma oppure metastasi in transit, cioè che si trovano nella zona che decorre tra la sede del tumore primitivo e i linfonodi regionali.
  • Stadio IV: riguarda melanomi che si sono diffusi oltre il distretto "regionale" attraverso il sangue o il sistema linfatico, dando metastasi a distanza in altri organi o tessuti. La gravità del quadro clinico dipende anche dal numero e dalla sede delle metastasi.
Se la stadiazione è importante per la scelta della cura, è altrettanto fondamentale ricordare che anche la prognosi può essere molto diversa in base allo spessore del melanoma stesso. I melanomi inferiori a 1 mm di spessore sono correlati con un'ottima prognosi in oltre il 90 per cento dei casi; queste percentuali diminuiscono progressivamente con l'aumentare dello spessore della lesione. Ciò spiega perchè è fondamentale la diagnosi precoce.
 
Sintomi
Le caratteristiche di un neo che possono indicare l'insorgenza di un melanoma sono riassunte grazie alla sigla ABCD, ovvero:
  • A come Asimmetria nella forma (un neo benigno è generalmente circolare o comunque tondeggiante, un melanoma è più irregolare);
  • B come Bordi irregolari e indistinti;
  • C come Colore variabile (ovvero con sfumature diverse all'interno del neo stesso);
  • D come Dimensioni in aumento, sia in larghezza sia in spessore.
Alla sequenza ABCD è stata più recentemente aggiunta una E, che sta per Evoluzione, a indicare come meritevole di esame anche un neo che in un tempo piuttosto breve ha cambiato aspetto. È comunque opportuno ricordare che lo schema ABCDE, sebbene molto utile per memorizzare gli elementi principali di allarme, non è sufficiente a per fare una diagnosi precoce corretta, che richiede un esame più approfondito delle lesioni cutanee con apposite strumentazioni, come il dermoscopio.

Un melanoma può insorgere in qualsiasi distretto corporeo (comprese le mucose della bocca e dei genitali, la congiuntiva ecc), tuttavia la sede assolutamente prevalente è la cute. Le lesioni più insidiose sono quelle a livello di aree che normalmente sfuggono alla nostra attenzione, come per esempio il cuoio capelluto o la piega tra le dita dei piedi.
 
Diagnosi
La diagnosi certa dei tumori della pelle viene effettuata solo con una biopsia: viene cioè prelevata una porzione di tessuto e analizzata al microscopio.
L'esame visivo da parte del dermatologo è reso più accurato grazie all'uso dell'epiluminescenza, una speciale tecnica di ingrandimento e illuminazione della pelle che consente di osservare anche gli strati più profondi.
 
Come si cura
La terapia dei carcinomi basocellulari e spinocellulari è chirurgica.
La rimozione del tumore può avvenire con la chirurgia tradizionale e, in casi selezionati, anche con tecniche di chirugia laser. A volte può essere indicata un'applicazione locale di farmaci chemioterapici. Se operati nelle fasi iniziali, questi tumori guariscono nel 95 per cento dei casi: la tempestività è essenziale, in quanto anche questi carcinomi, soprattutto quelli spinocellulari, possono dare metastasi o estendersi localmente determinando problematiche serie nel controllo della malattia.

Nel caso del melanoma, il tipo di terapia viene scelto in base allo stadio della malattia.

Il principale trattamento è l'asportazione chirurgica, la cui entità dipende dallo stadio del tumore: melanomi di spessore ≥ a 1 mm, oppure inferiori a 1 mm ma con evidenza di ulcerazione della lesione o con proliferazione cellulare, possono anche richiedere la rimozione dei linfonodi cosiddetti "sentinella", ovvero i primi a ricevere linfa direttamente dal tumore. Se i linfonodi sentinella mostrano di contenere cellule tumorali vengono asportati tutti quelli dell'area interessata. Quando il tumore è localizzato agli arti è possibile controllare la malattia con idonei trattamenti loco regionali che si utilizzano in casi selezionati. La perfusione ipertermico-antiblastica è una modalità che consente di isolare la gamba o il braccio dalla circolazione sanguigna generale e infondere una quantità di farmaco molto maggiore rispetto a quella comunemente somministrabile in tutto l'organismo, con il vantaggio di poter potenziare l'effetto del farmaco con quello dell'alta temperatura (circa 40°C).

Un'altra metodica di controllo locale della malattia è l'elettrochemioterapia, che prevede l'utilizzo di un farmaco, la bleomicina, somministrato per via endovenosa a basse concentrazioni, combinato con una differenza di potenziale elettrico che rende le membrane delle cellule tumorali più permeabili alla diffusione del farmaco all'interno delle cellule tumorali. Questo risultato viene ottenuto mediante l'utilizzo di apposite sonde applicate sia alla cute che a livello sottocutaneo.

I melanomi di stadio IV sono poco sensibili alle cure convenzionali come la chemioterapia o la radioterapia. Per questa ragione in questi ultimi anni si stanno studiando approcci sperimentali alternativi, come i vaccini terapeutici e l'immunoterapia, allo scopo di maggiormente istruire il sistema immunitario a tenere a bada le cellule tumorali. Un altro filone di ricerca promettente consiste nella possibilità di produrre dei farmaci che agiscano sulla base di specifiche mutazioni genetiche che riguardano sottopopolazioni di pazienti. La prospettiva delle ricerche sui nuovi trattamenti farmacologici per il melanoma avanzato si orienta quindi ad individuare sottogruppi di pazienti con specifiche caratteristiche che possano beneficiare di terapie sempre più individualizzate.
 
Chi è a rischio
Per quanto riguarda i tumori della pelle, il principale fattore di rischio è l'esposizione cronica alla luce del sole. I raggi del sole responsabili dell'abbronzatura, ma anche delle scottature, sono quelli ultravioletti, che possono danneggiare il Dna delle cellule della pelle. Nella maggior parte dei casi questi danni vengono riparati, oppure portano alla morte delle cellule stesse. A volte, però, possono trasformare qualche cellula in senso canceroso, provocandone una crescita incontrollata.

I tumori della pelle si sviluppano soprattutto a livello delle parti del corpo più esposte al sole: viso, orecchie, collo, cuoio capelluto, spalle e dorso. Altri fattori di rischio sono il contatto con l'arsenico, l'esposizione a radiazioni ionizzanti, anomalie genetiche e un'insufficienza del sistema immunitario dovuta a precedenti chemioterapie, trapianti oppure all'AIDS.

Per il melanoma i fattori di rischio sono noti soltanto in parte. Alcuni di questi sono strettamente legati alla persona:
  • una predisposizione familiare;
  • la presenza di lentiggini o di nei, soprattutto se sono grossi, dai bordi irregolari, di forma e colore variabile o in gran quantità (più di 50);
  • occhi, capelli e pelle chiara; queste persone generalmente durante esposizioni solari intense si scottano con facilità, ma non si abbronzano.
Nel caso del melanoma il legame tra l'esposizione ai raggi solari e l'insorgenza del tumore è meno forte rispetto agli altri tumori della pelle. Si è comunque visto che molti pazienti che sviluppano melanomi avevano avuto ustioni solari in età giovanile, oppure avevano mostrato un aumento del numero dei nevi a seguito dell'esposizione ai raggi ultravioletti.
 
Quanto è diffuso
Rarissimo nell'infanzia, l'età media di insorgenza del melanoma è intorno ai 45-50 anni, ma la tendenza degli ultimi due decenni è orientata verso un'insorgenza a età più precoci.

Considerato fino a pochi anni fa una forma rara di cancro, oggi è in crescita in tutto il mondo: il numero di melanomi, infatti, è raddoppiato negli ultimi 15 anni.

I carcinomi basocellulare e spinocellulare sono decisamente più frequenti (circa 50 volte più dei melanomi) e compaiono in età più avanzata (sopra i 50 anni).
Prevenzione
Alcuni comportamenti possono ridurre, ma non annullare, il rischio di sviluppare tumori della pelle. Per quanto non esista una proibizione assoluta all'esposizione alla luce solare, è consigliabile prendere il sole in maniera moderata fin dall'età infantile, evitando gli eccessi e le conseguenti ustioni.

In generale bisogna proteggere la pelle evitando di esporsi al sole durante le ore più calde (tra le 10 e le 16) ed evitando l'uso di lampade o lettini abbronzanti a scopo cosmetico. È consigliabile anche indossare cappelli e occhiali da sole e usare creme protettive adeguate al proprio tipo di pelle, applicandole più volte in modo da assicurare una copertura continua.

Queste attenzioni vanno riservate soprattutto ai bambini, molto sensibili alle scottaure: il processo di trasformazione tumorale è molto lungo e spesso può derivare da un'alterazione che è avvenuta in età pediatrica. Infine si può ridurre il rischio con una dieta povera di grassi e ricca di sostanze antiossidanti come le vitamine A, C, E, il coenzima Q e il betacarotene, ma anche il tè verde e il ginger.

Per quanto riguarda specificamente il melanoma, è necessario controllare periodicamente l'aspetto dei propri nei, sia autonomamente (ovvero guardandosi allo specchio per identificare eventuali trasformazioni e facendosi guardare da un famigliare nei punti non raggiungibili col proprio sguardo) sia consultando il dermatologo.

S)TUMORE DEL PANCREAS
Il pancreas è un organo a forma di pera situato in profondità nell'addome, tra lo stomaco e la colonna vertebrale.

È suddiviso in tre parti: la più grande viene chiamata testa, quella mediana corpo e la parte più sottile è denominata coda.

Il pancreas produce diversi ormoni molto importanti tra i quali l'insulina, che regola il livello degli zuccheri nel sangue, e vari enzimi che consentono la digestione da parte dell'intestino. Questi sono trasportati da appositi dotti attraverso il pancreas e poi nei dotti biliari, che li veicolano all'intestino.
Il tumore del pancreas si manifesta quando alcune cellule, nella maggior parte dei casi nella sezione della testa, si moltiplicano senza più controllo.
 
Tipologie
Circa il 70 per cento dei tumori del pancreas si sviluppano nella testa dell'organo, e la maggior parte di questi ha origine nei dotti che trasportano gli enzimi della digestione.
 
Evoluzione
Le cellule tumorali che crescono nel pancreas si diffondono purtroppo con grande facilità ai linfonodi vicini e ad altri organi quali i polmoni e il fegato, oppure possono diffondersi nell'addome dando luogo alla cosiddetta "carcinosi peritoneale".
Inoltre il tumore del pancreas non si fa sentire fino a quando non ha raggiunto dimensioni notevoli o quando ostruisce vasi importanti. Ciò, insieme alla posizione e ai rapporti dell'organo con gli altri organi dell'addome, rende il tumore del pancreas una delle forme di neoplasia più difficili da curare.
 
Sintomi
Purtroppo il tumore del pancreas in fase precoce non dà segni particolari, e anche quando sono presenti sintomi si tratta di disturbi piuttosto vaghi, che possono essere interpretati in modo errato sia dai pazienti sia dai medici. Per questi motivi la diagnosi spesso viene fatta quando la malattia è già estesa.

Sintomi più chiari (variabili a seconda della zona del pancreas dove ha avuto inizio il tumore) compaiono quando il tumore ha iniziato a diffondersi agli organi vicini o ha bloccato i dotti biliari.

Possono così manifestarsi perdita di peso e di appetito, ittero (colorazione gialla della pelle), dolore nella parte superiore dell'addome o nella schiena, debolezza, nausea o vomito. Infine, una percentuale di malati che va dal dieci al venti per cento può essere anche colpita da diabete, dovuto all'incapacità delle cellule malate di produrre insulina.
 
Diagnosi
Quando c'è il sospetto di un tumore del pancreas si possono fare diversi esami per verificare se il dubbio è fondato.

Le forme più moderne di TAC (spirale o elicoidale) sono in grado di rilevare i tumori del pancreas e dei linfondi, del fegato e dei dotti biliari.

Un altro esame è quello ecografico, sia esterno, dell'addome, sia interno, effettuato per via endoscopica attraverso lo stomaco e il duodeno.

In presenza di ittero (colorazione gialla della pelle) è necessario controllare se i dotti biliari sono ostruiti e se tale ostruzione è dovuta a un tumore. Per fare ciò si può ricorrere a tre diversi esami: la colangiopancreatografia retrograda endoscopica (ERCP), la colangiografia transepatica percutanea e la colangiorisonanza magnetica. Quest'ultimo è il meno invasivo dei tre e permette di ottenere una buona definizione della sede dell'ostruzione; non consente però di effettuare una biopsia per cercare la presenza di cellule tumorali, cosa che è invece possibile con entrambe le altre metodiche.

I malati di tumore del pancreas, inoltre, hanno talvolta un innalzamento dei livelli di una proteina chiamata CA-19-9, che però non è sempre presente e può essere elevato anche in presenza di altre malattie. Per questo, quando si rileva un valore anomalo di CA-19-9, è bene approfondire le indagini.
 
Come si cura
Una piccola percentuale di malati di tumore del pancreas viene identificata quando il tumore è ancora localizzato e viene dunque sottoposta a un'asportazione chirurgica che ha qualche probabilità di successo, anche se l'intervento è complicato e gravato da molti rischi. I risultati migliori si ottengono nei centri specializzati nella cura di questi tumori dove ogni anno vengono eseguiti un alto numero di interventi di questo tipo.

L'intervento chirurgico è diverso a seconda della localizzazione del tumore. Per i tumori della testa del pancreas è indicato l'intervento di duodenocefalopancreasectomia che prevede l'asportazione in blocco di duodeno, ultima parte di stomaco, via biliare e testa pancreatica. In caso di tumori del corpo e della coda queste porzioni di pancreas vengono asportate in blocco con la milza, senza intaccare organi del tubo digerente.

Purtroppo queste operazioni, molto impegnative, sono associate a una mortalità che può arrivare al 10 per cento e comunque non sono sempre possibili, dato che la malattia si diffonde con rapidità.

Dopo l'intervento può essere necessario eseguire una chemioterapia, che rappresenta anche l'unica arma a disposizione, insieme alla radioterapia, per i tumori che non sono operabili.

Data la gravità di questa patologia, la ricerca sta attivamente cercando una soluzione. I filoni più promettenti riguardano l'identificazione di proteine specifiche espresse dal tumore, che potranno diventare bersaglio di terapie mirate. In questo senso vanno sia la recente identificazione di una proteina, chiamata palladina, che è rappresentata in maniera massiccia sulla superficie delle cellule neoplastiche, che la scoperta dei micro RNA come "firma genetica" della malattia.
 
Chi è a rischio
Le persone più a rischio sono quelle che si trovano nella fascia d'età compresa tra i 60 e gli 80 anni: il tumore del pancreas è assai raro tra chi ha meno di 40 anni.

I fumatori hanno un rischio che è circa triplo rispetto a quello di chi non fuma.

Un altro fattore di rischio certo, anche se non ancora chiaro nei dettagli, è rappresentato dal diabete non insulino-dipendente (ovvero quello che in genere si manifesta dopo i 45 anni di età) e da alcune malattie genetiche rare quali la sindrome di von Hippel-Lindau. Anche alcol e caffè sono sospettati di favorirne lo sviluppo, così come alcune esposizioni professionali a solventi di uso industriale e agricolo e a derivati della lavorazione del petrolio.

Recentemente è stato scoperto un legame con l'obesità: una revisione pubblicata dagli epidemiologi del Karolinska Institute di Stoccolma ha dimostrato che esiste una relazione in entrambi i sessi, soprattutto quando il grasso è stratificato sull'addome e quando sono presenti l'intolleranza al glucosio, la resistenza all'insulina e il diabete.

La presenza in famiglia di altri casi o di tumori della mammella o del colon costituisce un fattore di rischio aggiuntivo, in genere riconducibile a specifiche mutazioni genetiche ereditarie, che hanno un ruolo molto importante nello sviluppo della neoplasia. Infine, essendo un organo fondamentale per la digestione, anche la dieta ha un ruolo importante: un'alimentazione ricca di grassi e proteine animali sembra collegata a un aumento di casi.
 
Quanto è diffuso

Ogni anno sono circa 6.000 le persone colpite dal tumore del pancreas,
con un aumento dei casi proporzionale all'età ed equamente distribuito tra i due sessi.

La prevalenza che si è registrata per molti anni a favore degli uomini, infatti, era dovuta al fatto che questi fumavano in proporzione maggiore rispetto alle donne e che il fumo è un fattore di rischio importante: oggi, al contrario, le donne fumano quanto e più degli uomini.
 
Prevenzione
Non essendo sicuramente note tutte le cause, è difficile consigliare una prevenzione efficace.

È senza dubbio importante non fumare e avere una dieta ricca di frutta e verdura e povera di alcol.

Le persone che hanno altri casi di tumore del pancreas in famiglia possono sottoporsi a controlli periodici sulla funzionalità del pancreas, del fegato e dell'intestino.

TUMORI PELVI E URETERE

Cos'è

L'uretere è un tubo lungo e stretto che collega il rene alla vescica. Attraverso gli ureteri (ce ne sono due, uno per ciascun rene) l'urina che si forma nel rene raggiunge la vescica e lì rimane fino a quando è eliminata all'esterno. La parte più alta dell'uretere, quella a diretto contatto con il rene, ha una forma leggermente allargata e prende il nome di pelvi renale. Anche in queste strutture, che fanno parte della cosiddetta via escretrice, si possono sviluppare tumori.
 
Quanto è diffuso
I tumori di pelvi renale e uretere non sono molto comuni e rappresentano solo una piccola percentuale di tutti i tumori che colpiscono l'apparato uro-genitale: circa il 5% dei tumori del rene si sviluppa infatti a livello della pelvi renale e circa l'1% di quelli dell'apparato renale colpisce l'uretere. Nel 2% dei casi il tumore è bilaterale, cioè riguarda contemporaneamente entrambi gli ureteri (o pelvi renali).
 
Chi è a rischio
Le cause dei tumori di pelvi renale e uretere non sono ancora del tutto note, ma sono stati identificati alcuni fattori di rischio che aumentano le probabilità di sviluppare la malattia. Uno di questi fattori è il fumo di sigaretta, al quale si aggiungono anche l'uso inappropriato o troppo prolungato nel tempo di alcuni farmaci per il dolore (tra cui farmaci che non necessitano della prescrizione medica) e l'esposizione ad alcune sostanze chimiche o coloranti utilizzate nella produzione di materie plastiche o nella lavorazione delle pelli. Esistono inoltre alcuni fattori di rischio che non possono essere modificati come per esempio l'età o il sesso: questi tumori sono infatti più comuni negli uomini che nelle donne e insorgono spesso dopo i 40 anni (in genere attorno ai 60-70 anni). Infine, anche continue infezioni urinarie e una storia familiare di tumore a cellule di transizione possono aumentare il rischio.
 
Tipologie
Quasi tutti i tumori (oltre il 90%) che colpiscono pelvi renale e uretere derivano dallo strato di cellule che riveste queste strutture e che viene definito epitelio di transizione: per questa ragione il tumore prende il nome di carcinoma a cellule di transizione. Il restante 10% è rappresentato da tumori a cellule squamose e da adenocarcinomi (estremamente rari).

Sintomi
Nelle fasi più precoci i tumori di pelvi renale e uretere possono essere privi di sintomi. Nelle fasi più avanzate invece i sintomi si fanno più frequenti e tra i più comuni si possono citare presenza di sangue nelle urine, dolore durante la minzione (quando si espelle l'urina) o necessità di urinare molto spesso, dolore continuo alla schiena o dolore pelvico, stanchezza e perdita di peso senza motivo.
 
Prevenzione
Non esiste una strategia precisa per la prevenzione dei tumori della pelvi renale e dell'uretere, ma è buona norma cercare di evitare i fattori di rischio già noti. Si può per esempio smettere di fumare se si è fumatori, evitare di assumere farmaci per il dolore senza prima consultare il medico e prendere tutte le precauzioni necessarie per garantire la sicurezza se si lavora con sostanze pericolose.
 
Diagnosi
Dopo aver posto domande precise per conoscere meglio i sintomi e la storia familiare del paziente, il medico effettua una visita approfondita e, nel caso ci sia il sospetto di un tumore, prescrive esami di approfondimento. Dall'esame delle urine è possibile per esempio scoprire l'eventuale presenza di batteri, proteine anomale o sangue, ma anche in alcuni casi (analisi citologica dell'urina) di cellule tumorali che si sono staccate dal tumore e sono state eliminate con le urine. L'ureteroscopia è un esame più invasivo durante il quale un sottile tubicino dotato di luce e telecamera viene inserito nell'uretere e nella pelvi renale. Grazie a questo esame è possibile vedere se c'è qualche area dall'aspetto strano o sospetto all'interno degli organi esaminati ed è anche possibile prelevare un campione di tessuto anomalo per analizzarlo al microscopio (biopsia). La biopsia permette di essere certi della presenza di un tumore e anche di conoscerne più in dettaglio le caratteristiche. In alcuni casi il medico può anche prescrivere un'urografia per verificare se ci sono "blocchi" in qualche zona dell'apparato urinario: nel corso dell'esame viene iniettato per via intravenosa un mezzo di contrasto che si muove attraverso le vie renali e le rende visibili alla radiografia. TAC, ecografie e risonanza magnetica possono invece rivelarsi utili per capire se e quanto il tumore si è diffuso in altre parti dell'organismo.
 
Evoluzione
Una volta certi della presenza di un tumore è molto importante capire se e quanto si è diffuso nell'organismo. Questa operazione viene definita stadiazione perché permette di assegnare uno "stadio" al tumore. Nel caso dei tumori di pelvi renale e uretere si distinguono 5 diversi stadi: dallo stadio 0 (tumore localizzato) allo stadio IV (quarto stadio; tumore che ha raggiunto organi anche lontani da quello di origine).
Come si cura
Per scegliere il trattamento più adatto a ogni singolo caso è necessario tenere conto delle caratteristiche del tumore (tipo di tumore, sua posizione e diffusione) e del paziente (età, stato di salute generale). In generale, la prima scelta per la cura dei tumori di pelvi renale e uretere è la chirurgia con la quale si cerca di asportare, se possibile, tutto il tumore. Uno degli interventi più comuni è la cosiddetta nefroureterectomia che prevede l'asportazione completa del rene, dell'uretere e di una parte della vescica. Si può anche decidere di asportare solo la parte di uretere che contiene il tumore e una piccola parte di tessuto sano circostante (ureterectomia parziale), ma si tratta di una scelta riservata solo a casi molto selezionati, dal momento che con questo intervento il rischio che il tumore si ripresenti in un altro tratto dell'uretere è piuttosto alto. La decisione di asportare solo una parte della pelvi renale intaccata dal tumore senza rimuovere l'intero rene è riservata a quelle persone che hanno già problemi renali o vivono con un solo rene. A volte si utilizza la corrente elettrica per distruggere il tessuto tumorale o si ricorre a un raggio laser che agisce come un bisturi e rimuove (o distrugge) il tumore. Quando il tessuto malato non può essere eliminato con queste tecniche si ricorre in genere alla chemioterapia o alle terapie biologiche come, per esempio, l'immunoterapia, che sfrutta il sistema immunitario del paziente per combattere il tumore. In genere la radioterapia viene utilizzata a scopo palliativo, cioè per ridurre il dolore nelle fasi terminali della malattia.

TUMORE AL POLMONE

I polmoni sono due organi simmetrici, spugnosi, posti nel torace. La loro funzione è quella di trasferire l'ossigeno respirato al circolo sanguigno e depurarlo dell'anidride carbonica prodotta dall'organismo.
Il tumore del polmone compromette questa funzione in quanto provoca una crescita incontrollata di determinate cellule polmonari (quelle che costituiscono bronchi, bronchioli e alveoli) che possono costituire un massa che ostruisce il corretto flusso dell'aria, oppure provocare emorragie polmonari o bronchiali.
Non esiste un solo tipo di tumore al polmone bensì diverse tipologie di malattia a seconda del tessuto polmonare interessato.
 
Tipologie
Bronchi, bronchioli e alveoli polmonari sono ricoperti da un sottile strato di tessuto detto epiteliale. Il 95 per cento dei cancri al polmone origina proprio dall'epitelio e viene chiamato carcinoma broncògeno (ovvero originato dai bronchi). Nel restante 5 per cento dei casi l'origine può essere a livello di tessuti diversi che compongono il polmone, per esempio i tessuti nervoso ed endocrino (in questo caso si parla di carcinoide polmonare di origine neuroendocrina) o linfatico (in questo caso si tratta di un linfoma polmonare).

Il carcinoma spinocellulare (detto anche squamocellulare) rappresenta il 25-30 per cento dei tumori broncògeni e nasce nelle vie aeree di medio-grosso calibro. È dovuto alla trasformazione dell'epitelio bronchiale provocata dal fumo di sigaretta. È questo il tumore polmonare con la prognosi migliore.

Al pari del precedente, anche il microcitoma (o tumore a piccole cellule), che si osserva nel 20 per cento circa dei casi, insorge nei bronchi che hanno diametro più grande, e anch'esso è correlato con il fumo di sigaretta. Questo tumore è costituito da cellule di piccole dimensioni, ha un'origine di tipo neuroendocrina e può esistere in forma pura oppure coesistere con altri tipi. La sua prognosi è in genere peggiore del precedente.

L'adenocarcinoma si presenta in circa il 30 per cento dei casi e si localizza, al contrario dei precedenti, in sede più periferica e cioè a livello dei bronchi di calibro minore. È il tumore polmonare più frequente tra chi non ha mai fumato e talvolta è dovuto alla presenza di cicatrici polmonari (per esempio per vecchie infezioni tubercolari o per pleuriti). Un sottotipo è rappresentato dall'adenocarcinoma bronchioloalveolare che deriva dalle cellule che tappezzano gli alveoli e che tende a diffondersi lungo le vie aeree.

Meno frequente (10-15 per cento) è invece il carcinoma a grandi cellule che deriva anch'esso dalle vie aeree più piccole.

Dal punto di vista clinico si è soliti fare distinzione tra il tumore polmonare a piccole cellule (cioè il microcitoma) e il tumore polmonare non a piccole cellule (che comprende i restanti tipi sopra menzionati). L'importanza di questa suddivisione è legata al diverso tipo di trattamento.
Evoluzione
I tumori polmonari sono classificati in base a quattro stadi di gravità crescente.

Per la classificazione di questo e altri tumori si usa il cosiddetto sistema TNM.

Il parametro T descrive la dimensione del tumore primitivo (cioè quello che si è manifestato per primo nel caso in cui questi siano più di uno sia all'interno del polmone sia nel resto dell'organismo), il parametro N prende in considerazione l'eventuale interessamento dei linfonodi e infine il parametro M fa riferimento alla presenza o meno di metastasi a distanza.
 
Sintomi
Come già accennato in precedenza, il carcinoma spinocellulare e il microcitoma insorgono in posizione più centrale, cioè nei rami bronchiali di calibro maggiore; l'adenocarcinoma e il carcinoma a grandi cellule si presentano invece in posizione più periferica.

Il tumore del polmone può diffondersi per contiguità alle strutture vicine (la pleura, la parete toracica e il diaframma sono alcuni esempi), per via linfatica ai linfonodi (bronco-polmonari, mediastinici e sovraclaveari) o attraverso il flusso sanguigno: in questo ultimo caso si presenterà con metastasi a distanza. Quasi tutti gli organi possono essere colpiti: il fegato, il cervello, i surreni, le ossa, i reni, il pancreas, la milza e la cute.

Il tumore del polmone non sempre si manifesta con chiarezza fin dagli esordi e i sintomi possono essere comuni ad altre malattie polmonari. Tosse secca o con catarro (talora striato di sangue), piccole perdite di sangue con i colpi di tosse (emottisi), difficoltà respiratorie, dolore al torace e perdita di peso sono segni e sintomi caratteristici che possono anche presentarsi in forma lieve e in una piccola percentuale di casi mancare.
 
Diagnosi
L'esame istologico (cioè lo studio al microscopio di un frammento di tessuto prelevato dal tumore) è fondamentale per poter impostare con correttezza il programma di terapia.

Per la diagnosi di un tumore del polmone che abbia manifestato sintomi, oltre all'esame clinico, la radiografia e la TAC del torace sono esami fondamentali.

Nei casi dubbi si utilizzerà la PET oppure metodi più fastidiosi ma necessari come la broncoscopia (utile anche per eseguire prelievi del tessuto senza ricorrere all'intervento chirurgico).
 
Come si cura
L'approccio terapeutico cambia a seconda che ci si trovi di fronte a un tumore a piccole cellule, sensibile ai chemioterapici, oppure a un tumore non a piccole a cellule, che non presenta tale sensibilità.

Nel primo caso la malattia è più aggressiva e proprio per questa sua caratteristica il trattamento si basa principalmente sulla chemioterapia e sulla radioterapia (ove possibile); la chirurgia, cioè l'eliminazione del tumore mediante l'asportazione della parte di polmone coinvolta, del tutto o in parte (lobectomia), è indicata solamente in casi selezionati.

Nel tumore non a piccole cellule l'intervento chirurgico rappresenta invece la terapia di scelta, a meno che non siano già presenti metastasi a distanza.

Nel caso di un tumore di grosse dimensioni esiste la possibilità di effettuare la chemioterapia prima o dopo l'operazione chirurgica che prende il nome rispettivamente di neoadiuvante o adiuvante. Lo scopo è quello di ridurre la dimensione del tumore per rallentare le ricadute. È possibile anche utilizzare la radioterapia.

Tra i farmaci chemioterapici più attivi ricordiamo i derivati del platino e i taxani: sono comunque allo studio nuove molecole che hanno già dimostrato una certa attività su altri tipi di tumore e che ora vengono testati anche su questo.

Per quanto riguarda i farmaci biologici, sono allo studio nuove terapie, in particolare contro l'EGFR (un fattore di crescita cellulare coinvolto nella proliferazione tumorale) e contro il gene ALK (un recettore di membrana che produce uno stimolo proliferativo). Benché siano disponibili farmaci intelligenti contro l'EGFR (per esempio il gefitinib )e contro ALK (crizotinib), i risultati non sono stati quelli sperati a causa di altre mutazioni genetiche concomitanti che possono rendere il tumore resistente al farmaco biologico. Attualmente sono in sperimentazione strategie di aggiramento di queste modificazioni genetiche e nuove molecole biologiche.
 
Chi è a rischio
Il più importante fattore di rischio nel tumore del polmone è rappresentato dal fumo di sigaretta: esiste infatti un chiaro rapporto dose-effetto, e questo vale anche per il fumo passivo, tra questa abitudine e la neoplasia. Ciò significa che più si è fumato (o più fumo si è respirato nella vita), maggiore è la probabilità di ammalarsi. Questa relazione vale in particolare per alcuni sottotipi di cancro al polmone: il carcinoma spinocellulare e il microcitoma.

Il fumo di sigaretta contiene numerose sostanze che agiscono direttamente (cioè con lesioni immediate) o indirettamente (cioè con lente modificazioni nel corso del tempo) a livello dei bronchi. Per fare un esempio, sono cancerogeni diretti gli idrocarburi aromatici policiclici (cioè i prodotti della combustione, tra cui il ben noto benzopirene) e le nitrosamine (derivati dell'ammoniaca usati nella lavorazione delle sigarette); invece i fenoli e le aldeidi (contenuti per esempio nella carta) si sono dimostrati fattori indiretti, cioè sono in grado, col tempo, di promuovere la trasformazione delle cellule in senso tumorale.

Esistono poi altri cancerogeni chimici come l'amianto (asbesto), il radon, i metalli pesanti, il catrame e gli oli minerali, che provocano il tumore del polmone soprattutto in quella parte di popolazione che viene a contatto con queste sostanze per motivi di lavoro: si parla in questo caso di esposizione professionale.

Esistono numerosi studi che dimostrano che i cancerogeni contenuti nel fumo di sigaretta inducono specifiche alterazioni molecolari in due geni, p53 e FHIT, comportandone una perdita di funzione che promuove lo sviluppo di cancro polmonare.
Il fumo in cifre

Il fumo di sigaretta è oggi ritenuto il fattore causale più importante del tumore polmonare. È stato dimostrato che un uomo dell'età di 35 anni, che fuma 25 o più sigarette al giorno, ha un rischio di morire di cancro del polmone prima dei 75 anni pari al 13 per cento.

Il rischio aumenta in relazione a:

1. numero di sigarette fumate (in modo proporzionale diretto: più sono, più sale il rischio);
2. età di inizio dell'abitudine al fumo (più si è giovani, più rischi si corrono);
3. assenza di filtro nelle sigarette (i prodotti della combustione, come i catrami, contribuiscono in modo rilevante alla patologia).

Nei soggetti che smettono di fumare il rischio si riduce nel corso dei 10-15 anni successivi, fino a eguagliare quello di chi non ha mai fumato, se si riesce a smettere per tempo. Anche il fumo passivo aumenta il rischio di sviluppare il carcinoma polmonare (ovvero aumenta del 19 per cento il rischio dell'individuo non fumatore di ammalarsi di cancro al polmone).
 
Quanto è diffuso
Il tumore del polmone rappresenta la prima causa di morte nei Paesi industrializzati.

Questa malattia da sola rappresenta il 20 per cento di tutti i tumori maligni nelle persone di sesso maschile. In questi ultimi anni, però, si sta registrando un progressivo aumento anche tra le donne. La ragione è semplice: le donne fumano sempre di più e il fumo è la prima causa di cancro al polmone.

In Italia si stimano circa 34.000 nuovi casi di tumore ogni anno nelle persone fino agli 84 anni di età . Pur tenendo conto dell'aumento dei casi dovuto all'invecchiamento della popolazione, in media un uomo ogni tre e una donna ogni quattro ha la probabilità di avere una diagnosi di tumore nel corso della vita media (0-74 anni). In Italia muoiono per tumore del polmone circa 27.500 persone all'anno (circa 22.000 uomini e 5.500 donne), rappresentando la prima causa di morte oncologica negli uomini e la seconda nelle donne.
Secondo l'ultimo rapporto ISTAT, la mortalità per tumore diminuisce del 2 per cento circa l'anno, ma nel caso del cancro polmonare tale diminuzione riguarda solo gli uomini mentre nelle donne i decessi sono aumentati dell'1,5 per cento.
 
Prevenzione
Per fare una buona prevenzione del cancro al polmone non resta che eliminare il fumo.

Nel caso dei non fumatori è bene far rispettare in ogni occasione i divieti imposti nei luoghi pubblici e di lavoro, in particolare in presenza di bambini.

Non vi è ancora accordo tra gli esperti sull'opportunità di sottoporre a screening (cioè a esami periodici) persone che sono a rischio elevato perché fumatrici o ex fumatrici: la ragione è che non sempre gli screening sono efficaci, individuano il tumore precocemente e consentono di effettuare terapie che aumentano effettivamente la durata di vita della persona.

Studi sono ancora in corso per dimostrare l'utilità di sottoporre i fumatori ultra cinquantenni a esami annuali come la TAC spirale o l'esame citologico dello sputo. Sono disponibili anche alcuni marcatori nel sangue (tra cui alcuni ormoni) che consentono di valutare l'evoluzione della malattia.
Uno screening controverso

L' efficacia dello screening con TAC spirale in termini di riduzione della mortalità è ancora un argomento controverso. Gli studi osservazionali finora pubblicati hanno riportato un aumento di oltre tre volte delle diagnosi di cancro polmonare senza però una consistente diminuzione nel numero dei tumori più aggressivi e senza una sostanziale riduzione della mortalità.
I risultati dei due studi di screening randomizzati finora pubblicati hanno prodotto risultati contrastanti. Uno studio italiano (Infante et al., 2009) non ha riportato un beneficio sulla mortalità mentre i recenti risultati del più grande studio americano (NSLT group, 2011) hanno mostrato una riduzione del 20 per cento della mortalità per cancro polmonare, e del 6,9 per cento della mortalità globale, negli individui sottoposti a screening con TAC spirale rispetto a quelli con raggi-X convenzionali.
Tuttavia, prima che lo screening con TAC spirale possa essere offerto a milioni di individui nel mondo, è necessario selezionare meglio gli individui a rischio (possibilmente con l' uso di biomarcatori), determinare la frequenza e la durata dello screening, valutare i costi e gli effetti collaterali quali l'aumento delle procedure invasive e il danno radiologico).

TUMORE DEL PENE

Il pene, l'organo sessuale esterno maschile, fa parte anche del sistema urinario dell'uomo. È un organo erettile costituito da diversi tipi di tessuti (pelle, nervi, muscoli e vasi sanguigni) e attraversato da un canale detto uretra che serve a svuotare la vescica dalle urine (con la minzione) ed emettere il liquido seminale (con l'eiaculazione).
All'interno del pene si trovano due "camere" chiamate corpi cavernosi e una, detta corpo spongioso, che riveste l'uretra. Le camere contengono un intreccio di vasi sanguigni responsabili del fenomeno dell'erezione: in risposta a segnali da parte del sistema nervoso, il sangue si concentra nei corpi cavernosi e nel corpo spongioso, provocando l'espansione dei tessuti tramite la vasodilatazione e un sistema di valvole. Dopo l'eiaculazione il sangue torna a defluire dal pene al resto del corpo e il pene riprende il suo aspetto a riposo.
Tutte le cellule che costituiscono il pene possono trasformarsi e dare origine a un tumore, anche se questo fenomeno non è molto frequente e il tumore del pene è infatti piuttosto raro.
 
Tipologie
Il tumore del pene più comune è il carcinoma spinocellulare (95 per cento dei casi) che trae origine dal rivestimento epidermico del glande e dalla parte interna del prepuzio. Seguono altri tumori come il melanoma, il sarcoma e altri ancora, decisamente molto rari.
 
Evoluzione
Come per molti altri tumori solidi, anche per il carcinoma spinocellulare del pene si utilizza il cosiddetto sistema di stadiazione TNM. Grazie a questo sistema è possibile assegnare uno stadio al tumore, cioè capire quanto è diffuso nell'organismo, tenendo conto dell'estensione locale sul pene della malattia (T), del coinvolgimento dei linfonodi vicini (N) e della presenza di metastasi in organi distanti (M).
Un altro parametro importante per conoscere il tumore è il grado, ovvero la misura di quanto le cellule tumorali risultano anomale rispetto a quelle sane. Esistono 4 gradi per descrivere il tumore del pene: maggiore è il grado (più le cellule tumorali appaiono diverse da quelle sane) e maggiore è la tendenza della malattia a crescere e a diffondersi in altri organi.
Sintomi
In genere uno dei primi sintomi del tumore del pene è una variazione nell'aspetto della pelle che potrebbe cambiare colore, diventare più sottile o più spessa in alcune aree. A volte si formano piccole ulcerazioni o noduli sul pene che possono essere più o meno dolorosi oppure del tutto asintomatici e piccole placchette superficiali biancastre o rossastre sulla superficie interna del prepuzio o sulla superficie del glande, talvolta accompagnate dalla produzione di una secrezione irritante. Anche rigonfiamenti a livello della testa del pene potrebbero indicare la presenza di un tumore, mentre un gonfiore che interessa i linfonodi dell'inguine potrebbe essere il segno che la malattia si è diffusa anche oltre il sito di partenza.
Nessuno di questi sintomi da solo è sufficiente per una diagnosi certa di tumore del pene, dal momento che gli stessi sintomi potrebbero essere causati anche da patologie benigne; per questo motivo è importante rivolgersi sempre al medico in caso di dubbio.
 
Diagnosi
La diagnosi del tumore del pene inizia con una visita nella quale lo specialista o il medico di base raccolgono informazioni dettagliate sui sintomi, sulla storia familiare del paziente e visitano in modo accurato il pene e tutta la regione genitale per verificare la presenza di segni del tumore o di altre patologie. In caso di sospetto si procede con una biopsia, cioè si preleva una piccola quantità di tessuto del pene e lo si analizza al microscopio: questo metodo consente di arrivare a una diagnosi certa di tumore.

In caso di diagnosi di tumore del pene, è importante stabilire se e quanto la malattia si è diffusa nell'organismo e per questo potrebbe essere necessario procedere con esami quali risonanza magnetica del pene, ecografia inguinale con eventuale ago-biopsia dei linfonodi, tomografia computerizzata (TC), tomografia a emissione di positroni (PET).
Come si cura
Il tumore del pene è in genere curabile se diagnosticato nelle sue fasi più precoci, ma la scelta del trattamento più adatto dipende da diversi fattori come: tipo, posizione ed estensione del tumore, condizioni di salute generali del paziente e, in alcuni casi, anche preferenze del paziente sulla base degli effetti collaterali delle singole terapie.

La chirurgia è il trattamento più utilizzato per il tumore del pene in tutti i suoi stadi, ma gli interventi non sono tutti uguali: esistono infatti diverse tecniche che risultano più o meno efficaci a seconda delle caratteristiche della neoplasia. In particolare, nei casi di tumore superficiale non invasivo si procede con la chirurgia laser che distrugge le cellule più superficiali; se invece non è così ben localizzato si possono utilizzare la circoncisione (per asportare masse tumorali confinate al prepuzio), l'asportazione semplice del tumore e di una piccola parte di tessuto adiacente con il bisturi o la chirurgia Mohs (che prevede l' asportazione di uno strato molto sottile di tessuto e che viene analizzato: se ci sono cellule cancerose si procede con l'asportazione di uno strato alla volta fino a che se ne incontra uno completamente sano). Nei casi precedentemente descritti si parla di chirurgia conservativa, poiché si tende a conservare le caratteristiche estetiche e funzionali del pene, ma in alcuni casi, soprattutto se il tumore ha già invaso l'organo in profondità, è necessario procedere con interventi più radicali con l'asportazione parziale (con eventuali ricostruzioni del glande) o totale del pene. La chirurgia serve anche per rimuovere i linfonodi inguinali e pelvici sia a scopo diagnostico (per capire se il tumore si è già diffuso), sia per eliminare quelli già intaccati da cellule cancerose.

La radioterapia - può essere utilizzata da sola sia sottoforma di raggi o mediante piccoli "semi" radioattivi posizionati all'interno del tumore (brachiterapia), - o in combinazione con la chirurgia per ridurre il rischio che il tumore ritorni dopo l'asportazione o per rallentare la crescita nei casi di malattia in stadio già avanzato.

Infine, la chemioterapia sistemica (cioè somministrata in tutto l'organismo in genere per via intravenosa o per via orale) è indicata soprattutto nei casi in cui il tumore abbia già raggiunto organi lontani, ma può anche essere somministrata in forma locale come crema da applicare direttamente sull'area interessata.
 
Chi è a rischio
Tra i fattori di rischio noti per il tumore del pene ci sono la fimosi, cioè il restringimento della cute del prepuzio (congenita o acquisita), l'età avanzata, condizioni infiammatorie croniche (ad esempio il lichen sclerosus), il trattamento con raggi ultravioletti (legato a volte alla cura di psoriasi o altre patologie), l'infezione da HIV, che riduce le risposte immunitarie, e il fumo.

Ulteriore fattore di rischio è rappresentato dall'infezione da HPV (Papilloma virus umano) che si contrae generalmente per contatto sessuale fra genitali maschili e femminili, cavo orale e canale anale. Circa la metà dei tumori del pene presenta infezione da HPV, un virus già noto per essere legato ad altri tumori come quello della cervice uterina, della vulva, dell'ano, del cavo orale e della gola. La vita sessuale con più partner, l'età precoce del primo rapporto sessuale e una storia di condilomi sono associati a un rischio 3-5 volte maggiore di tumore del pene.

Il cancro cervicale in partner sessuali femminili non è comunque associato a un aumento dell'incidenza del tumore del pene nei loro partner.
 
Quanto è diffuso
Il carcinoma spinocellulare del pene compare circa in 1 ogni 100.000 maschi nei Paesi occidentali ed è quasi inesistente nelle comunità dove si pratica la circoncisione alla nascita (comune fra gli ebrei e negli Stati Uniti) o prima della pubertà (frequente nelle popolazioni musulmane), mentre i numeri si alzano nei Paesi in via di sviluppo.

L'Italia è in linea con gli altri Paesi europei con una incidenza (numero di nuovi casi in un anno) di 0,7 ogni 100.000 maschi, in lieve diminuzione rispetto al passato.

L'età media della malattia è 60 anni nei Paesi sviluppati e scende a 50 nei Paesi meno sviluppati.
 
Prevenzione
Al momento non esistono strategie precise ed efficaci per prevenire il tumore del pene. Sicuramente una buona igiene degli organi genitali è fondamentale per la prevenzione di questo tumore, ma da sola non basta. È importante anche evitare i fattori di rischio già noti: attenzione quindi al fumo di sigaretta e ai comportamenti sessuali che aumentano il rischio di contrarre infezioni da HPV o HIV.
La circoncisione precoce riduce l'incidenza del tumore del pene di 3-5 volte, mentre quella effettuata in età adulta non ha effetti protettivi.

TUMORE RENE

I reni sono due organi pari, posti simmetricamente nella parte posteriore dell'addome, a livello lombare.

Hanno la forma di due fagioli, delle dimensioni di un pugno, e contengono formazioni tubulari che hanno il compito di filtrare il sangue per eliminarne le sostanze contenenti i rifiuti liquidi prodotti dall'organismo in modo tale da espellerli con le urine, che sono il prodotto finale della filtrazione renale.

In genere il cancro del rene si origina proprio dalla proliferazione incontrollata di cellule che rivestono l'interno di questi tubuli, anche se talvolta può aver inizio anche da altri tessuti o dalla capsula che riveste esternamente l'organo stesso.
 
Tipologie
Il tipo più frequente di tumore del rene nell'adulto è l'adenocarcinoma, che origina dalle cellule che rivestono i tubuli interni dell'organo: esso si riscontra nel 90 per cento dei casi e in una piccola percentuale (2 per cento) può anche essere bilaterale, cioè manifestarsi in entrambi i reni.

Di questo tipo esistono tre varianti: la variante a cellule chiare (25 per cento), quella a cellule granulose (15 per cento) e quella a cellule sarcomatose (10 per cento); esistono inoltre forme miste di questi tre tipi.

Un altro tipo di tumore del rene, più raro, è rappresentato dai sarcomi nelle loro varie forme (liposarcomi, leiomiosarcomi, rabdomiosarcomi, angiosarcomi, fibrosarcomi) che originano da tessuti diversi (dalla capsula oppure dalle strutture che circondano il rene).

Infine, per quanto riguarda l'età infantile, il tumore del rene più tipico è il nefroblastoma o tumore di Wilms, che può tuttavia presentarsi anche nell'adulto.
 
Evoluzione
Per descrivere il tumore del rene, la sua sede ed estensione, nonché il coinvolgimento di altre strutture o organi, si utilizza la classificazione internazionale basata sul sistema TNM o quella di Robson, modificata.
Esiste anche una classificazione per stadio di gravità:
  • stadio I: il tumore è limitato al rene con diametro massimo di 7 cm;
  • stadio II: il tumore è confinato al rene, ma con diametro > 7 cm e invade la capsula renale;
  • stadio III:  il tumore infiltra il grasso perirenale ma non i linfonodi;
  • stadio IV: il cancro si è diffuso agli organi vicini (intestini, pancreas), ai linfonodi intorno all'organo oppure ha dato metastasi a distanza (ai polmoni, al cervello).
 
Sintomi
I sintomi classici di tumore del rene sono tre: una massa palpabile nell'addome, il riscontro di sangue nelle urine (ematuria) e il dolore localizzato a livello lombare, ma sono contemporaneamente presenti solo nel 10 per cento dei casi e generalmente sono espressione di una malattia già in fase avanzata.

Ci sono poi effetti più generali sull'organismo quali per esempio la perdita di peso, una marcata stanchezza, febbricola, anemia, ipertensione e ipercalcemia. In fase iniziale, però, questa malattia può non dar segno di sé e non provocare disturbi particolari. Il segnale più evidente, ma raro, è la presenza di sangue nelle urine.

Il cancro del rene può dare metastasi, sia attraverso i vasi linfatici regionali sia attraverso i vasi sanguigni, principalmente in ordine di frequenza: ai linfonodi e al polmone (nel 55 per cento dei casi), al fegato e alle ossa (in circa il 33 per cento dei casi), al surrene (19 per cento), all'altro rene (11 per cento), e poi ancora al cervello, alla milza, al colon e alla cute. Le metastasi da carcinoma del rene possono essere ubiquitarie e anche molto tardive.

Una complicanza che talvolta si osserva è il varicocele acuto, ovvero un'infiammazione delle vene del testicolo e dello scroto, che può insorgere per compressione o trombosi (ovvero chiusura per presenza di un coagulo di sangue) della vena spermatica.
 
Diagnosi
L'esame clinico e la presenza di sangue nelle urine consentono di solito solo diagnosi tardive: fondamentale per la diagnosi di un tumore del rene è il supporto dato dalla diagnostica per immagini.

L'ecografia è in grado di distinguere tra una massa di natura solida (più preoccupante) e una ciste (in genere ripiena di liquido), mentre la tomografia computerizzata (TAC) oltre a distinguere la natura della massa offre ulteriori informazioni sull' estensione locale della malattia e su eventuali metastasi.

Altri esami diagnostici che possono essere utilizzati sono la risonanza magnetica e l'urografia, che valuta tutte le vie urinarie e il corretto passaggio delle urine. Questo esame è il più indicato in caso di sangue nelle urine e serve soprattutto a valutare la presenza di tumore nelle vie urinarie: uretra, vescica, ureteri e bacinetto renale.
 
Come si cura
È la chirurgia radicale, ovvero l'eliminazione del rene malato, la soluzione più usata in caso di cancro limitato all'organo e a un solo rene.

Nei casi di malattia bilaterale non si asporteranno i due reni ma si cercherà di eliminare solo la parte malata dell'organo.

Il tumore del rene che ha già dato luogo a metastasi viene curata con la chemioterapia, anche se i risultati sono solo parziali: i farmaci che si sono dimostrati più attivi sono la vinblastina, il CCNU e l'ifosfamide.

Risultati e speranze sono riposte nella immunoterapia, cioè in cure che attivino il sistema immunitario del malato contro il cancro: esistono esperienze e studi che utilizzano l'interferone alfa, l'interleuchina 2 e le cellule LAK con diversi risultati.

Accanto a queste terapie si stanno studiando anche dei vaccini sperimentali.
 
Chi è a rischio
Il sesso maschile ha un rischio quasi doppio del sesso femminile. Tra i fattori esogeni, il principale e il più diffuso fattore di rischio è il fumo di sigaretta: il numero di sigarette fumate ogni giorno e il numero di anni di esposizione sono direttamente proporzionali all'aumento del rischio di questa malattia.

Un altro fattore di rischio per il tumore del rene è rappresentato dall'esposizione cronica ad alcuni metalli e sostanze particolari: sono fortemente sospettati di possedere un'azione cancerogena l'asbesto e il cadmio, la fenacetina e il torotrasto.

Anche l'obesità, l'ipertensione arteriosa e la dialisi di lunga durata sono fattori di rischio.

Esistono infine delle forme ereditarie molto rare quali la sindrome di von Hippel-Lindau, trasmessa dal gene VHL.
 
Quanto è diffuso
Il tumore del rene rappresenta circa il 2 per cento di tutti i tumori e si presenta nel sesso maschile con una frequenza doppia rispetto al sesso femminile. In effetti l'incidenza annuale è di circa 16 casi su 100.000 uomini e di circa 7 casi su 100.000 donne.
La probabilità di sviluppare questo tumore cresce con l'aumentare dell'età e il picco massimo di insorgenza è intorno ai 60 anni.
 
Prevenzione
Al momento attuale non è possibile prevenire il tumore del rene, se non evitando i fattori di rischio come ad esempio il fumo, ma l'esecuzione annuale di un'ecografia dell'addome può favorire la diagnosi precoce non solo del tumore al rene, ma anche di altri visceri (fegato, pancreas).

TUMORE PROSTATA

La prostata è una ghiandola presente solo negli uomini, posizionata di fronte al retto e che produce una parte del liquido seminale rilasciato durante l'eiaculazione. In condizioni normali, ha le dimensioni di una noce, ma con il passare degli anni o a causa di alcune patologie può ingrossarsi fino a dare disturbi soprattutto di tipo urinario.
Questa ghiandola è molto sensibile all'azione degli ormoni, in particolare di quelli maschili, come il testosterone, che ne influenzano la crescita.
Il tumore della prostata ha origine proprio dalle cellule presenti all'interno della ghiandola che cominciano a crescere in maniera incontrollata.
 
Tipologie
Nella prostata sono presenti diversi tipi di cellule, ciascuna delle quali può trasformarsi e diventare cancerosa, ma quasi tutti i tumori prostatici diagnosticati originano dalle cellule della ghiandola e sono di conseguenza chiamati adenocarcinomi (come tutti i tumori che hanno origine dalle cellule di una ghiandola).

Oltre all'adenocarcinoma, nella prostata si possono trovare in rari casi anche sarcomi, carcinomi a piccole cellule e carcinomi a cellule di transizione.

Molto più comuni sono invece le patologie benigne che colpiscono la prostata, soprattutto dopo i 50 anni, e che talvolta provocano sintomi che potrebbero essere confusi con quelli del tumore. Nell'iperplasia prostatica benigna la porzione centrale della prostata si ingrossa e la crescita eccessiva di questo tessuto comprime l'uretra - canale che trasporta l'urina dalla vescica all'esterno attraversando la prostata che, compressa, crea problemi nel passaggio dell'urina.
 
Evoluzione
Il tumore della prostata viene classificato in base al grado, che indica l'aggressività della malattia, e allo stadio, che indica invece lo stato della malattia.
A seconda della fase in cui è la malattia si procede anche a effettuare esami di stadiazione come TC (tomografia computerizzata) o risonanza magnetica.
Per verificare la presenza di eventuali metastasi allo scheletro si utilizza spesso la scintigrafia ossea.

Il patologo che analizza il tessuto prelevato con la biopsia assegna al tumore il cosiddetto grado di Gleason, cioè un numero compreso tra 1 e 5 che indica quanto l'aspetto delle ghiandole tumorali sia simile o diverso da quello delle ghiandole normali: più simili sono, più basso sarà il grado di Gleason. I tumori con grado di Gleason minore o uguale a 6 sono considerati di basso grado, quelli con 7 di grado intermedio, mentre quelli tra 8 e 10 di alto grado. Questi ultimi hanno un maggior rischio di progredire e diffondersi in altri organi.

Per definire invece lo stadio al tumore si utilizza in genere il sistema TNM (T =tumore), dove N indica lo stato dei linfonodi (N: 0 se non intaccati, 1 se intaccati) e M la presenza di metastasi (M: 0 se assenti, 1 se presenti). Per una catterizzazione completa dello stadio della malattia a questi tre parametri si associano anche il grado di Gleason e il livello di PSA.

La correlazione di questi parametri (T, Gleason, PSA) consente di attribuire alla malattia tre diverse classi di rischio: basso, intermedio e alto rischio. In genere nel caso di un basso rischio (cioè di una malattia che difficilmente si diffonderà e darà luogo a metastasi) si può anche decidere di non procedere alla rimozione chirurgica della ghiandola ma di limitarsi a monitorare l'evoluzione del disturbo
 
Sintomi
Nelle sue fasi iniziali, il tumore della prostata è asintomatico e viene diagnosticato in seguito alla visita urologica, che comporta esplorazione rettale, o controllo del PSA, con un prelievo del sangue.

Quando la massa tumorale cresce, dà origine a sintomi urinari: difficoltà a urinare (in particolare a iniziare) o bisogno di urinare spesso, dolore quando si urina, sangue nelle urine o nello sperma, sensazione di non riuscire a urinare in modo completo.

Spesso i sintomi urinari sopradescritti possono essere legati a problemi prostatici di tipo benigno come l'ipertrofia: in ogni caso è utile rivolgersi al proprio medico e\o allo specialista urologo che sarà in grado di decidere se sono necessari ulteriori esami di approfondimento.
 
Diagnosi
Il numero di diagnosi di tumore della prostata è aumentato progressivamente da quando, negli anni Novanta, l'esame per la misurazione del PSA è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) americana. Sul suo reale valore ai fini della diagnosi di un tumore, però, il dibattito è ancora aperto.

I sintomi urinari del tumore della prostata compaiono solo nelle fasi più avanzate della malattia e comunque possono indicare anche la presenza di problemi diversi dal tumore. È quindi molto importante che la diagnosi sia eseguita da un medico specialista che prenda in considerazione diversi fattori prima di decidere come procedere.

Nella valutazione dello stato della prostata, il medico può decidere di eseguire il test del PSA e l'esplorazione rettale, che si esegue nell'ambulatorio del medico di base o dell'urologo, e permette a volte di identificare al tatto la presenza di eventuali noduli a livello della prostata.

Se questo esame fa sorgere il sospetto di tumore, si procede in genere con una biopsia della prostata su guida ecografica. L'unico esame in grado di identificare con certezza la presenza di cellule tumorali nel tessuto prostatico è la biopsia eseguita in anestesia locale, che dura pochi minuti e viene fatta in regime di day hospital. Grazie alla guida della sonda ecografica inserita nel retto vengono effettuati, con un ago speciale, almeno 12 prelievi per via trans-rettale o per via trans-perineale (la regione compresa tra retto e scroto) che vengono poi analizzati dal patologo al microscopio alla ricerca di eventuali cellule tumorali.
 
Come si cura
Oggi sono disponibili molti tipi di trattamento per il tumore della prostata ciascuno dei quali presenta benefici ed effetti collaterali specifici. Solo un'attenta analisi delle caratteristiche del paziente (età, aspettativa di vita eccetera) e della malattia (basso, intermedio o alto rischio) permetterà allo specialista urologo di consigliare la strategia più adatta e personalizzata e di concordare la terapia anche in base alle preferenze di chi si deve sottoporre alle cure.

In alcuni casi, soprattutto per pazienti anziani o con altre malattie gravi, o nel caso di tumori di piccole dimensioni e con basso rischio (micro focolaio in biopsia), si può scegliere di non attuare nessun tipo di terapia e "aspettare": è quello che gli anglosassoni chiamano watchful waiting, una "vigile attesa" che non prevede trattamenti, ma solo controlli abbastanza frequenti (PSA, esame rettale, biopsia) che permettono di controllare l'evoluzione della malattia e verificare eventuali cambiamenti che meritano un intervento.

Quando si parla di terapia attiva, invece, la scelta spesso ricade sulla chirurgia radicale. La prostatectomia radicale - la rimozione dell'intera ghiandola prostatica e dei linfonodi della regione vicina al tumore - viene considerata un intervento curativo, se la malattia risulta confinata nella prostata. Grazie ai notevoli miglioramenti degli strumenti chirurgici, oggi l'intervento di rimozione della prostata può essere effettuato in modo classico (prostatectomia radicale retro pubica aperta), per via laparoscopica, o attraverso il sistema più moderno della laparoscopia robot-assistita.
In Italia i robot adatti a praticare l'intervento sono sempre più diffusi su tutto il territorio nazionale. Per i tumori in stadi avanzati, il bisturi da solo spesso non riesce a curare la malattia e vi è quindi la necessità di associare trattamenti come la radioterapia o la ormonoterapia.
Per la cura della neoplasia prostatica, nei trattamenti considerati standard, è stato dimostrato che anche la radioterapia a fasci esterni è efficace nei tumori di basso rischio, con risultati simili a quelli della prostatectomia radicale.

Un'altra tecnica radioterapica che sembra offrire risultati simili alle precedenti nelle malattie di basso rischio è la brachiterapia, che consiste nell'inserire nella prostata piccoli "semi" che rilasciano radiazioni. Quando il tumore della prostata si trova in stadio metastatico, a differenza di quanto accade in altri tumori, la chemioterapia non è il trattamento di prima scelta e si preferisce invece la terapia ormonale. Questa ha lo scopo di ridurre il livello di testosterone - ormone maschile che stimola la crescita delle cellule del tumore della prostata - ma porta con sé effetti collaterali come calo o annullamento del desiderio sessuale, impotenza, vampate, aumento di peso, osteoporosi, perdita di massa muscolare e stanchezza.

Fra le terapie locali ancora in via di valutazione vi sono la crioterapia (eliminazione delle cellule tumorali con il freddo) e HIFU (ultrasuoni focalizzati sul tumore). Sono inoltre in fase di sperimentazione, in alcuni casi già molto avanzata, anche i vaccini che spingono il sistema immunitario a reagire contro il tumore e a distruggerlo, e i farmaci anti-angiogenici che bloccano la formazione di nuovi vasi sanguigni impedendo al cancro di ricevere il nutrimento necessario per evolvere e svilupparsi ulteriormente.
 
Chi è a rischio
Uno dei principali fattori di rischio per il tumore della prostata è l'età : le possibilità di ammalarsi sono molto scarse prima dei 40 anni, ma aumentano sensibilmente dopo i 50 anni e circa due tumori su tre vengono diagnosticati in persone con più di 65 anni. I ricercatori hanno dimostrato che moltissimi (tra il 70 e il 90 per cento) uomini oltre gli 80 anni hanno un tumore della prostata, anche se nella maggior parte dei casi la malattia non dà segni e ci si accorge della sua presenza solo in caso di autopsia dopo la morte.

Quando si parla di tumore della prostata un altro fattore non trascurabile è senza dubbio la familiarità , il rischio di ammalarsi è pari al doppio per chi ha un parente consanguineo (padre, fratello eccetera) con la malattia rispetto a chi non ha nessun caso in famiglia.

Anche la presenza di mutazioni in alcuni geni come BRCA1 e BRCA2, già coinvolti nel favorire l'insorgenza di tumori di seno e ovaio, o del gene HPC1, può aumentare il rischio di sviluppare un cancro alla prostata.

La probabilità di ammalarsi potrebbe essere legata anche ad alti livelli di ormoni come il testosterone, che favorisce la crescita delle cellule prostatiche, e l'ormone IGF1, simile all'insulina, ma che lavora sulla crescita delle cellule e non sul metabolismo degli zuccheri.

Non meno importanti sono i fattori di rischio legati allo stile di vita: dieta ricca di grassi saturi, obesità, mancanza di esercizio fisico sono solo alcune delle caratteristiche e delle abitudini negative sempre più diffuse nel mondo occidentale che possono favorire lo sviluppo e la crescita del tumore della prostata.
 
Quanto è diffuso
Il tumore della prostata è uno dei tumori più diffusi nella popolazione maschile e rappresenta circa il 15 per cento di tutti i tumori diagnosticati nell'uomo: le stime parlano di poco più di 23.500 nuovi casi ogni anno in Italia, ma il rischio che la malattia abbia un esito nefasto non è particolarmente elevato, soprattutto se si interviene in tempo.
Lo dimostrano anche i dati relativi al numero di persone ancora vive dopo cinque anni dalla diagnosi - in media oltre il 70 per cento - una percentuale tra le più elevate tra i tumori, soprattutto se si tiene conto dell'età avanzata dei pazienti e quindi delle altre possibili cause di morte.

Stando ai dati più recenti, nel corso della propria vita un uomo su 16 nel nostro Paese sviluppa un tumore della prostata. L'incidenza, cioè il numero di nuovi casi registrati in un dato periodo di tempo, è in continua crescita, con un raddoppio negli ultimi 10 anni, dovuto all'aumento dell'età media della popolazione e all'introduzione dell'esame del PSA (Antigene prostatico specifico, in inglese Prostate Specific Antigene).
Misurare attraverso un semplice prelievo di sangue i livelli di questa molecola prodotta solo dalle cellule della prostata permette, in molti casi, di capire se nella ghiandola c'è qualcosa che non va, anche se non necessariamente si tratta di tumore, poiché il PSA aumenta anche in presenza di semplici infiammazioni, infezioni o ingrossamenti benigni della ghiandola stessa.
 
Prevenzione
Non esiste una prevenzione primaria specifica per il tumore della prostata anche se sono note alcune utili regole comportamentali che possono essere incluse nella vita di tutti i giorni: aumentare il consumo di frutta, verdura e cereali integrali e ridurre quello di carne rossa, soprattutto se grassa o troppo cotta, e di cibi ricchi di grassi insaturi.

È buona regola inoltre mantenere il proprio peso nella norma e mantenersi in forma facendo ogni giorno attività fisica - senza esagerare, è sufficiente mezz'ora al giorno, anche solo una camminata.

La prevenzione secondaria consiste nel rivolgersi al medico ed eventualmente nel sottoporsi ogni anno a una visita urologica, se si ha familiarità per la malattia o se sono presenti fastidi urinari.


TUMORE AL SENO

Il seno è costituito da un insieme di ghiandole e tessuto adiposo ed è posto tra la pelle e la parete del torace.
In realtà non è una ghiandola sola, ma un insieme di strutture ghiandolari, chiamate lobuli, unite tra loro a formare un lobo.  In un seno vi sono da 15 a 20 lobi. Il latte giunge al capezzolo dai lobuli attraverso piccoli tubi chiamati dotti galattofori (o lattiferi).
Il tumore al seno è una malattia potenzialmente grave se non è individuata e curata per tempo. È dovuto alla moltiplicazione incontrollata di alcune cellule della ghiandola mammaria che si trasformano in cellule maligne.
Ciò significa che hanno la capacità di staccarsi dal tessuto che le ha generate per invadere i tessuti circostanti e, col tempo, anche gli altri organi del corpo. In teoria si possono formare tumori da tutti i tipi di tessuti del seno, ma i più frequenti nascono dalle cellule ghiandolari (dai lobuli) o da quelle che formano la parete dei dotti.
 
Tipologie
Sono due i tipi di cancro del seno: le forme non invasive e quelle invasive.
Le forme non invasive sono le seguenti:
  • DIN: neoplasia duttale intraepiteliale (carcinoma in situ)
    • Grado 1A (DIN 1A) = atipia epiteliale piatta
    • Grado 1B (DIN 1B) = iperplasia duttale atipica
    • Grado 1C (DIN 1C) = neoplasia duttale intraepiteliale ben differenziato (grado 1)
    • Grado 2 (DIN 2) = neoplasia duttale intraepiteliale moderatamente differenziato (grado 2)
    • Grado 3 (DIN 3) = neoplasia duttale intraepiteliale scarsamente differenziato (grado 3)
  • LIN: neoplasia lobulare intraepiteliale
    • LIN 1 neoplasia lobulare intraepiteliale grado 1
    • LIN 2 neoplasia lobulare intraepiteliale grado 2
    • LIN 3 neoplasia lobulare intraepiteliale in situ
Le forme invasive sono:
  • il carcinoma duttale: si chiama così quando supera la parete del dotto. Rappresenta tra il 70 e l'80 per cento di tutte le forme di cancro del seno.
  • il carcinoma lobulare: si chiama così quando il tumore supera la parete del lobulo. Rappresenta il 10-15 per cento di tutti i cancri del seno. Può colpire contemporaneamente ambedue i seni o comparire in più punti nello stesso seno.
  • Altre forme di carcinoma meno frequenti sono il carcinoma tubulare, papillare, mucinoso, cribriforme. Hanno prognosi favorevole.
 
Evoluzione
IIl tumore del seno viene classificato in cinque stadi.
  • Stadio 0: è chiamato anche carcinoma in situ. Può essere di due tipi:
    • Carcinoma lobulare in situ: non è un tumore aggressivo ma può rappresentare un fattore di rischio per la formazione successiva di una lesione maligna.
    • Carcinoma duttale in situ: colpisce le cellule dei dotti e aumenta il rischio di avere un cancro nello stesso seno.
  • Stadio I: è un cancro in fase iniziale, con meno di 2 cm di diametro e senza coinvolgimento dei linfonodi.
  • Stadio II: è un cancro in fase iniziale di meno di 2 cm di diametro che però ha già coinvolto i linfonodi sotto l'ascella; oppure è un tumore di più di 2 cm di diametro senza coinvolgimento dei linfonodi.
  • Stadio III: è un tumore localmente avanzato, di dimensioni variabili, ma che ha coinvolto già anche i linfonodi sotto l'ascella, oppure che coinvolge i tessuti vicini al seno (per esempio la pelle).
  • Stadio IV: è un cancro già metastatizzato che ha coinvolto altri organi al di fuori del seno.
Se il tumore viene identificato allo stadio 0, la sopravvivenza a cinque anni nelle donne trattate è del 98 per cento, anche se le ricadute variano tra il 9 e il 30 per cento dei casi, a seconda della terapia effettuata. Se i linfonodi sono positivi, cioè contengono cellule tumorali, la sopravvivenza a cinque anni è del 75 per cento.

Nel cancro metastatizzato, cioè quello che ha già colpito altri organi al di fuori del seno (in genere i polmoni, il fegato e le ossa), la sopravvivenza media delle pazienti curate con chemioterapia è di due anni, ma ciò significa che vi sono casi in cui la sopravvivenza è molto più lunga, anche fino a dieci anni.
 
Sintomi
In genere le forme iniziali di tumore del seno non provocano dolore.  Uno studio effettuato su quasi mille donne con dolore al seno ha dimostrato che solo lo 0,4 per cento di esse aveva una lesione maligna, mentre nel 12,3 per cento erano presenti lesioni benigne (come le cisti) e nel resto dei casi non vi era alcuna lesione.
Il dolore era provocato solo dalle naturali variazioni degli ormoni durante il ciclo.
Da cercare, invece, sono gli eventuali noduli palpabili o addirittura visibili. La metà dei casi di tumore del seno si presenta nel quadrante superiore esterno della mammella.
Importante segnalare al medico anche alterazioni del capezzolo (in fuori o in dentro), perdite da un capezzolo solo (se la perdita è bilaterale il più delle volte la causa è ormonale), cambiamenti della pelle (aspetto a buccia d'arancia localizzato) o della forma del seno.
La maggior parte dei tumori del seno, però, non dà segno di sé e si vede solo con la mammografia (nella donna giovane, tra i 30 e i 45 anni, con l'aiuto anche dell'ecografia).
 
Diagnosi
Il cancro del seno viene diagnosticato con la mammografia e l'ecografia mammaria: la scelta di quale dei due esami utilizzare dipende dall'età, anche se nella maggior parte dei casi si utilizzano entrambi.
L'eventuale identificazione di noduli o formazioni sospette porta in genere il medico a consigliare una biopsia, che può essere eseguita direttamente in sala operatoria o in ambulatorio con un prelievo mediante un ago inserito nel nodulo che consente un esame citologico o microistologico. Nel primo caso (esame citologico) si esaminano le cellule, nel secondo (microistologico) il tessuto: questi esami consentono sia di stabilire la natura della malattia, sia, con la microistologia, di valutarne le caratteristiche biologiche.
 
Come si cura
Quasi tutte le donne con un tumore del seno, indipendentemente dallo stadio, subiscono un intervento chirurgico per rimuovere i tessuti malati.
Nei casi in cui ciò è possibile si ricorre alla chirurgia conservativa, cioè si salva il seno, ma si asporta tutta la parte in cui si trova la lesione. Questa tecnica è chiamata anche quadrantectomia (o ampia resezione mammaria) e consiste nella asportazione del tessuto mammario che circoscrive la neoplasia. Deve essere seguita da una radioterapia, che ha lo scopo di proteggere la restante ghiandola mammaria sia dal rischio di recidiva locale sia dalla comparsa di una nuova neoplasia mammaria.
Durante l'intervento il chirurgo può anche procedere ad asportare i linfonodi dell'ascella. Per sapere se questi sono coinvolti si usa la tecnica del linfonodo sentinella, cioè si identifica il linfonodo che drena la linfa dall'area dove è situato il tumore. Se all'analisi al microscopio il linfonodo sentinella risulta privo di cellule tumorali o ne presenta un piccolissimo aggregato (micro metastasi), non si toccano gli altri, altrimenti si procede allo svuotamento del cavo ascellare, cioè alla rimozione di tutti i linfonodi ascellari.
Talvolta è necessario asportare più di un quadrante di seno: in questo caso si parla di mastectomia parziale o segmentale e anch'essa viene fatta seguire dalla radioterapia. Nelle forme iniziali di cancro (stadio I e II), la quadrantectomia seguita da radioterapia è altrettanto efficace dell'asportazione del seno. La maggior parte delle pazienti con neoplasia intraepiteliale segue lo stesso percorso.
Forme più avanzate di cancro vengono trattate con l'asportazione dell'intero seno, secondo una tecnica chiamata mastectomia radicale modificata, che prevede l'asportazione della ghiandola, del linfonodo sentinella e/o di tutti i linfonodi sotto l'ascella, raramente di parte o di tutto il muscolo pettorale e spesso anche della pelle sovrastante. In molti casi oggi è possibile salvare il capezzolo e gran parte della cute con la tecnica della mastectomia che conserva il complesso areola e capezzolo (nipple sparing mastectomy). La zona areolare viene protetta con una dose di radioterapia mirata che può essere erogata direttamente in sala operatoria nei giorni successivi.
Sia con la chirurgia conservativa e sia nel caso di mastectomia si procede alla ricostruzione del seno: in rari casi, se la donna deve sottoporsi a radioterapia, si tende ad aspettare la fine della terapia, che può interferire con la cicatrizzazione, altrimenti si procede alla plastica del seno nel corso dell'intervento stesso.
Dopo l'intervento chirurgico un'accurata valutazione istologica e biologica è la base per definire le terapie mediche precauzionali per ridurre al minimo il rischio che la malattia possa colpire altri organi (metastasi a distanza).
Per questa ragione alla maggior parte delle pazienti viene proposta una terapia con farmaci anticancro.
La chemioterapia è utile, ma non sempre è necessaria e va prescritta dopo una valutazione personalizzata di ogni caso. Si prescrive anche nelle forme iniziali (stadio I e II) a scopo precauzionale e il guadagno, in termini di anni di sopravvivenza, è maggiore rispetto alle forme di tumore più avanzato. Negli ultimi anni si è diffuso anche l'uso della chemioterapia neoadiuvante, ovvero somministrata prima dell'intervento per ridurre la dimensione e l'aggressività del tumore.
La radioterapia dura pochi minuti e va ripetuta per cinque giorni la settimana, fino a cinque-sei settimane di seguito. In genere il trattamento radioterapico può essere combinato all'uso di farmaci.
Quando un tumore del seno viene asportato, viene mandato in laboratorio per studiare le caratteristiche biologiche, in particolare lo stato dei recettori, per gli estrogeni e per il progesterone, due degli ormoni femminili. Le pazienti il cui tumore è positivo per i recettori degli estrogeni possono utilizzare farmaci che bloccano gli estrogeni come il tamoxifene, che viene prescritto in pillole per cinque anni dopo l'intervento. Nelle donne in età fertile questo farmaco viene spesso associato ad un inibitore LH-RH analogo che induce una menopausa temporanea.
Vengono utilizzati anche altri farmaci con la stessa funzione, chiamati inibitori delle aromatasi, per ora riservati alle donne che sono già in menopausa. Il tumore viene esaminato dall'anatomo patologo anche per individuare la presenza di un recettore chiamato HER-2/neu. Se questo è presente in modo significativo è maggiore il rischio di incorrere in una ricaduta. Per questa ragione si propone, da qualche anno, alle donne positive per questo esame, di prendere un farmaco biologico chiamato trastuzumab, una sostanza che blocca i recettori e impedisce al tumore di crescere. Altri farmaci biologici sono allo studio.
 
Chi è a rischio
Vi sono diversi fattori di rischio per il cancro al seno, alcuni dei quali prevenibili.
L'età : più del 75% dei casi di tumore del seno colpisce donne sopra i 50 anni.
La familiarità : circa il 5-7% delle donne con tumore al seno ha più di un familiare stretto malato (soprattutto nei casi giovanili).
Vi sono anche alcuni geni che predispongono a questo tipo di tumore: sono il BRCA1 e il BRCA2. Le mutazioni di questi geni sono responsabili del 50 per cento circa delle forme ereditarie di cancro del seno e dell'ovaio.
Gli ormoni: svariati studi hanno dimostrato che un uso eccessivo di estrogeni (gli ormoni femminili per eccellenza) facilitano la comparsa del cancro al seno. Per questo tutti i fattori che ne aumentano la presenza hanno un effetto negativo e viceversa (per esempio, le gravidanze, che riducono la produzione degli estrogeni da parte dell'organismo, hanno un effetto protettivo).
Le alterazioni del seno, le cisti e i fibroadenomi che si possono rilevare con un esame del seno non aumentano il rischio di cancro. Sono invece da tenere sotto controllo i seni che alle prime mammografie dimostrano un tessuto molto denso o addirittura una forma benigna di crescita cellulare chiamata iperplasia del seno.
Anche l'obesità  e il fumo  hanno effetti negativi.
Se il disturbo è benigno

Molte donne di età compresa tra i 30 e i 50 anni mostrano segni di displasia mammaria, un'alterazione benigna dei tessuti del seno che non ha nulla a che vedere col tumore ma che può suscitare qualche preoccupazione al momento della diagnosi. Esistono diverse forme di displasia, la più comune delle quali è la malattia fibrocistica.

Nella displasia fibrocistica a piccole cisti, più frequente tra i 30 e i 40 anni, sono presenti cisti piccole, ripiene di liquido, più evidenti durante il periodo premestruale. Può essere presente dolore. Nella displasia a grosse cisti, più frequente nelle donne tra i 40 e i 50 anni, si osserva la presenza di una o più grandi cisti, di forma rotondeggiante, a contenuto liquido.

Il tumore benigno più frequente è, invece, il fibroadenoma  che compare soprattutto tra i 25 e i 30 anni. Si presenta come un singolo nodulo, duro e molto mobile, generalmente doloroso.
I sintomi che accompagnano le displasie e i fibroadenomi sono:
• senso di tensione al seno;
• dolore della mammella;
• comparsa di noduli che la donna può "sentire" con la mano.
 
Quanto è diffuso
Il tumore al seno colpisce 1 donna su 8 nell'arco della vita. È il tumore più frequente nel sesso femminile e rappresenta il 29 per cento di tutti i tumori che colpiscono le donne.
È la prima causa di mortalità per tumore nel sesso femminile, con un tasso di mortalità del 16 per cento di tutti i decessi per causa oncologica.
 
Prevenzione
È possibile ridurre il proprio rischio di ammalarsi con un comportamento attento e con pochi esami di controllo elencati più sotto.  È bene fareesercizio fisico  e alimentarsi con pochi grassi e molti vegetali  (frutta e verdura, in particolare broccoli e cavoli, cipolle, tè verde e pomodori).
Anche allattare i figli  aiuta a combattere il tumore del seno, perché l'allattamento consente alla cellula del seno di completare la sua maturazione e quindi di essere più resistente a eventuali trasformazioni neoplastiche.
La mammografia  è il metodo attualmente più efficace per la diagnosi precoce. L'Osservatorio nazionale screening, dipendente dal Ministero, suggerisce una mammografia ogni 2 anni, dai 50 ai 69 anni di età, ma la cadenza può variare a seconda delle considerazioni del medico sulla storia personale di ogni donna. Nelle donne che hanno avuto una madre o una sorella malata in genere si comincia prima, verso i 40-45 anni.
L'ecografia  è un esame molto utile per esaminare il seno giovane, dato che in questo caso la mammografia non è adatta. Si consiglia di farvi ricorso, su suggerimento del medico, in caso di comparsa di noduli.
La visita: è buona abitudine fare una visita del seno presso un ginecologo o un medico esperto almeno una volta l'anno, indipendentemente dall'età.
L'autopalpazione: è una tecnica che consente alla donna di individuare precocemente eventuali trasformazioni del proprio seno. La sua efficacia in termini di screening è però molto bassa: questo significa che costituisce un di più rispetto alla sola visita e alla mammografia a partire dall'età consigliata, ma non può sostituirle (vai alla guida all'autopalpazione).
La dieta preventiva

Diversi studi scientifici hanno dimostrato l'utilità di una dieta particolare nella prevenzione delle ricadute del cancro del seno in donne già colpite. Ora si sta valutando l'utilità della stessa dieta nella prevenzione primaria, ovvero in chi non ha ancora sviluppato la malattia. Alla base di questa alimentazione c'è un apporto elevato di fitoestrogeni (ormoni vegetali simili agli estrogeni femminili che sono contenuti principalmente nella soia e nei suoi derivati, ma anche nelle alghe, nei semi di lino, nel cavolo, nei legumi, nei frutti di bosco, nei cereali integrali). Inoltre vanno limitati gli zuccheri raffinati, che hanno l'effetto di innalzare l'insulina nel sangue e quindi di indurre il diabete, a favore di zuccheri grezzi e di amidi.
Ancora: si consiglia di consumare molte crucifere (rape, senape, rucola, cavolfiore, cavolini di Bruxelles, ravanelli, cavolo) perché agiscono in modo positivo nei confronti del metabolismo degli ormoni.
Infine è bene privilegiare il pesce rispetto alle altre proteine animali, accompagnato da grandi quantità di fibre (attraverso il consumo di frutta, cereali, verdura, legumi). Da limitare l'apporto di latticini e uova, tenendo però d'occhio la quantità totale di calcio per prevenire l'osteoporosi.
 
TUMORE STOMACO
 
Lo stomaco è l'organo che contiene il cibo ingerito e lo processa prima di inviarlo all'intestino dove vengono assorbite le sostanze utili ed eliminate quelle inutili. Ha la forma di un'otre ed è posto al termine dell'esofago, una sorta di lungo tubo che ha la funzione di veicolare il cibo e i liquidi dalla bocca fino agli organi digestivi.
Il tumore dello stomaco è provocato da una massa di cellule in crescita incontrollata, originatesi, nel 90 per cento dei casi, dal rivestimento interno dell'organo.
 
Tipologie
Dal punto di vista istologico si distinguono due tipi principali di cancro allo stomaco.
Il tumore dello stomaco di tipo intestinale è il più frequente e colpisce in prevalenza gli uomini di età superiore a 50 anni. Esso si associa alla cosiddetta metaplasia intestinale, cioè alla trasformazione dell'epitelio gastrico (cioè del rivestimento interno dello stomaco) in un altro tipo di epitelio, molto simile a quello dell'intestino. Questi tumori, di solito, si presentano come formazioni rivolte verso l'interno della cavità e con crescita espansiva.
Il tumore dello stomaco di tipo diffuso è solo di poco meno frequente e colpisce in modo indifferente uomini e donne di età media sui 45 anni. In genere la neoplasia nasce dalla mucosa gastrica normale (che non evolve verso il tipo intestinale come accade nell'altro tipo) e, penetrando nel tessuto, può dare luogo a ulcere: in questo caso si parla di stomaco a borsa di cuoio o di linite plastica, per sottolineare come la crescita possa portare a un indurimento delle pareti dell'organo. Caratteristica di questo tipo di tumore è la presenza di cellule che al microscopio assomigliano a un anello con una gemma incastonata (cellule ad "anello con castone").
Se il tumore viene diagnosticato in fase precoce ci si può imbattere anche in quello che viene chiamato l' "early gastric cancer" (cancro gastrico iniziale): si tratta di un tumore che colpisce solo la mucosa e la sottomucosa (ovvero i primi due strati di tessuti dell'organo). Esso è considerato una fase iniziale della malattia e ha le migliori possibilità di guarigione. Le sedi dove il tumore si sviluppa più spesso - all'incirca nel 50 per cento dei casi - sono il piloro e la cavità dello stomaco. In un caso su cinque la localizzazione è a livello del corpo dello stomaco, mentre è meno usuale che la neoplasia si instauri a livello della cosiddetta piccola curvatura.
La diffusione del cancro gastrico può avvenire per via diretta all'esofago e al peritoneo, per via linfatica ai linfonodi, e per via ematica dando metastasi al fegato, alle ossa, ai polmoni e raramente al cervello.
Infine, è importante ricordare quello che viene chiamato "tumore di Krukemberg"  e cioè un tumore localizzato alle ovaie ma dovuto alla presenza di cellule neoplastiche che dallo stomaco sono migrate all'ovaio attraverso la cavità peritoneale.
 
Evoluzione
Come per molti altri tumori, anche il cancro dello stomaco viene classificato in base al sistema TNM, dove il parametro T descrive la dimensione del tumore primitivo (cioè quello che si è manifestato per primo nel caso in cui questi siano più di uno), il parametro N prende in considerazione l'eventuale interessamento dei linfonodi e infine il parametro M fa riferimento alla presenza o meno di metastasi a distanza.
Sintomi
Il tumore dello stomaco si presenta, purtroppo, con sintomi che possono facilmente essere confusi con quelli di una gastrite o di un'ulcera gastrica: nausea, difficoltà di digestione, mancanza di appetito o difficoltà a mangiare grandi quantità di cibo. Per questa ragione se un trattamento per la gastrite o per l'ulcera non sortisce alcun effetto positivo, è opportuno fare una gastroscopia per valutare direttamente lo stato della mucosa interna dell'organo.
Se presenti sintomi più gravi come vomito con sangue o perdita di peso improvvisa possono essere segno di maggiore gravità della malattia.
 

Diagnosi
La diagnosi di tumore dello stomaco viene effettuata mediante gastroscoscopia: lo stesso esame permette sia di osservare il rivestimento interno dello stomaco che di prelevare piccole quantità di tessuto per esaminarle al microscopio (biopsia).
Prima di essere sottoposti ad intervento chirurgico è necessario anche valutare l'eventuale diffusione a distanza del tumore mediante una TAC o un'ecografia e in alcuni casi può essere utile anche l'ecoendoscopia per valutare il grado di infiltrazione della parete dello stomaco.
 
Come si cura
Le possibilità di guarigione (prognosi) e la scelta del trattamento dipendono dallo stadio di sviluppo del tumore (dal fatto cioè che sia localizzato al solo stomaco o che sia propagato ad altre zone) e dalle condizioni generali del paziente.
Quando è possibile, la chirurgia è il trattamento di prima scelta e l'intervento prevede l'asportazione di tutto lo stomaco o di una parte di esso.
La gastrectomia parziale elimina solo quella parte dello stomaco che contiene il tumore e parti di altri tessuti e organi vicini alla sede del tumore. Vengono asportati i linfonodi vicini e, se necessario, anche la milza (situata nell'addome superiore, è l'organo che filtra il sangue ed elimina le cellule vecchie).
La gastrectomia totale elimina per intero lo stomaco, una piccola parte dell'esofago, i linfonodi vicini e in alcuni casi la milza. Il paziente è comunque in grado di mangiare e di inghiottire perché l'intervento prevede la connessione dell'esofago al piccolo intestino.
Se viene rimossa solo una parte dello stomaco, il paziente dovrebbe essere in grado di nutrirsi in modo normale. Qualora l'asportazione dello stomaco sia totale, si potranno rendere necessari piccoli pasti frequenti, così come un'alimentazione caratterizzata da cibi con basso livello di zuccheri ed elevato livello di grassi e proteine. La chirurgia classica può essere associata a moderne metodiche di medicina nucleare. Mediante gastroscopia, viene somministrata direttamente all'interno del tumore una sostanza radioattiva che poi, al momento dell'intervento, serve da guida per l'asportazione evidenziando i linfonodi interessati.
La chemioterapia consiste nella somministrazione di farmaci che uccidono selettivamente le cellule cancerose. Può consistere nell'assunzione di compresse o nella somministrazione endovenosa del farmaco. Viene definita trattamento sistemico in quanto il farmaco viene immesso in circolo, viaggia attraverso il corpo e può uccidere le cellule cancerose anche al di fuori dello stomaco. Il trattamento che viene somministrato in seguito all'intervento chirurgico, quando non si riscontra più nessuna cellula cancerosa, viene chiamato trattamento adiuvante. Tale trattamento è utilizzato in studi randomizzati per determinare l'efficacia di nuovi regimi terapeutici. Attualmente, accanto a molecole ben conosciute, come il 5Fluorouracile (5FU) si utilizzano combinazioni di farmaci chemioterapici come FAMTX (5FU, adriamicina, methotrexate, acido folinico), EAP (etoposide, cisplatino, adriblastina), ELF (etoposide, 5FU, acido folinico).
La ricerca sta lavorando per migliorare la sopravvivenza dei pazienti con tumore allo stomaco. Il cosiddetto "early gastric cancer" (cancro gastrico iniziale) ha a oggi la prognosi  migliore, con una sopravvivenza a cinque anni del 90 per cento; in tutti gli altri casi la sopravvivenza media a cinque anni è attorno al 25 per cento dei casi.
 
Chi è a rischio
Diversi sono i fattori chiamati in causa per spiegare la nascita e lo sviluppo del tumore dello stomaco; tra essi, l'alimentazione  gioca un ruolo importante: una dieta ricca di amidi, grassi e cibi affumicati o salati (che contengono nitriti e nitrati precursori di cancerogeni come le nitrosamine) ne può favorire l'insorgenza, così come il consumo di alcol e il fumo di sigaretta, che possono contribuire alla trasformazione del tessuto gastrico in senso tumorale.
Di recente, inoltre, ha assunto sempre maggiore importanza il ruolo svolto dall'Helicobacter pylori, un batterio responsabile anche dell'ulcera gastrica e duodenale: la sua presenza nello stomaco, infatti, può alterare - nel corso di anni - i delicati equilibri che esistono a livello dell'organo.
È stato poi dimostrato che esiste una predisposizione familiare  che contribuisce alla genesi della malattia; alcune alterazioni a carico di determinati geni (tra i quali p53 e APC) sono causa dell'insorgenza di tumori in diversi organi, tra i quali lo stomaco (si parla, in questi casi, di sindrome di Linch di tipo II).
Infine, vale la pena di citare altre possibili cause, che si verificano più raramente, e che sono rappresentate dalla poliposi gastrica, ovvero dalla formazione di piccole escrescenze benigne che con il tempo, se non curate, possono degenerare e diventare maligne, e da interventi chirurgici con tecniche particolari che venivano effettuati in passato. In quest'ultimo caso è possibile che, dopo circa 15 o 20 anni, il punto in cui si è formata la cicatrice diventi luogo di partenza di un tumore: per questo le persone operate allo stomaco devono essere periodicamente controllate con la gastroscopia, un esame che permette di visualizzare lo stato di salute del rivestimento interno dell'organo.
 
Quanto è diffuso
Il cancro dello stomaco colpisce le persone a partire mediamente dai 45 anni di età .
Negli ultimi anni il numero di casi diagnosticati nei Paesi occidentali è in diminuzione, un fenomeno che sembra dovuto, almeno in parte, al miglioramento dell'alimentazione e alla diminuzione del consumo di cibi conservati sotto sale o affumicati.
In Europa si verificano circa 190.000 nuovi casi ogni anno che rappresentano circa il 23 per cento di tutte le neoplasie. Il rapporto fra maschi e femmine è 1,6:1. L'incidenza è maggiore tra le classi sociali più basse, anche se è in rapida diminuzione (circa 5 per cento ogni cinque anni). Il declino è stato più rapido nelle donne rispetto agli uomini. In Italia si è verificata una importante diminuzione sia dell'incidenza sia della mortalità in entrambi i sessi.
Il tasso d'incidenza annuale è più elevato nei paesi dell'Europa orientale (34 per 100.000 nell'uomo) e meridionale (19 per 100.000 nell'uomo) rispetto a quello dell'Europa settentrionale (6 per 100.000 nella donna) e occidentale (7 per 100.000 nella donna). In sei casi su dieci il paziente ha più di 65 anni.
Il tumore dello stomaco provoca comunque più di 10.000 morti l'anno, attestandosi, come diffusione, appena sotto il cancro al seno e il cancro al polmone.
 
Prevenzione
Non esiste una causa unica di cancro allo stomaco, quindi è difficile prevenirlo.
Un'alimentazione di tipo mediterraneo, con abbondante frutta e verdura e poca carne alla griglia o affumicata sembra avere un effetto protettivo. Anche l'abbandono della sigaretta può aiutare, è stata infatti dimostrata una relazione tra il fumo e la formazione del cancro allo stomaco.
Inoltre esiste una relazione tra l'infezione da Helicobacter pylori  e il tumore dello stomaco, quindi può essere utile, in caso di sintomi e di accertata presenza del batterio, procedere a una semplice terapia antibiotica che dovrebbe essere in grado di eliminarlo.
Non esistono programmi di screening sulla popolazione, ovvero non si consiglia alle persone che non hanno sintomi di sottoporsi a una gastroscopia perché si tratta di un esame fastidioso e costoso.

TUMORE SURRENE

Le ghiandole surrenali, o surreni, sono due piccoli organi ghiandolari posti al di sopra del polo superiore di ciascun rene (da ciò deriva il loro nome, appunto sur-rene).
Hanno una forma triangolare, e risultano formate da diverse componenti.

La parte centrale è chiamata midollare del surrene, e produce alcune sostanze chimiche che svolgono importanti funzioni nel sistema nervoso centrale: l'adrenalina e la noradrenalina. La parte esterna è detta corticale, e produce gli ormoni steroidei, fra cui l'aldosterone, che contribuisce a regolare la pressione arteriosa, il cortisolo, importante nella regolazione dei livelli di zucchero nel sangue (glicemia), alcuni ormoni sessuali maschili (androgeni) e femminili (precursori degli estrogeni).
 
Tipologie
Il tipo più comune di tumore delle ghiandole surrenali è un tumore benigno detto adenoma surrenalico. Fra i tumori maligni il più frequente è una metastasi che origina da tumori situati in altri organi (come polmoni o mammella), mentre raramente un tumore maligno insorge primitivamente nella ghiandola surrenalica.
I tumori del surrene possono colpire la parte corticale, e vengono distinti in tumori secernenti (producono cioè ormoni), e non secernenti, oppure possono colpire la porzione midollare (questo tumore prende il nome di feocromocitoma).
 
Evoluzione e terapia
Molti adenomi surrenalici, cioè tumori benigni, vengono riscontrati casualmente durante l'esecuzione di ecografia, TAC o RM effettuate per altri motivi, e spesso non è necessario asportarli, ma solo controllarli nel tempo mediante la ripetizione di periodiche indagini (ecografia). Se invece provocano sintomi a causa dell'alterata produzione ormonale (adenomi secernenti) essi vanno asportati chirurgicamente.

Nella maggior parte dei casi con un eccesso di aldosteronismo i sintomi si risolvono con l'intervento, anche se il 30 per cento dei pazienti andrà incontro a recidiva del rialzo pressorio. I pazienti sottoposti a intervento per ipercortisolismo dovranno assumere per qualche tempo una terapia sostitutiva a base di steroidi, per evitare un improvviso calo di queste sostanze importanti per l'organismo.

I tumori maligni del surrene devono essere completamente asportati. La riuscita dell'intervento, cioè le probabilità di guarigione, sono influenzate dalla stadiazione del tumore, cioè dalle dimensioni e dall'estensione del tumore stesso.

In alcuni casi di tumore maligno possono essere inoltre effettuate la chemioterapia, cioè la somministrazione di farmaci, per bocca o per via venosa, che si diffondono attraverso il sistema circolatorio in tutto l'organismo e distruggono cellule tumorali anche distanti dalla sede d'origine, oppure la radioterapia, cioè la somministrazione di radiazioni nell'area colpita dal tumore.
Sintomi
In molti pazienti un adenoma surrenalico può non provocare alcun sintomo, se non produce un eccesso di ormoni e non è di grosse dimensioni. In caso di tumori di grosse dimensioni vi potranno invece essere sintomi legati all'ingombro o alla compressione di altri organi, per esempio senso di ripienezza addominale o dolore addominale localizzato.

I tumori surrenalici secernenti possono provocare una serie di sintomi diversi a seconda del tipo di ormoni da loro prodotti in eccesso. Per esempio:
  • un eccesso di aldosterone provoca aumento della pressione arteriosa, riduzione dei livelli di potassio nel sangue e diminuzione dei livelli ematici di renina, una sostanza prodotta dal rene;
  • il feocromocitoma, che produce un espessoccesso di catecolamine (adrenalina, noradrenalina), si manifesta con rialzi della pressione arteriosa, spesso in crisi parossistiche, che può essere accompagnata da altri sintomi fra cui tachicardia, sudorazione, vampate, intenso mal di testa;
  • una produzione eccessiva di cortisolo si manifesta invece con sintomi che possono variare ampiamente da un paziente all'altro e comprendono: aumento di peso, ritenzione idrica, un aspetto tipico del volto, la cosiddetta facies a luna piena, la comparsa di gibbo per accumulo di tessuto adiposo, la presenza di strie arrossate sulla cute dell'addome (strie rubre), irsutismo, modificazioni del tono dell'umore, fino a veri e propri sintomi psicotici, una maggiore suscettibilità alle infezioni o ancora lo sviluppo di un diabete secondario, poiché l'ormone determina un aumento dei livelli di zucchero nel sangue.
Va precisato che questi sintomi legati a squilibri ormonali non sono presenti unicamente in caso di tumore surrenalico, ma si possono manifestare anche a seguito di altre cause, per esempio un'alterata funzione dell'ipofisi, ghiandola alla base del cranio che regola il surrene, oppure, nel caso in particolare del cortisolo, come effetto collaterale di una terapia prolungata con farmaci corticosteroidi necessaria per la cura di altre patologie.
 
Diagnosi
Spesso i tumori del surrene vengono diagnosticati a causa dei sintomi provocati dall'alterata secrezione ormonale. In presenza di un quadro clinico sospetto vengono quindi eseguiti esami del sangue e delle urine per dosare i livelli degli ormoni surrenalici.

Vengono inoltre eseguite indagini strumentali, quali l'ecografia e la TAC addominale. Un'altra indagine che può essere utilizzata per l'esame della ghiandole surrenaliche è la risonanza magnetica (RM).

Infine, la diagnosi di certezza sulla natura del tumore viene posta mediante biopsia, cioè prelievo di una piccola parte di tessuto, ed esame istologico del campione raccolto.
 
Chi è a rischio
Il tumore del surrene colpisce più spesso i soggetti di età compresa fra i 30 e i 50 anni. Un altro sottogruppo a maggiore rischio rispetto alla popolazione generale è costituito dai bambini di età inferiore ai 5 anni.
fattori di rischio non sono noti. Non è stata documentata alcuna relazione con il fumo né con la familiarità. È stata rilevata tuttavia un'associazione con alcune mutazioni genetiche.
 
Quanto è diffuso
Si stima che in Italia il 3-5 per cento degli individui abbia una massa nel surrene. Per fortuna solo il 10 per cento di queste è maligno.


TUMORE  AI TESTICOLI

I testicoli sono gli organi in cui nell'uomo avviene la formazione degli spermatozoi e di alcuni ormoni maschili (hanno una funzione analoga a quella delle ovaie nella donna).
I testicoli sono due, contenuti nello scroto, una borsa di pelle situata direttamente sotto il pene.
Il cancro del testicolo è una forma rara di tumore maschile, in cui le cellule tumorali si formano a partire dai tessuti di uno o di entrambi i testicoli.
 
Tipologie
I tumori testicolari si dividono in due tipi: seminomi e non seminomi.

I primi sono circa la metà dei casi e consistono nella trasfomazione maligna delle cellule germinali, cioè di quelle che danno origine agli spermatozoi; sono frequenti nella quarta decade di vita e si associano spesso a una variante che coinvolge anche cellule non seminali (in questo caso si parla di forme germinali miste).

Gli altri, i non seminomi, includono quattro differenti forme: i carcinomi embrionali, i coriocarcinomi, i teratomi e i tumori del sacco vitellino, quella parte associata all'embrione che contiene materiale di riserva per il suo nutrimento.

La prognosi e il trattamento sono diversi a seconda del tipo di tumore.
 
Evoluzione
Il cancro del testicolo è classificato nei seguenti stadi:
  • stadio I, con tumore circoscritto al testicolo;
  • stadio II, con tumore diffuso ai linfonodi dell'addome;
  • stadio III, quando il tumore si è diffuso oltre ai linfonodi anche con metastasi a distanza in organi quali polmoni e fegato.
Sintomi
Di solito il tumore esordisce con un nodulo, un aumento di volume, un gonfiore o un senso di pesantezza del testicolo .
Per questo è importante che gli uomini imparino a fare l'autoesame del testicolo (così come le donne fanno l'autoesame del seno) palpando l'organo di tanto in tanto per scoprire in tempo eventuali anomalie.
Anche la brusca comparsa di un dolore acuto al testicolo è tipico di questo tumore, assieme a un rapido aumento del volume che può essere provocato da una emorragia all'interno del tumore. Viceversa, anche il rimpicciolimento del testicolo può essere un segnale di esordio della malattia.
Infine, è importante che i genitori facciano controllare i bambini dal pediatra di fiducia, poichè una correzione dell'eventuale discesa incompleta del testicolo entro il primo anno di vita riduce il rischio di cancro e facilita la diagnosi precoce del tumore.
 
Diagnosi
La diagnosi del tumore viene effettuata tramite una ecografia dello scroto e il dosaggio di alcuni marcatori, cioè sostanze presenti nel sangue prodotte dalle cellule tumorali o indotte dalla presenza del tumore. Tali marcatori sono la alfa-fetoproteina e la beta-HCG.

Dopo la conferma sarà necessario asportare il testicolo per esaminare il tumore nella sua estensione locale e sottoporre il paziente a ulteriori accertamenti per verificare se le cellule tumorali si sono diffuse ad altre parti dell'organismo.

Ciò è importante per la scelta del trattamento più indicato.
 
Come si cura
Grazie ai progressi degli ultimi anni, oggi 9 casi di tumore del testicolo su 10 si curano con successo.
Quando il tumore è diagnosticato in fase iniziale ed è limitato al testicolo, la chirurgia con o senza radioterapia è la prima scelta. Nelle forme più avanzate, invece, è necessario ricorrere alla chemioterapia, considerando che questo tipo di tumore è molto sensibile agli effetti dei farmaci, con cui si ottengono quindi ottimi risultati.
Con i farmaci guarisce anche il 60-70 per cento dei casi di malattia già disseminata, a cui va aggiunto un 10-20 per cento di pazienti guariti definitivamente dopo l'asportazione di tumori rimpiccioliti precedentemente con la chemioterapia. In entrambi i casi, comunque, è necessario farsi controllare molti anni dopo la cura.
In pratica, nella malattia in fase iniziale è indicata l'asportazione chirurgica del testicolo e del funicolo spermatico (sia nei seminomi sia nelle forme non seminomatose).
Nello stadio I per i seminomi è opportuno completare il trattamento con una radioterapia. Negli stadi più avanzati, invece, con metastasi ai linfonodi dell'addome oppure in altri organi, la chemioterapia consente un buon controllo della malattia. Dopo l'asportazione del testicolo viene inserita una protesi che consente di mantenere l'aspetto estetico dello scroto.
 
Chi è a rischio
Le cause del cancro al testicolo restano sconosciute, anche se diversi fattori di rischio possono favorirlo.

Tra questi il principale è il criptorchidismo, cioè la mancata discesa nello scroto di uno dei testicoli che resta nell'addome o nell'inguine.
Questa condizione aumenta le probabilità di trasformazione maligna delle cellule fino a 40 volte rispetto alla popolazione generale, con un rischio variabile a seconda della sede del criptorchidismo: elevata se il testicolo è nell'addome e più bassa se è nell'inguine.
Le probabilità si riducono ulteriormente se l'anomalia viene corretta chirurgicamente prima dei sei anni di età.

Un altro importante fattore di rischio è la sindrome di Klinefelter, un difetto dei cromosomi.

Infine, gli uomini che hanno avuto un tumore al testicolo hanno dal 2 al 5 per cento di probabilità di sviluppare lo stesso tumore nell'altro testicolo nei 25 anni succesivi alla diagnosi.
 
Quanto è diffuso
I tumori del testicolo sono circa l'1 per cento del totale e il 3-10 per cento di quelli che colpiscono l'apparato urogenitale maschile.

Secondo la rete di sorveglianza epidemiologica degli Stati Uniti, negli ultimi 30 anni c'è stato un aumento della frequenza di tumore testicolare di circa il 45 per cento, ma la mortalità è diminuita del 70 per cento, a testimonianza dei significativi progressi raggiunti nella terapia di questo specifico tumore: nel 1970 il 90 per cento dei pazienti con cancro testicolare moriva, mentre dagli anni novanta, grazie all'introduzione di nuovi farmaci, la situazione si è invertita, e oggi il 90 per cento degli uomini con cancro diffuso possono essere curati.
 
Prevenzione
Per i tumori germinali del testicolo non esistono programmi di prevenzione organizzati.
Gli stessi marcatori tumorali quali alfafetoproteina e beta-HCG (ovvero sostanze che si possono trovare nel sangue in presenza di questo tipo di cancro), utili per la conferma della diagnosi e per seguire nel tempo l'evoluzione della malattia, non servono nella diagnosi precoce.
Data tuttavia la giovane età della popolazione a rischio, va sottolineata l'importanza dell'autopalpazione del testicolo, con attenzione verso qualsiasi modifica dell'anatomia o della forma dello scroto.
Adulti e ragazzi dovrebbero conoscere dimensioni e aspetto dei loro testicoli, esaminandoli almeno una volta al mese dopo un bagno caldo, cioè con il sacco scrotale rilassato. Ogni testicolo andrebbe esaminato facendolo ruotare tra pollice e indice alla ricerca di noduli anomali, che dovrebbero essere immediatamente riferiti al medico. Questo accorgimento può consentire una diagnosi precoce.
È importante insegnare ai ragazzi questa manovra anche perché spesso l'unica visita a cui vengono sottoposti e che prevede l'esame dei testicoli è quella per la leva, che è stata abolita con la decadenza della leva obbligatoria

TUMORE DELLA TIROIDE

La tiroide è una ghiandola posta nel collo, appena sotto la cartilagine tiroidea (il cosiddetto pomo d'Adamo).

Ha la forma di una farfalla con le due ali poste ai lati della laringe. Le due ali costituiscono i lobi della tiroide, mentre la parte centrale che le congiunge è detta istmo.

La tiroide è una ghiandola endocrina: ciò significa che produce degl ormoni, detti ormoni tiroidei, che entrano nel circolo sanguigno e hanno la funzione di regolare il metabolismo, ovvero la modalità con cui l'organismo utilizza e consuma le sostanze nutritive e altre funzioni come ad esempio la regolazione del battito cardiaco e della temperatura corporea.

La tiroide produce gli ormoni solo se stimolata a sua volta dal rilascio di un altro ormone, il TSH (od ormone tireostimolante) che viene prodotto dalla ghiandola pituitaria, posta nelle parti più profonde del cervello. Gli ormoni tiroidei inglobano al loro interno alcune molecole di iodio, che è quindi un elemento fondamentale per la loro produzione. La ghiandola può, in caso di malattia, produrre un eccesso di ormoni (si parla di ipertiroidismo) o viceversa esserne carente (ipotiroidismo).

Il tumore della tiroide è provocato dalla crescita anomala di un gruppo di sue cellule, e può essere sia benigno sia maligno (in questo caso si parla più propriamente di cancro).
 
Tipologie
La forma più comune di tumore della tiroide si manifesta a carico delle cellule follicolari che producono la maggioranza degli ormoni tiroidei.
Tutte le forme di cancro a carico di ghiandole prendono il nome di adenocarcinomi: nel caso della tiroide si può avere un adenocarcinoma papillare (oltre il 75 per cento dei casi) oppure follicolare (circa il 15 per cento).
Vi sono poi forme tumorali a carico delle cellule parafollicolari (vicine a quelle che producono gli ormoni) dette carcinoma midollare della tiroide (meno del 5 per cento dei casi).
Una forma particolarmente aggressiva, ma per fortuna rara (< 1 per cento dei carcinomi tiroidei), è il cosiddetto carcinoma anaplastico della tiroide che dà precocemente metastasi a distanza.
Negli altri casi si tratta di tumori di origine linfatica (linfomi) o dai tessuti muscolari o cartilagenei che circondano la ghiandola (sarcomi) o infine tumori metastatici, che originano quindi da altri organi.

Evoluzione
I cancri avanzati della tiroide possono invadere le strutture circostanti (laringe, esofago, trachea) causando difficoltà di alimentazione o di respirazione, ma si tratta di eventi molto rari data la crescita lenta che li caratterizza.
Le metastasi ai linfonodi del collo e del mediastino  sono particolarmente frequenti soprattutto nei carcinomi papillari e midollari (fino al 50 per cento).
Per classificare l'estensione di un tumore si usa il sistema TNM, che si basa sulla dimensione del tumore stesso (T), sulla presenza o assenza di linfonodi coinvolti (N) e sulla presenza o assenza di metastasi a distanza (M).
Sulla base dei parametri TNM è quindi possibile stabilire anche lo stadio di un tumore della tiroide: nella forma papillare o follicolare in un paziente di età inferiore a 45 anni si prevedono due stadi di gravità crescente; al contrario in una persona con più di 45 anni gli stadi sono quattro, come in tutti gli altri tumori.
Il carcinoma midollare prevede quattro stadi di gravità crescente indipendentemente dall'età del paziente.
Il carcinoma anaplastica, data la sua aggressività, viene sempre classificata al quarto stadio di gravità.
Sintomi
Il sintomo più comune del tumore della tiroide è un nodulo isolato all'interno della ghiandola, che si sente tra le dita se si tocca il collo in corrispondenza dell'organo.
Non tutti i noduli tiroidei nascondono però forme di cancro, anzi: spesso sono il segno della cosiddetta iperplasia tiroidea, ovvero una forma benigna di crescita ghiandolare.
I noduli possono essere più d'uno o il cancro può manifestarsi con una massa imponente a livello del collo, sia in corrispondenza della tiroide sia in corrispondenza dei relativi linfonodi.
 
Diagnosi
Una volta individuato un nodulo, in genere il medico prescrive una serie di esami per misurare gli ormoni tiroidei nel sangue (fT4, fT4, calcitoninemia, HTG, ab antiHTG) e il TSH, ovvero l'ormone che regola il funzionamento della tiroide: questo per valutare un'eventuale modificazione patologica dei livelli ormonali.
La scintigrafia tiroidea è un esame specifico per valutare il corretto funzionamento della tiroide ed è eseguito grazie alla somministrazione di iodio radioattivo. Lo iodio viene inglobato dalle cellule che producono gli ormoni. I noduli ricchi di iodio radioattivo appaiono alla scintigrafia intensamente colorati (i cosiddetti noduli "caldi"). Se invece il nodulo non ingloba lo iodio si definisce nodulo freddo.
Oggi l'esame più semplice e specifico per studiare la tiroide è l'ecografia, che permette di identificare i rapporti del nodulo con la ghiandola tiroidea, i tessuti circostanti e le loro caratteristiche. In presenza di un nodulo sospetto si può eseguire un esame citologico ecoguidato, che consiste nel prelievo di materiale cellulare del nodulo nel corso di un'ecografia controllando la corretta posizione dell'ago introdotto attraverso la cute.
Un ulteriore approfondimento diagnostico può essere ottenuto con una TAC o una risonanza per studiare meglio le caratteristiche del nodulo, della ghiandola, i suoi rapporti con le strutture del collo e del mediastino (la ghiandola tiroidea tende a scendere nella parte superiore del torace, il mediastino) e lo stato dei linfonodi del collo.
Come si cura
Per la cura del tumore della tiroide, la chirurgia è il trattamento di scelta. In genere si preferisce asportare tutta la ghiandola.
Un piccolo carcinoma papillare o follicolare della tiroide può essere curato con un intervento conservativo  di lobectomia ed istmectomia, cioè l'asportazione del solo lato coinvolto e del tratto di tiroide che unisce i due lobi.
I linfonodi coinvolti vengono ovviamente asportati, mentre si discute sull'opportunità di rimuoverli a scopo preventivo quando non sono coinvolti nella malattia.
Dopo l'intervento di tiroidectomia totale si somministrano in genere ormoni tiroidei in sostituzione di quelli che la ghiandola non può più produrre. Inoltre, nei carcinomi papillari e follicolari più a rischio di metastasi, il paziente, viene trattato con iodio radioattivo, a completamento delle procedure terapeutiche. Le cellule tiroidee sono avide di iodio perchè viene utilizzato per produrre l'ormone tiroideo. La radiazione emessa dalle molecole di iodio radioattivo trasportato nel nucleo cellulare distrugge la cellula tiroidea.
Questo trattamento definito radiometabolico proprio per la sua specificità (raggiunge solo le cellule tiroidee che captano lo iodio) è particolarmente efficace e viene utilizzato al posto della classica radioterapia.
La chemioterapia è limitata alle neoplasie avanzate ed aggressive (in particolare il carcinoma anaplastico) ed a quelle che hanno già dato metastasi a distanza.
 
Chi è a rischio
È stato stimato che circa il 30 per cento delle tiroidi esaminate in corso di autopsia presenta una forma tumorale non diagnosticata quando la persona era in vita: ciò significa che il cancro della tiroide è più comune di quanto si pensi, ma che spesso non dà segni di sé perché cresce molto lentamente ed è poco invasivo.
Le donne sono più colpite degli uomini nella proporzione di quattro a uno.
Fra i fattori di rischio accertati c'è il cosiddetto gozzo, caratterizzato da numerosi noduli benigni della ghiandola dovuti a carenza di iodio che può in alcuni casi predisporre alla trasformazione maligna delle cellule.
Un altro fattore di rischio accertato è l'esposizione a radiazioni: il tumore della tiroide è più comune in persone che sono state trattate per altre forme tumorali con radioterapia sul collo oppure che sono state esposte a ricadute di materiale radioattivo (è successo dopo l'esplosione delle bombe atomiche nella Seconda Guerra Modiale e dopo il disastro della centrale atomica di Cernobil).
La forma midollare può essere associata ad una sindrome chiamata neoplasia endocrina multipla di tipo 2 (o MEN 2) che ha una base genetica, per cui chi ne è affetto può avere in famiglia altre persone malate di cancro della tiroide o delle ghiandole surrenali (feocromocitoma).
Per questo i famigliari di pazienti affetti da carcinoma midollare sono invitati a sottoporsi a visite specialistiche e a esami del sangue per escludere la presenza di questa malattia.
 
Quanto è diffuso
Il cancro della tiroide non è molto comune, poiché costituisce l'1-2 per cento di tutti i tumori, con un'incidenza(ovvero il numero di nuovi casi per anno) di 4,1 casi ogni 100.000 abitanti per gli uomini e 12.5 nuovi caso ogni 100.000 abitanti per le donne.
La sopravvivenza è molto elevata (oltre il 90 per cento a 5 anni dalla diagnosi nelle forme differenziate).

Prevenzione
Poiché nelle aree dove il gozzo è endemico, per mancanza di iodio, vi è una maggior incidenza di neoplasie tiroidee, l'unica forma di prevenzione attuabile è quella di utilizzare sale iodato (si trova comunemente nei supermercati) invece di quello normale per evitare la formazione di gozzi.
In queste aree infatti l'apporto di iodio con la dieta è insufficiente e l'uso del sale iodato è utile anche nella prevenzione dei disturbi benigni della tiroide.
Non è invece indicata alcuna forma di screening, perché si tratta di tumori rari e che spesso non danno problemi per lunghi anni. Potrebbe essere utile un controllo con ecografia della ghiandola nelle donne con più di 45 anni.
È però utile far palpare la ghiandola dal proprio medico almeno una volta l'anno per individuare eventuali formazioni nodulari.
La palpazione della tiroide dovrebbe comunque far parte di un corretto esame clinico di medicina interna.
TUMORE URETRA
 

Cos'è

L'uretra è un organo a forma di tubo che serve per trasportare l'urina dalla vescica fino all'esterno del corpo. Nelle donne questo tubicino è lungo circa 3,5 - 4 cm e sfocia appena al di sopra della vagina, mentre nell'uomo è molto più lungo (circa 20 cm) e arriva all'esterno passando attraverso la prostata e il pene. Oltre all'urina, nell'uretra maschile passa anche il liquido seminale. Il tumore dell'uretra ha inizio in una delle cellule che formano l'organo.
 
Quanto è diffuso
Il tumore dell'uretra è considerato un tumore raro e in genere è più comune nelle donne che negli uomini.
Chi è a rischio
Anche per il tumore dell'uretra sono state individuate alcune condizioni che aumentano il rischio di sviluppare la malattia. Una storia di precedente tumore alla vescica rappresenta uno dei principali fattori di rischio, al quale si aggiunge anche la presenza di disturbi che causano infiammazione cronica dell'uretra come, per esempio, le malattie sessualmente trasmissibili e frequenti infezioni urinarie. Inoltre le donne e le persone con età superiore a 60 anni hanno un maggior rischio di sviluppare la malattia.
 
Tipologie
I tumori dell'uretra possono essere suddivisi in base al tipo di cellule dalle quali la malattia ha origine. Si distinguono in:
  • Carcinoma a cellule squamose
    È il più comune e si sviluppa vicino alla vescica nelle donne e nel tratto di uretra che attraversa il pene negli uomini.
  • Carcinoma a cellule di transizione
    Nelle donne si forma nella parte di uretra vicina all'apertura esterna, mentre negli uomini si forma nella parte di uretra che attraversa la prostata.
  • Adenocarcinoma
    Ha origine dalle ghiandole che circondano l'uretra sia negli uomini che nelle donne.
 
Sintomi
Il tumore dell'uretra può rimanere del tutto asintomatico, soprattutto nelle sue fasi iniziali, oppure presentarsi con sintomi come presenza di sangue nelle urine, flusso di urina debole o intermittente, aumento della frequenza della minzione (necessità di urinare), perdite dall'uretra, presenza di noduli a livello del perineo o del pene e linfonodi inguinali ingrossati.
 
Prevenzione
Non esistono attualmente indicazioni su specifiche strategie di prevenzione del tumore dell'uretra.
 
Diagnosi
Il primo passo verso la diagnosi di tumore dell'uretra è senza dubbio la visita dallo specialista che procederà innanzitutto con una serie di domande per conoscere la storia clinica e il tipo di sintomi. In seguito, eseguirà un'accurata visita della zona pelvica nella quale verranno esaminati diversi organi (vagina, utero e retto) alla ricerca di eventuali noduli, linfonodi ingrossati o altri segni del tumore. Il medico potrà prescrivere anche alcuni esami di laboratorio, come per esempio l'analisi dell'urina alla ricerca di sangue o cellule tumorali, utili per arrivare alla diagnosi di tumore dell'uretra. Alcuni esami lievemente più invasivi permettono di "guardare" direttamente all'interno dell'uretra e di altri organi vicini: nella cistoscopia un piccolo tubo dotato di luce e telecamera raggiunge la vescica passando per l'uretra, mentre nella ureteroscopia il tubo serve per analizzare ureteri e pelvi renale. In entrambi questi esami è possibile prelevare campioni per la biopsia, cioè l'analisi al microscopio del tessuto prelevato, che resta uno degli esami fondamentali per diagnosticare il tumore dell'uretra in modo certo. Una volta accertata la presenza di un tumore vengono prescritti in genere altri accertamenti (radiografia al torace, TAC e risonanza magnetica) per determinare con precisione se il tumore si è diffuso al di fuori dell'uretra.
 
Evoluzione
Una volta diagnosticato, il tumore deve essere "stadiato", ovvero gli si deve assegnare uno stadio che indica quanto le sue cellule si sono diffuse. Per il tumore dell'uretra si utilizza come criterio di stadiazione la posizione del tumore e si parla quindi di tumore dell'uretra anteriore (la parte più vicina all'esterno) o posteriore (più vicina alla vescica).
Si possono anche suddividere i tumori dell'uretra in 5 stadi principali: 0, A, B, C e D. Lo stadio 0 indica il tumore in situ, cioè localizzato solo nelle cellule dell'uretra, mentre lo stadio D è quello più avanzato, nel quale le cellule tumorali sono diffuse anche ai linfonodi e negli organi più distanti.
 
Come si cura
Sono disponibili diversi trattamenti per il tumore dell'uretra e la scelta dipende in genere da tipo e diffusione del tumore e dalle condizioni del paziente.
La chirurgia è il trattamento più comune e serve a rimuovere fisicamente il tumore dall'organismo. Oltre alla chirurgia standard effettuata con il bisturi, è possibile ricorrere ad altre tecniche come l'elettro-resezione con folgorazione, nella quale si utilizza la corrente elettrica per rimuovere o distruggere il tumore o la chirurgia laser, nella quale un raggio laser è utilizzato come bisturi per eliminare il tessuto tumorale. Se il tumore si è già diffuso oltre l'uretra può essere necessario scegliere un intervento più invasivo per rimuovere anche altri organi: linfonodi inguinali, vescica, prostata, parte di vagina e pene (che poi possono essere ricostruiti con interventi di chirurgia plastica).
Una volta rimossa l'uretra è necessario creare un nuovo passaggio per permettere all'urina di arrivare all'esterno: si procede con un intervento chiamato urostomia per creare un'apertura per l'uscita dell'urina che potrà essere poi raccolta in un sacchettino esterno completamente invisibile sotto i vestiti o in uno interno all'organismo appositamente costruito dai medici partendo da tessuto intestinale.
Anche la radioterapia può essere utilizzata per il trattamento del tumore dell'uretra, sia sotto forma di raggi provenienti dall'esterno sia come "semi" radioattivi inseriti direttamente a contatto con le cellule tumorali. Infine è possibile anche ricorrere alla chemioterapia  per via sistemica (nell'intero organismo) o locale (iniettata direttamente nell'area del tumore). Chemio e radioterapia possono essere utilizzate da sole, in combinazione, o in forma adiuvante dopo l'intervento chirurgico per ridurre il rischio che il tumore si ripresenti.
TUMORE UTERO
 
L'utero è l'organo dell'apparato femminile dove viene accolto e si sviluppa l'embrione nel corso della gravidanza. Ha la forma di un imbuto rovesciato ed è formato da due parti principali: l'estremità inferiore, chiamata collo o cervice, in diretto collegamento con la vagina, e la parte superiore chiamata corpo dell'utero, le cui pareti sono formate da tessuti molto diversi tra loro per forma e funzioni.

Nel corpo dell'utero il tessuto più superficiale, ricco di ghiandole e rivolto vero la cavità interna, è chiamato endometrio, mentre lo strato più esterno, indispensabile per "spingere fuori" il bambino al momento del parto, è di tipo muscolare e si chiama miometrio.

I cambiamenti ormonali che si verificano con il ciclo mestruale influenzano notevolmente la struttura dell'endometrio che dapprima si inspessisce per poter nutrire l'eventuale embrione in caso di gravidanza e in seguito, se la gravidanza non c'è, si degrada nel suo strato più interno e viene espulso attraverso la vagina, sotto forma di flusso mestruale.
 
Tipologie
Quasi tutti i tumori del corpo dell'utero prendono origine dalle cellule dell'endometrio e sono chiamati carcinomi endometriali (in genere adenocarcinomi perché riguardano le cellule ghiandolari presenti in questo tessuto), ma quando il tumore parte dalle cellule dello strato muscolare o connettivo dell'utero, si parla di sarcomi uterini.
Per quanto riguarda gli adenocarcinomi, la maggior parte dei casi (80%) è rappresentata dai cosiddetti adenocarcinomi endometrioidi, ma esistono anche altre forme meno diffuse e più aggressive, come l'adenocarcinoma papillare e l'adenocarcinoma a cellule chiare. In altri casi si tratta di forme miste.
sarcomi uterini, invece, possono essere suddivisi in due grandi categorie che racchiudono la maggior parte dei casi: i sarcomi endometriali stromali che si sviluppano dal tessuto connettivo di supporto dell'endometrio e rappresentano l'1 per cento di tutti i tumori dell'utero, e i leiomiosarcomi uterini, che si sviluppano nello strato muscolare detto miometrio (circa il 2 per cento di tutti i tumori dell'utero).
Non mancano infine casi, anche se poco diffusi, di tumori che al microscopio mostrano le caratteristiche del carcinoma e del sarcoma: sono i carcinosarcomi uterini, molto simili ai carcinomi sia per fattori di rischio, sia per diffusione di metastasi e trattamento.
 
Evoluzione
In base al sistema di classificazione FIGO (Federazione internazionale di ginecologia e ostetricia), il tumore dell'endometrio o i sarcomi dell'utero possono essere divisi in quattro stadi a seconda di quanto risultano diffusi nell'organismo.
  • Stadio I: il tumore è limitato al corpo dell'utero e non ha invaso cervice, linfonodi o altri siti lontani.
  • Stadio II: il tumore ha invaso la cervice, ma non ha intaccato aree al di fuori dell'utero.
  • Stadio III: il tumore si è diffuso oltre l'utero, ma è ancora limitato alla regione pelvica.
  • Stadio IV: : il tumore ha raggiunto vescica, retto, linfonodi pelvici e altre zone distanti come ossa o polmoni.
 
Sintomi
La maggior parte dei tumori dell'endometrio (90%) si manifesta con sanguinamento vaginale anomalo come, per esempio, perdite tra un ciclo e l'altro o dopo la menopausa. Altri sintomi tipici sono abbondanti perdite vaginali (spesso maleodoranti), dolori nella zona pelvica o alla schiena e una perdita di peso non legata a una dieta dimagrante.
 
Diagnosi
Come per tutti i tumori, anche per il tumore dell'utero è fondamentale effettuare la diagnosi il più precocemente possibile.
  • La biopsia endometriale dura pochi minuti e consiste nell'introdurre nell'utero uno strumento molto sottile e flessibile passando attraverso la vagina per prelevare alcune cellule con un semplice grattamento. Le cellule vengono aspirate dal tubicino dello strumento e in seguito analizzate al microscopio.
  • La dilatazione con currettage consiste nel dilatare la cervice uterina per introdurre nell'utero uno speciale strumento capace di raschiare la parete interna dell'utero. L'esame dura circa un'ora e può richiedere una particolare sedazione oppure l'anestesia epidurale o generale.
  • L'isteroscopia permette al medico di visualizzare le pareti interne dell'utero grazie a una telecamera posizionata all'estremità di un sottile strumento introdotto nell'utero attraverso la cervice e di prelevare anche campioni di tessuto da analizzare poi al microscopio.
 
Come si cura
  • La chirurgia rappresenta il principale trattamento per i tumori del corpo dell'utero (inclusi i sarcomi) e consiste nell'asportare corpo dell'utero e cervice (isterectomia) attraverso un'incisione nella parete addominale o passando attraverso la vagina. Quando il tumore ha invaso la cervice e i tessuti circostanti, si sceglie in genere l'isterectomia radicale che prevede anche l'asportazione dei tessuti attorno all'utero e della parte superiore della vagina adiacente alla cervice.
    Nei casi più avanzati si procede a interventi più drastici con la rimozione dei linfonodi, delle tube e, in alcuni casi, anche delle ovaie.

    L'isterectomia è un intervento che implica la perdita della fertilità dal momento che senza l'utero è impossibile portare a termine una gravidanza. Nel caso di rimozione delle ovaie, inoltre, le donne ancora in età fertile vanno incontro anche a menopausa anticipata con tutti i suoi sintomi caratteristici (vampate, sudori notturni eccetera).
  • La radioterapia, ovvero la somministrazione di raggi ad alta energia in grado di uccidere le cellule malate, è un'altra opzione terapeutica che in alcuni casi può essere utilizzata nella cura dei tumori del corpo dell'utero. Ne esistono due tipi principali: la radioterapia esterna nella quale la radiazione arriva da una fonte posta all'esterno del paziente e quella interna o brachiterapia, che si basa invece sull'introduzione nell'utero di piccoli "semini" radioattivi che rilasciano radiazioni dall'interno.
  • In alcuni casi possono anche essere scelte la chemioterapia, basata soprattutto sull'uso di cisplatino, carboplatino, doxorubicina e paclitaxel somministrati in diverse combinazioni per via endovenosa, o la terapia ormonale che prevede invece la somministrazione di ormoni (ovviamente diversi da quelli usati nella terapia sostitutiva in menopausa) o di sostanze che bloccano gli ormoni.
 
Chi è a rischio
Per quanto riguarda il tumore dell'endometrio, l'età è sicuramente il principale fattore di rischio come dimostra il fatto che questa patologia viene diagnosticata raramente prima dei 50 anni. Anche obesità (spesso legata a una dieta troppo ricca di calorie e grassi) e diabete possono favorire l'insorgenza del tumore dell'endometrio che è due volte più comune nelle donne in sovrappeso, tre volte in quelle obese e fino a quattro volte in quelle con diabete, rispetto alle donne sane e con peso nella norma.

Inoltre gli ormoni, e in particolare gli estrogeni, svolgono un ruolo fondamentale nel determinare il rischio di tumore dell'endometrio poiché questo tessuto è molto sensibile all'azione degli ormoni sessuali che ne modificano la struttura nel corso del ciclo mestruale e rappresentano forti stimoli verso la proliferazione delle cellule. Tutti i fattori che aumentano il numero dei cicli mestruali - inizio precoce del ciclo, menopausa tardiva, assenza di gravidanze, eccetera - possono quindi aumentare la probabilità di sviluppare tumori endometriali.

Partendo da questi presupposti, la pillola anticoncezionale rappresenta un fattore protettivo al contrario della terapia ormonale sostitutiva a base di soli estrogeni, anche se il rischio viene in qualche modo azzerato associando agli estrogeni anche l'altra classe di ormoni femminili, chiamati progestinici.

Infine, l'esposizione della regione pelvica a radiazioni (magari la stessa radioterapia per trattare un altro tipo di tumore) può causare mutazioni al DNA e favorire sia il tumore dell'endometrio, sia i sarcomi uterini.
 
Quanto è diffuso
I tumori dell'endometrio, che rappresentano la quasi totalità dei tumori che colpiscono il corpo dell'utero, sono al sesto posto tra i tumori più diagnosticati alle donne (4 per cento di tutte le diagnosi di tumore) con 7.700 nuovi casi all'anno in Italia.

Sono tumori che colpiscono soprattutto le donne anziane, con un picco dopo i 60 anni, e che stanno diventando sempre più comuni nel mondo a causa soprattutto dell'allungamento della vita media e di un'alimentazione troppo abbondante e ricca di grassi.
 
Prevenzione
Non esistono strategie specifiche per la prevenzione del tumore dell'endometrio, ma ci sono alcuni piccoli accorgimenti che possono aiutare a ridurre il rischio. L'alimentazione e le terapie ormonali, per esempio, giocano un ruolo fondamentale: è importante seguire una dieta sana, mantenere il peso corporeo nella norma e valutare assieme al ginecologo l'opportunità di iniziare una terapia ormonale a base di estrogeni (sia la terapia sostitutiva in menopausa sia la pillola anticoncezionale) anche in base al rischio individuale di tumore dell'endometrio.

TUMORE VESCICA
La vescica è l'organo che ha il compito di raccogliere l'urina che viene filtrata dai reni, prima di essere eliminata dal corpo.

Il tumore della vescica consiste nella trasformazione in senso
maligno delle cellule che ne rivestono la superficie interna.
 

  Tipologie
Il tipo più frequente di tumore della vescica è il cosiddetto carcinoma a cellule di transizione che costituisce circa il 95 per cento dei casi.

Altri tipi di cancro alla vescica sono rappresentati dall'
adenocarcinoma e dal carcinoma squamoso primitivo, ma sono decisamente meno frequenti.

Il tumore della vescica compare più frequentemente sulle pareti laterali dell'organo e ha un aspetto papillare (cioè come piccole escrescenza) nel 75 per cento dei casi, oppure una forma piatta o nodulare.

La distinzione tra il tumore
maligno e il papilloma, che è invece un tumore scarsamente aggressivo, si basa sul numero di strati cellulari di cui è composta la formazione. Un'importante caratteristica di queste ultime forme, sia maligne sia benigne, è la tendenza a recidivare, cioè a riformarsi.
 

  Evoluzione
La classificazione del tumore della vescica segue una suddivisione in quattro stadi, che a loro volta si basano sul sistema TNM.

Il parametro T descrive la dimensione e le caratteristiche del tumore primitivo, il parametro N prende in considerazione l'eventuale interessamento dei 
linfonodi regionali e infine il parametro M fa riferimento alla presenza o meno di metastasi a distanza.
 

  Sintomi
I sintomi con cui si può presentare il tumore della vescica sono comuni anche ad altre malattie che colpiscono l'apparato urinario.

Manifestazioni frequenti sono la presenza di sangue nelle urine (ematuria) e la formazione di coaguli, la sensazione di bruciore alla vescica quando si comprime l'addome, la difficoltà e il dolore a urinare, la maggior facilità a contrarre infezioni. Con la progressione della malattia questi disturbi possono diventare importanti.

Il tumore della vescica può diffondere localmente e a distanza per via linfatica, dapprima ai
linfonodi e successivamente, attraverso il circolo sanguigno, ai polmoni, al fegato e alle ossa.

Non sempre il suo comportamento è prevedibile per quanto riguarda le ricadute, l'aggressività e le metastasi.

 

  Diagnosi
Le procedure diagnostiche, nel caso vi sia un sospetto di cancro alla vescica, si basano sull'ecografia, sulla radiologia (urografia e TAC), sulla risonanza magnetica e sui metodi endoscopici, come la cistoscopia. Quest'ultima consiste nell'introduzione di uno strumento a fibre ottiche nella vescica attraverso le vie urinarie e, pur essendo fastidiosa, permette di vedere all'interno della vescica e prelevare campioni sospetti di tessuto che verranno poi analizzati al microscopio.

Importante è anche la ricerca di cellule tumorali nel campione di urine (citologia urinaria).

La TAC, la PET e anche la
scintigrafia ossea sono utili per valutare se il tumore si è esteso oltre la vescica coinvolgendo altri organi.
 

  Come si cura
La possibilità di trattamento chirurgico di un tumore della vescica comprendono la resezione transuretale, per neoplasie di piccole dimensioni non infiltranti, trattamento spesso risolutivo, e la cistectomia (asportazione dell'organo) parziale o totale, a seconda dello stadio clinico, dell'aggressività e del tipo di tumore.

L'approccio terapeutico oggi comunque prevede interventi combinati, che possono vedere impiegati, in combinazioni varie, chirurgia,
chemioterapia e radioterapia.

Alta efficacia ha inoltre, nel carcinoma in situ, soprattutto per evitare che la malattia si ripresenti, il trattamento intravescicale con il bacillo di Calmette-Guerin (BCG, lo stesso che si usava per la tubercolosi) che, depositato sulle lesioni direttamente nella vescica, ne provoca l'eliminazione.

Nel tumore della vescica in fase avanzata l'approccio terapeutico è di tipo polichemioterapico.

Esistono diversi farmaci attivi contro il tumore della vescica; tra questi vi sono il cisplatino e la gemcitabina, la vinorelbina, le antracicline e i taxani.

 

  Chi è a rischio
Per il tumore della vescica sono stati individuati i seguenti fattori di rischio: il fumo di sigaretta, l'esposizione cronica alle amine aromatiche e nitrosamine (frequente nei lavoratori dell'industria tessile, dei coloranti, della gomma e del cuoio), l'assunzione di farmaci come la ciclofosfamide e la ifosfamide e l'infezione da parassiti come Bilharzia e Schistosoma haematobium, diffusi in alcuni paesi del Medio Oriente (Egitto in particolare).

Anche la dieta gioca un ruolo importante: fritture e grassi consumati in grande quantità sono infatti associati a un aumentato rischio di ammalarsi di tumore della vescica.

Esistono infine prove a favore di una componente genetica quale fattore di rischio predisponente.

 
Quanto è diffuso
Il tumore della vescica rappresenta circa il 3 per cento di tutti i tumori e, in urologia, è secondo solo al tumore della prostata.
È più comune tra i 60 e i 70 anni, ed è tre volte più frequente negli uomini che nelle donne. Alla diagnosi, il tumore della vescica è superficiale nell'85 per cento dei casi, infiltrante nel 15 per cento.
La sopravvivenza a cinque anni supera, in Italia, il 70 per cento dei casi.
 

  Prevenzione
Non esistono al momento programmi di screening o metodi di diagnosi precoce scientificamente affidabili. Anche la citologia urinaria può dare falsi negativi se le cellule tumorali sono difficilmente distinguibili dalle cellule sane.

Occorre quindi mettere in atto misure di prevenzione legate alle abitudini di vita che consistono nell'abolizione del fumo, una dieta sana ed equilibrata e la prevenzione per i lavoratori a rischio.


TUMORE DELLA VULVA E VAGINA

La vulva è la parte più esterna dell'apparato genitale femminile. Oltre all'apertura vaginale (vestibolo) comprende le grandi e le piccole labbra - strutture cutanee che proteggono l'apertura vaginale - e il clitoride, formato da tessuto molto sensibile che si rigonfia per il passaggio di sangue in seguito alla stimolazione sessuale. La vagina è invece una sorta di canale (è detta anche "canale del parto") che congiunge la vulva e la cervice uterina. La parete interna di questo canale è rivestita da un epitelio squamoso al di sotto del quale si trovano muscoli, tessuto connettivo, linfonodi e vasi sanguigni. In prossimità dell'apertura vaginale sono presenti le ghiandole di Bartolini, una per lato, che producono un liquido lubrificante durante il rapporto sessuale. Tutte le cellule che compongono vulva e vagina possono in linea teorica dare origine a un tumore, anche se quelli più comuni riguardano grandi e piccole labbra, mentre quelli di clitoride e altre regioni sono più rari.
 
Quanto è diffuso

I tumori di vulva e vagina non sono molto diffusi e rappresentano circa il 5 per cento di tutti i tumori che colpiscono l'apparato genitale femminile.
Secondo i dati AIRTUM (Associazione italiana registri tumori) su oltre 2,2 milioni di persone che convivono con una diagnosi di tumore, meno di 9000 sono quelle che hanno ricevuto diagnosi di tumore di vulva e vagina.
La patologia può colpire persone di tutte le età, ma nella maggior parte dei casi la diagnosi riguarda donne attorno ai 70 anni e molto più raramente donne di età inferiore ai 40 anni.
 
Chi è a rischio
L'età rappresenta un fattore di rischio per i tumori di vulva e vagina che in genere colpiscono donne oltre i 50 anni (nella metà dei casi oltre i 70), ma il rischio aumenta anche in caso di stili di vita non corretti: nelle fumatrici, per esempio, raddoppia il rischio di tumore della vagina e aumenta quello di tumore della vulva.
Anche alcuni virus possono essere legati al rischio di tumore di vulva e vagina: le donne che presentano infezione da Papillomavirus (solo alcuni tipi virali, responsabili anche di altri tumori) sono più a rischio, così come quelle positive per il virus HIV che indebolisce il sistema immunitario.
Altre condizioni, come l'adenosi vaginale, la presenza di tumore cervicale o lesioni pre-cancerose e l'irritazione vaginale sono associate all'aumento del rischio di tumore della vagina, mentre il rischio di tumore della vulva è influenzato dalla presenza di neoplasia intraepiteliale vulvare (VIN, una condizione pre-cancerosa), altri tumori dell'area genitale, lichen sclerosus o melanoma o nei atipici in altre regioni del corpo.
È stato inoltre osservato che il tumore della vagina si presenta più frequentemente del normale nelle figlie di donne che hanno assunto dietilstilbestrolo (DES), un farmaco utilizzato tra il 1940 e il 1970 per prevenire l'aborto.
 

Tipologie
Vulva e vagina possono essere colpite da diversi tipi di cancro. Il più comune è senza dubbio il carcinoma squamoso (7 tumori vaginali su 10 e la maggior parte di quelli vulvari): nella vagina questo tumore è più comune nella zona vicina alla cervice uterina e si origina in genere da una lesione pre-cancerosa (VAIN, dall'inglese vaginal intraepithelial neoplasia) che può in seguito diventare tumore, in un processo che può durare anche parecchi anni. Nella vulva il carcinoma squamoso può essere anche di tipo verrucoso e assumere l'aspetto di una verruca a crescita lenta. Quando invece il tumore nasce da una cellula ghiandolare, prende il nome di adenocarcinoma, un altro tipo di neoplasia che colpisce vulva (8 casi su 100, in particolare le cellule di Bartolini) e vagina (15 casi su 100). Meno comuni, ma comunque presenti in vulva e vagina sono anche i melanomi (6 per cento dei tumori vulvari, specialmente in clitoride e piccole labbra, e 9 per cento di quelli vaginali), tumori che hanno origine dalle cellule che producono pigmenti che colorano la pelle, e i sarcomi (2 per cento dei tumori vulvari e 4 per cento di quelli vaginali) che derivano dalle cellule di muscoli e tessuto connettivo.
Sintomi
I tumori di vulva e vagina possono essere del tutto asintomatici almeno nelle prime fasi o dare origine a sintomi generici attribuibili anche ad altre patologie non di tipo oncologico. Nel caso di sintomi sospetti è meglio comunque rivolgersi al proprio medico o al ginecologo.
Più dell'80 per cento delle donne con tumore invasivo della vagina mostra sanguinamento (spesso dopo un rapporto sessuale) o perdite vaginali anomale, dolore durante i rapporti e, nei casi più avanzati, anche fastidio quando si urina, costipazione e dolore pelvico continuo.
Per il tumore della vulva i sintomi sono un po' diversi: nel caso di tumore invasivo a cellule squamose i sintomi delle fasi iniziali sono cambiamenti nell'aspetto di un'area della pelle della regione vulvare interessata che appare più sottile, oppure più rossa o più scura delle aree circostanti. Quando la malattia progredisce, la pelle si modifica ulteriormente assumendo l'aspetto di un nodulo rosso o bianco con una superficie ruvida e in alcuni casi sono presenti anche prurito, dolore o bruciore e perdite anomale non legate al ciclo mestruale o ferite che non si rimarginano per lunghi periodi. Come per il melanoma di altre regioni del corpo, anche quello vulvare si presenta come un neo che cambia aspetto o che compare ex novo e che presenta le caratteristiche tipiche dei nei maligni (asimmetria, bordi frastagliati, colore non uniforme e diametro superiore a 6 mm).
 
Prevenzione
Per prevenire i tumori è importante cercare di evitare comportamenti e sostanze che ne aumentino il rischio, una regola valida anche per i tumori di vulva e vagina.
In questi casi è importante evitare il fumo ed è opportuno cercare di evitare l'infezione da Papillomavirus, un virus che si contrae attraverso rapporti sessuali con persone infette e comportamenti sessuali a rischio (come per esempio un alto numero di partner, inizio precoce dell'attività sessuale eccetera). I controlli ginecologici periodici possono rivelarsi decisivi nella prevenzione dei tumori di vulva e vagina in quanto permettono di scoprire eventuali lesioni pre-cancerose che negli anni potrebbero trasformarsi in un tumore. Una volta identificate mediante visite ed esami specifici, VIN (lesioni vulvari intraepiteliali) e VAIN (lesioni vaginali intraepiteliali) possono essere trattate nel modo più opportuno eliminando il rischio che evolvano in tumore. Infine, anche un auto-esame mensile della vulva, facilmente effettuabile grazie a uno specchietto, può aiutare a identificare precocemente cambiamenti sospetti (nei, arrossamenti eccetera) da sottoporre all'attenzione del medico.
 
Diagnosi
La diagnosi dei tumori di vulva e vagina inizia con una visita ginecologica nel corso della quale lo specialista valuta i sintomi, effettua un esame completo della zona genitale, raccoglie informazioni sulla storia medica e familiare e, se lo ritiene necessario, effettua o prescrive ulteriori esami. La colposcopia, per esempio, è un esame piuttosto rapido e indolore che permette al medico di osservare nel dettaglio le cellule che rivestono vagina e cervice uterina e di mettere in luce eventuali anomalie. Nel caso di aree "sospette" si procede con la biopsia, cioè il prelievo di alcune cellule da analizzare al microscopio, che permette di stabilire o escludere con certezza la presenza di tumore della vagina. Anche per il tumore della vulva la diagnosi viene effettuata in base all'analisi citologica sulla biopsia. Una volta diagnosticato con certezza il tumore, si procede con altri esami per capire se la malattia si è diffusa anche in altri organi: in genere si utilizzano raggi X, risonanza magnetica, TC, PET e alcuni esami "endoscopici" come la cistoscopia che analizza la vescica mediante un tubo al quale è fissata una sonda che permette di illuminare e visualizzare l'area e, se necessario, anche di prelevare campioni di tessuto, o la proctoscopia che utilizza la stessa tecnica per il retto.
 
Evoluzione
Lo stadio dei tumori di vulva e vagina, che indica quanto la malattia è diffusa, viene assegnato utilizzando il sistema di stadiazione FIGO (International Federation of Gynecology and Obstetrics) combinato con e quello dell'AJCC (American Joint Committee on Cancer) e si basa sui criteri "TNM" dove T si riferisce all'estensione della malattia, N al coinvolgimento dei linfonodi e M alla presenza di metastasi.

Come si cura
La scelta del trattamento da effettuare in caso di tumore di vulva e vagina dipende da numerosi fattori, come per esempio tipologia, posizione e diffusione della malattia, età e condizioni fisiche della paziente.
La chirurgia rappresenta un'importante opzione di trattamento e l'intervento può essere più o meno invasivo a seconda dei casi: la chirurgia laser che "vaporizza" le cellule tumorali, per esempio, è efficace per le lesioni pre-cancerose sia vulvari (VIN) sia vaginali (VAIN), ma non è adatta al trattamento dei tumori invasivi. In quei casi si ricorre alla chirurgia tradizionale che prevede l'asportazione dei tessuti interessati dal tumore e, se necessario, anche la successiva ricostruzione delle parti rimosse. La ricostruzione della vagina permette alle donne di avere rapporti sessuali anche dopo l'intervento, mentre la ricostruzione dei genitali esterni (vulva) ha una funzione soprattutto psicologica e spesso aiuta la donna a sentirsi meno a disagio nella vita intima. In generale, dopo un intervento di vulvectomia (la rimozione totale o parziale della vulva) è molto difficile che una donna riesca a raggiungere l'orgasmo dal momento che i genitali esterni, e in particolare il clitoride, hanno un ruolo fondamentale nel piacere femminile.
Per il trattamento dei tumori di vulva e vagina possono inoltre essere utilizzate varie forme di radioterapia: quella esterna viene usata per il tumore della vulva anche allo scopo di ridurre le dimensioni della malattia e poter procedere con un intervento chirurgico meno invasivo, mentre per il tumore della vagina la radioterapia esterna è spesso affiancata anche da quella interna (brachiterapia, terapia interstiziale eccetera) nella quale la radiazione viene applicata direttamente al tessuto malato.
Nei casi di malattia più avanzata, o quando la rimozione del tumore non è possibile, si può far uso della chemioterapia, in genere di tipo sistemico (che viene cioè somministrata per via intravenosa o orale ed è diretta a tutto l'organismo, non solo al tumore). Infine sono disponibili trattamenti topici che consistono nell'applicare il farmaco chemioterapico (fluorouracile) direttamente sulla pelle nella regione del tumore e che si utilizzano soprattutto nel caso di lesioni pre-cancerose, ma non nel caso di tumori invasivi.

 

1 commento:

  1. The Casinos in South Africa - Mapyro
    The Casinos in South Africa · Top 10 Casinos 강원도 출장안마 in South Africa · 1. Naga Ghan 인천광역 출장마사지 Casino, 문경 출장샵 2. Makaal Casino, 3. Casino at 순천 출장안마 Makaal Casino, 4. 광주 출장마사지 Bovada, 5.

    RispondiElimina